Unità Democratica Giudici di Pace e Magistratura Democratica

aquile
Il XIX Congresso di Magistratura Democratica si è concluso il 3 febbraio u.s. e possiamo trarre alcune conclusioni relativamente ai rapporti tra Unità Democratica Giudici di Pace e Magistratura Democratica.
Siamo stati presenti in tutti i giorni del dibattito,degli interventi del Ministro della Giustizia,del vicepresidente del CSM,di varie autorità,dei componenti di MD autorevoli o famosi,dei politici,dei tecnici,di tutti. Vi erano ,però,in platea anche alcuni rappresentanti della magistratura onoraria e di pace ,con i quali abbiamo scambiato poche parole, ma non ci siamo trovati d’accordo su quasi nulla.

Altri colleghi gdp non si sono neppure avvicinati all’unico collega intervenuto al Congresso.Abbiamo ascoltato con attenzione gli interventi dei congressisti ed abbiamo trovato tanti punti in comune con Magistratura Democratica.Nel sito di MD non compare il nostro intervento.Nel nostro sito vi sono tutti i riferimenti al Congresso.Ma crediamo che per UDGDP sia importante mantenere una collaborazione con chi ci capisce nella condivisione delle difficoltà di organizzazione, elaborazione temi, sindacalizzazione di giudici,mantenimento di siti,edizioni di libri e riviste,convegni,dibattiti,ecc.

Eppure, se non vi sarà la riforma della magistratura di pace ed onoraria ,tra non molti mesi cesseremo tutti dalle funzioni e non saremo più neppure giudici onorari o di pace. Ci resta un pò di commozione nel considerare ciò ,perchè avremmo voluto, avendo più tempo davanti a noi, contribuire con modestia alla elevazione della qualità della giurisdizione, ma, forse, non vi riusciremo più e ci sentiremo tagliati fuori, sentendoci usati e buttati via, rimanendo tra coloro ,che non ci capiscono , non ci vogliono…e ci sgambettano.
Per spiegare meglio questo concetto, ricorriamo ad una parabola.

“Si racconta che un uomo trovò un uovo di aquila e, poiché nel suo cortile v’ era solo un serraglio per galline, depose l’uovo di aquilotto tra le uova delle galline.
L’aquilotto nacque con la covata dei pulcini e crebbe per qualche tempo insieme a loro: pulcinotto tra i pulcini, un po’ più impigrito di loro e faticosamente inseribile, perché a mano a mano che cresceva la sua “cilindrata” occupava quasi tutto il pollaio.
Fece tutto quello che facevano i polli, fino a identificarsi con loro. Razzolava in cerca di insetti, chiocciava e faceva “coccodè” come le galline, agitava le ali alzandosi di poco da terra come i polli e dormiva nell’angolo in attesa del mangime.
Così dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, accontentandosi appena di svolazzare, nei momenti più euforici della sua giornata, con il volo pesante della gallina.

Passarono mesi, oserei dire anni, e l’aquila diventò vecchia. Vide galline andare e tornare; uova diventare galline. Di tanto in tanto vedeva la mano del contadino rapire le sue amiche, ignorando che qualche ora dopo sarebbero direttamente finite in una pentola. ,~
Un giorno, un po’ soprappensiero, in un momento di ‘ contemplazione, alzò gli occhi verso il cielo e vide molto in alto. volare un uccello magnifico.
Fluttuava pieno di grazia, con due ali immense, tra le forti correnti del vento. Era un gigante stampato nel cielo. Sembrava parlasse con il sole, le stelle, le nuvole. Parlava con il cipiglio di chi comanda e non con la timidezza di chi potrebbe trovarsi lassù disperso e con il complesso della solitudine.

La vecchia aquila, ormai zoppa e piena di reumatismi, lo osservò quasi con riverenza. Per un solo momento guardò in su e poi si guardò. Le venne un dubbio. Poi, come si fa tra amici, chiese alla gallina più vicina: – Chi è quello? Il gallinotto gli rispose:
– Ma non ci pensare: tu e io siamo diversi, altra razza!
Noi aborriamo i grandi voli, i sogni, i protagonismi. Siamo gente di terra, lavoratori, pragmatisti. Siamo per un uovo oggi, piuttosto che per una gallina domani (!).
L’aquila invecchiò precocemente. L’arteriosclerosi la rese cieca, psicotica e permanentemente triste. Si aggiustò, in qualche modo, nell’angolo del pollaio.
Gli ultimi giorni biascicava, come le era possibile, strane parole: «cielo», «sole», «volo», «vette», «altezze».
Morì, lasciando un grande vuoto nel pollaio. I polli starnazzarono a volo radente, nel tentativo di svolgere le esequie. Per qualche ora, nel pollaio, regnò il silenzio. Poi una gallina annunciò un uovo, con il caratteristico «coccodè … coccodè … coccodè» e tutto fu dimenticato in fretta.

Si racconta che un aquilotto, dal cielo, nei giorni della malattia, fosse volato basso, bassissimo più volte. Si pensò che volesse rapire l’aquila malata. Dall’alto qualcuno aveva capito, ma troppo tardi!”

Altra storia:
“C’era una volta un contadino che andò nella foresta vicina a casa sua per catturare un uccello da tenere prigioniero. Riuscì a prendere un aquilotto. Lo mise nel pollaio insieme alle galline e lo nutrì a granturco e becchime. Dopo cinque anni, quest’uomo ricevette a casa sua la visita di un naturalista. Mentre passeggiavano per il giardino, il naturalista disse: «Quell’uccello non è una gallina. È un’aquila». «E’ vero», rispose il contadino, «è un’aquila. Ma io l’ho allevata come una gallina, e ora non è più un’aquila. È diventata una gallina come le altre, nonostante le ali larghe quasi tre metri.» «No», obiettò il naturalista. « È e sarà sempre un’aquila. Perché ha un cuore d’aquila, un cuore che un giorno la farà volare verso le alte vette.» «No, no», insistette il contadino. « È diventata una gallina e non volerà mai come un’aquila.

Allora decisero di fare una prova. Il naturalista prese l’animale, lo sollevò bene in alto e sfidandolo gli disse: «Dimostra che sei davvero un’aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!» L’aquila, appollaiata sul braccio teso del naturalista, si guardava distrattamente intorno. Vide le galline là, in basso, intente a razzolare. E saltò vicino a loro. Il contadino commentò: «Te l’avevo detto, è diventata una semplice gallina!» «No», insistette di nuovo il naturalista. «È un’aquila. E un’aquila sarà sempre un’aquila. Proviamo di nuovo domani.»

Il giorno dopo, il naturalista e il contadino si alzarono molto presto. Presero l’aquila, la portarono fuori città, lontano dalle case degli uomini, in cima a una montagna. Il sole nascente dorava i picchi delle montagne. Con un gesto deciso, il naturalista sollevò verso l’alto il rapace e gli ordinò: «Dimostra che sei un’aquila, dimostra che appartieni al cielo e non alla terra, apri le tue ali e vola!» L’aquila si guardò intorno. Tremava come se sperimentasse una nuova vita. Ma non volò. Allora il naturalista la tenne ben ferma, puntata proprio nella direzione del sole, in modo che i suoi occhi potessero riempirsi del fulgore dell’astro e della vastità dell’orizzonte. In quel momento, lei apri le sue potenti ali e, con un grido trionfante, si alzò, sovrana, al di sopra di se stessa. Iniziò a volare, a volare verso l’alto, a volare sempre più in alto. Volò… volò… fino a confondersi con l’azzurro del cielo…”( James Kwegyr Aggrey,scrittore del Ghana)

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