Corte Costituzionale:ordinanza sull’art.10 bis del D.Lgsvo n.286/98

Deposito del 5 gennaio 2011

Ordinanza n. 6 del 2011. Reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.

STRANIERO – REATI E PENE – INGRESSO O TRATTENIMENTO ILLEGALE NEL TERRITORIO DELLO STATO IN VIOLAZIONE DELLE DISPOSIZIONI DEL TESTO UNICO SULL’IMMIGRAZIONE – PREVISIONE COME REATO. CITAZIONE A GIUDIZIO DAVANTI AL GIUDICE DI PACE.

Norme impugnate: artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) aggiunto dall’art. 1, comma 16, lett. a) della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) e art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace).

Dispositivo: manifesta inammissibilità.

Nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) aggiunto dall’art. 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace), promossi dal Giudice di pace di Bologna, con 18 ordinanze, e dal Giudice di pace di Imola, con 3 ordinanze, rispettivamente iscritte ai nn. da 48 a 75, 165 e da 183 a 185 del ruolo 2010, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate.

L’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del medesimo testo unico nonché di quelle di cui all’art. 1 della legge n. 68 del 2007 (Disciplina dei soggiorni di breve durata). Al reato non si applica l’art. 162 c.p. sull’oblazione nelle contravvenzioni. Ai sensi dell’art. 16, comma 1 del medesimo decreto legislativo e dell’art 62-bis del decreto legislativo n. 274 del 2000, il giudice di pace applica la sanzione sostitutiva dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Il giudice di pace non può concedere la sospensione della pena.

I giudici remittenti, nel corso di procedimenti penali a carico di cittadini extracomunitari, imputati del reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 97 Cost., hanno sollevato questione di legittimità costituzionale della citata normativa, per contrasto innanzitutto con il principio di eguaglianza inteso sia come necessità di diverso trattamento di situazioni differenti, sia come necessità di pari trattamento di situazioni simili.
A giudizio dei remittenti la norma incriminatrice, formulata in chiave di mera disobbedienza delle norme che regolano i flussi migratori, sarebbe carente dell’elemento materiale del reato, poiché la fattispecie si realizzerebbe a prescindere dalla condotta dell’autore, in virtù di una mera condizione personale del reo, lo stato di clandestino, del quale viene presunta la pericolosità; con violazione del dovere di solidarietà.
La mancata previsione dell’assenza di un giustificato motivo come elemento costitutivo del reato realizzerebbe una disparità di trattamento rispetto all’analoga ipotesi di reato di cui all’art. 14, comma 5-ter del decreto legislativo n. 286 del 1998 (permanenza senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore). Inoltre, la normativa in esame sarebbe priva di fondamento giustificativo, poiché destinata a sovrapporsi alla fattispecie dell’espulsione quale misura amministrativa, in quanto sostanzialmente priva di effetti nei confronti della maggior parte di immigrati irregolari, non in grado di pagare l’ammenda prevista, con conseguente ineffettività della pena.
Sarebbe violato, inoltre, l’art. 24 Cost., poiché, in mancanza di una disciplina transitoria, la nuova incriminazione costringerebbe gli stranieri irregolari al momento di entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 ad uscire clandestinamente dall’Italia per non autodenunciarsi. La configurazione come reato dell’immigrazione illegale sarebbe in contrasto con le norme internazionali generalmente riconosciute, in base alle quali la condizione di migrante, anche non regolare, sarebbe salvaguardata.
In relazione agli artt. 102 e 112 Cost., la violazione dei parametri costituzionali si realizzerebbe mediante gli art. 20-bis e 20-ter del decreto legislativo n. 274 del 2000, poiché tali disposizioni delineerebbero un nuovo rito, a presentazione immediata, prevedendone una variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della libertà nel giudizio a citazione contestuale, con una procedura unica nell’ordinamento che rappresenterebbe una sorta di tertium genus tra reati perseguibili a querela e reati procedibili d’ufficio. Il nuovo rito sarebbe relativo ad una singola fattispecie e l’inizio dell’azione penale obbligatoria sarebbe delegato ad un’autorità amministrativa.

La Corte Costituzionale ha dichiarato le questioni sollevate manifestamente inammissibili perché tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni, come già deciso per analoghe ordinanze di remissione (cfr. ordinanza n. 343 del 2010).
Sulla legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 si rinvia alla sentenza n. 250 del 2010 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate avverso la previsione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.

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