Corte Costituzionale:Ordinanza n.109/2010 sull’art.15 c.5 terD.Lgsvo n.286/98 udienza dei gdp nei CIE

Ordinanza 109/2010
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente DE SIERVO – Redattore SAULLE
Camera di Consiglio del 10/02/2010 Decisione del 10/03/2010
Deposito del 19/03/2010 Pubblicazione in G. U. 24/03/2010
Norme impugnate: Art. 13, c. 5° ter, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come sostituito dall’art. 1, c. 1°, del decreto legge 14/09/2004, n. 241, convertito in legge 12/11/2004, n. 271.
Massime: 34481
Atti decisi: ord. 234/2009

ORDINANZA N. 109

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, promosso dal Giudice di pace di Roma nel procedimento penale a carico di S. M. con ordinanza del 6 maggio 2009, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto che, con ordinanza del 6 maggio 2009, il Giudice di pace di Roma, nel corso di un procedimento di convalida del provvedimento del Questore di Roma di trattenimento di un cittadino egiziano presso un Centro di identificazione ed espulsione, ha sollevato, in riferimento agli articoli 13, 24, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede che, «al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 13 e all’art. 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo»;

che, in relazione alla rilevanza della questione, il giudice a quo si limita ad esprimersi nel modo seguente: «le situazioni concrete relative alle convalide dei provvedimenti incidenti sulla libertà personale emanati dal Questore», potendo essere effettuate negli stessi locali dei Centri di identificazione ed espulsione, «dove il giudice di pace deve recarsi ed essere assistito da appartenenti alla Polizia di Stato, con vigilanza esterna ed interna anche dell’esercito italiano, destano serie perplessità […], in quanto va preservata l’indipendenza del giudice, evitando anche il solo pericolo di possibili condizionamenti psicologici di tipo ambientale»;

che, alle predette affermazioni, il rimettente aggiunge, da un lato, il richiamo di passati «episodi di disappunti orali espressi da rappresentanti della questura nei confronti dei giudici di pace, che non hanno convalidato i trattenimenti degli stranieri presso i centri di identificazione ed espulsione»; dall’altro, la constatazione delle difficoltà logistiche e ambientali cui il giudice di pace sarebbe soggetto nell’esercizio delle proprie funzioni presso i suddetti Centri, nonché la considerazione della piena giurisdizionalità dei compiti affidati allo stesso giudice di pace nell’ambito dello svolgimento dell’udienza all’interno dei locali dei centri medesimi;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente afferma che la disposizione oggetto di censura «dovrebbe essere emendata riportando all’interno degli uffici del giudice di pace, o di locali ad esso riferibili, lo svolgimento delle udienze relative alle convalide dei giudici di pace dei trattenimenti, degli stranieri espulsi, presso i Centri di identificazione ed espulsione, configurandosi in caso contrario una evidente lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. […] e del dovere di imparzialità e di parità davanti ad un giudice terzo (art. 111 Cost.)»;

che la disposizione censurata, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., in base al quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, dal momento che essa non garantirebbe la concreta operatività di entrambi detti aspetti ordinamentali anche per l’attività da svolgersi nei locali dei Centri di identificazione ed espulsione;

che, quanto all’asserito contrasto con l’art. 13 Cost., il rimettente si limita a rilevare che l’interpretazione di questa disposizione della Costituzione, secondo la quale la libertà personale è inviolabile, non essendone ammessa alcuna forma di detenzione né di restrizione, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, non potrebbe «sottovalutare la condizione psicologica dello stesso giudice di pace»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o, comunque, per la manifesta infondatezza della questione;

che, in particolare, l’Avvocatura dello Stato rileva l’assoluta carenza di motivazione dell’ordinanza di rimessione circa la rilevanza della questione sollevata, e ciò sia per la «mera eventualità degli inconvenienti prospettati dal giudice rimettente», sia per l’assenza di una qualunque spiegazione relativamente all’incidenza di tali inconvenienti sulla questione di legittimità costituzionale, sia, infine, per il fatto che il giudice a quo avrebbe omesso del tutto di argomentare, in relazione alle norme parametro indicate, «circa comprovati condizionamenti esterni capaci di inficiare la sua imparzialità ed indipendenza nell’adozione di un provvedimento decisorio riguardante il caso sottoposto alla sua cognizione».

Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui prevede che, «al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 13 e all’art. 14, comma 1, le questure forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo», in riferimento agli articoli 13, 24, 97 e 111 della Costituzione;

che, in sostanza, il rimettente lamenta che il corretto esercizio delle funzioni spettanti al giudice sarebbe compromesso dallo svolgimento del procedimento di convalida dei citati provvedimenti presso la struttura del Centro di identificazione ed espulsione;

che la questione risulta proposta in maniera del tutto ipotetica e astratta, essendosi il rimettente limitato a dedurre una serie di generiche perplessità prive di alcun riferimento concreto ad effettivi condizionamenti esterni, idonei ad inficiare la propria imparzialità ed indipendenza nell’adozione del provvedimento giurisdizionale oggetto del giudizio principale;

che, inoltre, le motivazioni addotte a sostegno delle asserite lesioni ai parametri costituzionali invocati risultano fondate esclusivamente su meri inconvenienti di fatto, scaturenti dall’applicazione della norma censurata, estranei in quanto tali al controllo di costituzionalità (ex plurimis sentenza n. 329 del 2009);

che, pertanto, ciò determina la manifesta inammissibilità della questione sollevata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, sollevata dal Giudice di pace di Roma, in riferimento agli artt. 13, 24, 97 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2010.

Il Direttore della Cancelleria

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