Espulsione stranieri: dibattito in rete

“L´ espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.

Analisi dell’istituto della espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, aggiornata alle recenti pronunce giurisprudenziali.

1. Premessa

Il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) prevede due diversi tipi di espulsione: amministrativa e giudiziaria.

2. L’espulsione amministrativa

L’espulsione, quale misura amministrativa, si distingue a sua volta in ministeriale e prefettizia.

L’espulsione ministeriale è di competenza del Ministro dell’Interno il quale, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato (art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 286/1998). Avverso tale provvedimento è ammessa impugnazione, entro sessanta giorni, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.

L’espulsione prefettizia, invece, viene disposta dal Prefetto territorialmente competente, con decreto motivato, immediatamente esecutivo, quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell’art. 10, D.Lgs. n. 286/1998 (c.d. ingresso clandestino) o quando lo straniero si è ivi trattenuto in assenza della comunicazione di cui all’art. 27, comma 1-bis o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, cioè otto giorni dall’ingresso in Italia (c.d. soggiorno irregolare), salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo.

In tali ipotesi, il Prefetto competente, nell’adottare il provvedimento di espulsione nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, dovrà anche tener conto della natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine.

Infine, ultima ipotesi di espulsione prefettizia, prevista dal legislatore, si ha quando lo straniero appartiene a taluna delle categorie di soggetti pericolosi di cui agli artt. 1, 4 e 16, D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Contro il decreto prefettizio lo straniero può proporre ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione, entro trenta giorni dalla sua emanazione ovvero sessanta nel caso in cui lo straniero risieda all’estero.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha puntualizzato che “in tema di immigrazione, il giudice di pace, investito dell’impugnazione del decreto di espulsione emesso dal Prefetto, può sindacare solo la legittimità del provvedimento e, se non conforme a legge, disporne l’annullamento, ma non anche sostituire od integrare la motivazione dell’atto, trattandosi di attività preclusa alla giurisdizione ordinaria” 1. Nel caso di specie, il giudice di pace aveva corretto e confermato nel dispositivo, il decreto di espulsione, sostituendo l’indicazione dell’ingresso clandestino in Italia con quella diversa che il ricorrente si trovava comunque indebitamente nel territorio dello Stato.

Il decreto di espulsione comporta l’allontanamento dal territorio nazionale dello straniero, il quale verrà rinviato allo Stato di appartenenza o, in caso di impossibilità, allo Stato di provenienza. Lo straniero espulso non può rientrare in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno ed il divieto di reingresso in Italia opera per un periodo da 3 a 5 anni.

In passato, il decreto di espulsione veniva sempre eseguito dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e tale accompagnamento coattivo doveva avvenire con immediatezza, salvo alcuni casi in cui era prevista l’espulsione mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro quindici giorni.

Il D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 89, ha modificato tale impostazione trasformando l’immediata esecutività dell’espulsione in un’eccezione verificabile solo in determinate circostanze elencate dalla stessa normativa. Pertanto, allo stato attuale, la partenza volontaria è la modalità ordinaria di rimpatrio ed infatti, ove non viene disposto l’accompagnamento coatto alla frontiera, lo straniero può richiedere al Prefetto un termine tra i sette e i trenta giorni per lasciare volontariamente il territorio dello Stato. Il Prefetto può aderire alla richiesta anche subordinando la stessa all’attuazione di una serie di misure e dopo aver verificato che lo straniero sia in possesso di risorse idonee a consentirgli l’allontanamento volontario dal territorio nazionale. Al contrario, l’accompagnamento coatto alla frontiera può essere disposto esclusivamente in ipotesi specifiche e cioè:

in caso di espulsione ministeriale;

stranieri ritenuti pericolosi socialmente;

qualora sussita un rischio di fuga dello straniero;

in caso di domanda di permesso di soggiorno respinta perché manifestamente infondata o fraudolenta;

inosservanza del termine per la partenza volontaria;

espulsione disposta come sanzione penale o come conseguenza di questa.

Infine, ai sensi dell’art. 14, comma 1, “quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino”.

3. L’espulsione giudiziaria

Quanto all’espulsione giudiziaria, cioè disposta dall’autorità giudiziaria, distinguiamo due fattispecie: espulsione a titolo di misura di sicurezza (art. 15, D.Lgs. n. 286/1998) ed espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione (art. 16, D.Lgs. n. 286/1998).

La prima ipotesi di espulsione è una misura di sicurezza, non detentiva, disposta dal giudice nei confronti dello straniero al termine di un processo penale conclusosi con sentenza di condanna per taluno dei delitti di cui agli artt. 380 e 381, c.p.p., cioè delitti ritenuti dal legislatore di maggior allarme sociale. Tale forma di espulsione non può prescindere dal previo accertamento della pericolosità sociale dello straniero e trova fondamento nell’interesse politico e giuridico dello Stato a far venir meno la presenza, all’interno del territorio, di uno straniero che abbia manifestato, attraverso la commissione di un delitto di una certa gravità, una particolare attitudine a delinquere.

In merito la Suprema Corte di Cassazione ha infatti sottolineato che “in tema di misure di sicurezza, il giudice, prima di applicare l’espulsione dal territorio dello Stato in caso di condanna dello straniero per uno dei reati indicati dall’art. 86, D.P.R. n. 309/1990, è tenuto ad accertare in concreto, con adeguata motivazione, la sussistenza della pericolosità sociale del condannato” 2.

Infine, ai sensi dell’art. 15, comma 1-bis, “Della emissione del provvedimento di custodia cautelare o della definitiva sentenza di condanna ad una pena detentiva nei confronti di uno straniero proveniente da Paesi extracomunitari viene data tempestiva comunicazione al questore ed alla competente autorità consolare al fine di avviare la procedura di identificazione dello straniero e consentire, in presenza dei requisiti di legge, l’esecuzione della espulsione subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione”.

La seconda ipotesi concerne una sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione. Ai sensi dell’art. 16, comma 1, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell’applicare la pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444, c.p.p., nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni che impongono al Prefetto l’espulsione amministrativa, quando ritiene di dover irrogare una pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena, può sostituire la medesima pena con la misura dell’espulsione dal territorio dello Stato, per un periodo non inferiore a cinque anni.

L’espulsione come sanzione sostitutiva alla detenzione può essere disposta nei confronti di:

chi è entrato clandestinamente in Italia;

chi è entrato legalmente in Italia, con un visto di ingresso, ma non ha richiesto un permesso di soggiorno entro otto giorni dal suo ingresso;

chi ha il permesso scaduto da più di sessanta giorni e non ha chiesto il rinnovo;

chi ha il permesso revocato o annullato;

chi non può provare che il suo reddito proviene da fonti lecite e quindi può essere sospettato dalla polizia di vivere con proventi illegali (art. 13, L. 13 settembre 1982, n. 646), anche se ha il permesso o la carta di soggiorno;

chi è sospettato dalla polizia di appartenere ad associazioni di tipo mafioso (art. 2, L. 3 agosto 1988, n. 327), anche se ha il permesso o la carta di soggiorno.

Chi ha il permesso di soggiorno in corso di validità e non rientra nelle due categorie, di cui ai punti e) ed f), non può avere questo tipo di espulsione.

L’espulsione come sanzione sostitutiva alla detenzione non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguardi reati di una certa gravità previsti dall’art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p. oppure reati previsti dal Testo Unico sull’Immigrazione e puniti con una pena edittale superiore nel massimo a due anni.

La Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che “L’espulsione come misura alternativa alla detenzione, prevista dall’art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 286/1998 non può essere disposta nei confronti dello straniero che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovi e permanga agli arresti domiciliari, in costanza della sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 10, c.p.p.” 3.

Tale fattispecie, inoltre, si applica solo quando non può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, di cui all’art. 163 c.p. e va eseguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero, con l’accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall’esecuzione della espulsione, sempre che lo straniero non sia illegittimamente rientrato bel territorio dello Stato. In tal caso, infatti, lo stato di detenzione è ripristinato, riprendendo l’esecuzione della pena (art. 16, comma 8, D.Lgs. n. 286/1998).

4. Il Divieto di espulsione.

Infine, l’art. 19, D.Lgs. n. 28671998, stabilisce che “In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.

Inoltre non è consentita l’espulsione nei riguardi:

degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi;

degli stranieri in possesso della carta di soggiorno;

degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana;

delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.

Infine, tale norma, al comma 2-bis, precisa che: “Il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione di persone affette da disabilità, degli anziani, dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate”.

1Cass. Civ., sez. VI, 1 settembre 2015, n. 17408.

2Cass. Pen., sez. VI, 23 novembre 2010, n. 45468.

3Cass. Pen., sez. I, 29 settembre 2015, n. 5171.”
AGOSTINO SABATINO
(fonte:camminodiritto.it)

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