Immigrazione:pubblicazioni dottrinarie

“L’altro diritto
Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità

Capitolo III
La fase esecutiva dell’espulsione
1. L’esecuzione dell’espulsione

Il decreto prefettizio di espulsione contiene l’indicazione delle modalità con cui questa deve essere eseguita, ossia mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale nel termine di quindici giorni, nel caso si tratti di espulsione disposta per essere il permesso di soggiorno scaduto da oltre sessanta giorni, senza che ne sia stato chiesto il rinnovo, salvo che il prefetto rilevi il pericolo che lo straniero si sottragga all’espulsione, nel qual caso, come in tutte le altre ipotesi, l’espulsione deve essere eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Prima delle modifiche apportare con la legge 30 luglio 2001, n. 189, cosiddetta “Bossi-Fini”, l’espulsione era normalmente eseguita mediante intimazione rivolta allo straniero di allontanarsi dal territorio nazionale nel termine di quindici giorni e, soltanto in determinate circostanze previste dalla legge (1), il questore doveva procedere mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica; l’esecuzione coattiva rappresentava dunque l’eccezione alla regola. La legge n. 189/2001 nell’ottica di un inasprimento del sistema di contrasto all’immigrazione irregolare, oltre ad invertire il rapporto regola – eccezione tra esecuzione coattiva o volontaria dell’espulsione, ha introdotto il reato di mancata ottemperanza all’ordine di allontanamento emesso dal questore, che, come si dirà, originariamente qualificato come contravvenzione, è stato trasformato in delitto, con relativo aumento sanzionatorio, a seguito di una censura di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale. Ne risulta un sistema complesso, in cui l’apparato sanzionatorio penale si inserisce in un procedimento amministrativo, quello dell’espulsione, già di per sé carente sotto il profilo delle garanzie individuali, al fine di presidiarne l’effettività.
1.1 L’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica

Secondo la previgente versione del quarto comma dell’articolo 13 T.U. Immigrazione, l’espulsione dal territorio nazionale era “sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5”. Si trattava del caso dello straniero in possesso di un titolo di soggiorno scaduto da oltre sessanta giorni, senza che ne sia stato richiesto il rinnovo, nei confronti del quale il questore doveva comunque disporre l’accompagnamento forzoso nel caso il prefetto ritenesse sussistente il pericolo che lo straniero si sottraesse all’esecuzione del provvedimento (2). La regola era dunque quella dell’esecuzione coattiva del provvedimento prefettizio di espulsione, restando l’adempimento spontaneo circoscritto ad un’ipotesi del tutto marginale. L’istituto in esame, è stato oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale fin dalla sua introduzione, quando, secondo l’impianto originario della legge “Napolitano-Turco”, rappresentava l’eccezione alla regola dell’esecuzione mediante intimazione ed ha poi subito svariate modifiche, anche a seguito di alcune importanti sentenze della Corte Costituzionale.

Il primo fondamentale intervento della Corte Costituzionale risale al 2001, a seguito di un numero considerevole di ordinanze di remissione del tribunale monocratico di Milano, che censuravano la norma in quanto ritenuta contraria alle norme costituzionali in materia di libertà personale. In particolare, i giudici rimettenti sostenevano che l’accompagnamento alla frontiera, dato il suo carattere forzoso, fosse misura incidente sulla libertà personale dello straniero, e come tale dovesse essere soggetta alla riserva di giurisdizione sancita dall’articolo 13 della Costituzione. La questione sollevata dalle ordinanze di remissione, ha scatenato un ampio dibattito dottrinale, che ha visto fronteggiarsi le (maggioritarie) posizioni favorevoli ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale (3), con quelle che intendevano salvare la norma, taluni riducendo l’accompagnamento coattivo a misura incidente solo sulla libertà di circolazione (4), altri sostenendo la legittimità di una deroga alla riserva di giurisdizione posta a presidio della libertà personale di fronte all’esigenza dello Stato di proteggere la propria integrità territoriale (5).

La Corte Costituzionale ha scelto di intervenire sulla questione attraverso una sentenza interpretativa di rigetto (6), fornendo un’interpretazione adeguatrice della legge che ha ritenuto essere sufficiente a renderla conforme a Costituzione. La prudenza dimostrata dalla Corte Costituzionale nell’affrontare la questione evitando una sentenza di accoglimento con conseguente declaratoria di incostituzionalità, non sminuisce la fondamentale importanza delle affermazioni contenute nella sentenza 22 marzo -10 aprile 2001, n. 105. Innanzi tutto la Corte chiarisce una volta per tutte la titolarità in capo allo straniero del diritto all’inviolabilità della libertà personale, infatti:

Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (7).

In secondo luogo, la Corte afferma che la misura dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica incide direttamente sulla sfera della libertà personale dello straniero, infatti essa

inerisce alla materia regolata dall’art. 13 della Costituzione, in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione (8).

Le ordinanze di remissione esaminate dalla Corte riguardavano tutte il caso dell’accompagnamento coattivo a seguito di trattenimento, del quale, secondo i giudici costituzionali, il decreto di espulsione con accompagnamento rappresenta “il presupposto indefettibile” (9), che quindi “non può rimanere estraneo al controllo dell’autorità giudiziaria”. Secondo la Corte, quindi, il provvedimento che dispone l’accompagnamento forzoso deve essere oggetto della cognizione del giudice della convalida del trattenimento, il quale ha così un controllo giurisdizionale pieno sull’intera vicenda espulsiva. In sostanza, la Corte respinge l’interpretazione accolta dai giudici di merito secondo i quali il giudizio di convalida della misura restrittiva si svolgeva soltanto sulla base del provvedimento di trattenimento, facendo leva, oltre che su ragioni di ordine sistematico, sul dato testuale, fornito dall’articolo 14, comma 3 T.U. Immigrazione, che impone al questore di trasmettere al giudice della convalida copia degli “atti”, ricomprendendo quindi anche il decreto di espulsione con accompagnamento.

Successivamente alla sentenza n. 105/2001, la dottrina non ha mancato di sottolineare, come in essa vi fosse un’implicita dichiarazione di incostituzionalità della misura dell’accompagnamento alla frontiera disposta indipendentemente dal trattenimento, quindi in assenza di un qualsiasi controllo giurisdizionale. Se, infatti, la Corte aveva sottolineato con particolare enfasi l’inerenza dell’accompagnamento forzoso alla materia coperta dall’articolo 13 Cost., e aveva avuto cura di ribadire la necessità di un controllo giurisdizionale per tutte quelle misure che incidono sulla libertà personale, questo non poteva che avere il significato di un avvertimento rivolto al legislatore affinché intervenisse a regolare la materia, così evitando una successiva pronuncia della Corte, qualora quest’ultima fosse stata chiamata a valutare la conformità a Costituzione di un provvedimento di accompagnamento senza trattenimento (10).

Con l’articolo 2 del decreto legge 4 aprile 2002, n. 51 (disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 2002, n. 106, è stato introdotto il comma 5-bis all’articolo 13 T.U. Immigrazione (11) secondo il quale:

Nei casi previsti ai commi 4 (12) e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione.

All’indomani della sua introduzione, il procedimento di convalida del provvedimento che dispone l’accompagnamento coattivo, è stato immediatamente oggetto di dubbi di costituzionalità sollevati in dottrina e giurisprudenza, sfociati in una serie di ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale. In particolare, le critiche mosse nei confronti del procedimento delineato dall’articolo 13, comma 5-bis T.U. Immigrazione, riguardavano l’immediata esecutorietà del provvedimento, e la carenza di garanzie di difesa nei confronti dello straniero. Infatti, ben poteva accadere che lo straniero fosse materialmente espulso dal territorio dello Stato prima che fosse intervenuta la convalida da parte del giudice, fatto questo che poteva comportare conseguenze irreversibili per lo straniero espulso. Nel caso di mancata convalida non si sarebbe potuta ripristinare la situazione previgente, essendo lo straniero già stato allontanato dal territorio nazionale (13), conseguenza particolarmente grave nel caso in cui la decisione del giudice di non convalidare l’accompagnamento fosse dipesa dalla violazione da parte di quest’ultimo dei divieti espulsivi previsti dall’articolo 19 T.U. Immigrazione (14). I giudici che hanno sollevato questione di costituzionalità del comma 5-bis dell’articolo 13 T.U. Immigrazione, in riferimento agli articoli 13, 24 e 111 della Costituzione, lamentavano essenzialmente la mera formalità del controllo loro demandato, che si riduceva ad un “esame cartolare”, che sacrificava quel controllo giurisdizionale pieno che la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza 105/2001 aveva riconosciuto come indispensabile nei confronti di una misura incidente sulla libertà personale dello straniero.

La Corte Costituzionale, con sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222, ha sostanzialmente accolto le cesure dei remittenti, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 5-bis T.U. Immigrazione, introdotto dall’art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, “nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa”. La Corte, dopo essersi richiamata alla precedente sentenza 105/2001, sottolineando come la stessa preannunciasse la soluzione di un’eventuale questione di costituzionalità sollevata nei confronti della misura dell’accompagnamento coattivo, afferma la mancata rispondenza alle indicazioni fornite nella citata sentenza del procedimento introdotto con il decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 2002, n. 106. Infine, essa puntualizza che:

Non è certo in discussione la discrezionalità del legislatore nel configurare uno schema procedimentale caratterizzato da celerità e articolato sulla sequenza provvedimento di polizia convalida del giudice. Vengono qui, d’altronde, in considerazione la sicurezza e l’ordine pubblico suscettibili di esser compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principî della tutela giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva (15).

Nelle more della decisione della Corte Costituzionale è intervenuta l’approvazione della legge 30 luglio 2002, n. 189 (meglio nota come “legge Bossi-Fini”), la quale, lasciando immutato il comma 5-bis dell’articolo 13 T.U. Immigrazione, ha però profondamente modificato la disciplina delle espulsioni, intervenendo sui commi 4 e 5 del medesimo articolo 13. Infatti è da questo momento, che quella che era l’eccezione, ossia l’accompagnamento forzoso, è diventata la regola nell’esecuzione delle espulsioni (16), mentre quella che era la regola, l’allontanamento mediante intimazione, viene relegata ad ipotesi marginale, riguardante il solo caso dello straniero in possesso di un permesso di soggiorno scaduto che non ne abbia richiesto il rinnovo entro 60 giorni dalla scadenza. Anche in questo caso, però, l’articolo 13, comma 5, prevedeva che il Prefetto potesse ritenere di disporre l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, qualora avesse rilevato sussistere il “concreto pericolo” che lo straniero si sottraesse all’esecuzione del provvedimento espulsivo.

L’esigenza di adeguare la normativa alle linee guida delineate dalla Corte Costituzionale, resa ancora più impellente dalla generalizzazione dell’accompagnamento alla frontiera come modalità espulsiva, ha portato all’approvazione del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271, che ha ridisegnato il procedimento di convalida (17), spostandone la competenza dal tribunale ordinario in composizione monocratica al giudice di pace territorialmente competente. La scelta di attribuire la competenza al giudice di pace, se da un lato risponde alle esigenze di celerità proprie del procedimento espulsivo, dall’altra suscita forti dubbi in relazione alla delicatezza degli interessi coinvolti, per la tutela dei quali il giudice di pace non offre le garanzie proprie del giudice togato (18).

La scelta di assegnare la competenza al giudice di pace su una materia così delicata e particolare che investe la libertà e i diritti fondamentali umani suscita perplessità anche perché non è immediato trovare un riscontro analogo in altri sistemi giudiziari che vedono l’azione del giudice di pace incentrata in massima parte nel settore civile e in questioni di natura minore (19).

Il giudice di pace convalida il provvedimento di accompagnamento entro 48 ore con decreto motivato, avverso il quale l’interessato può proporre ricorso per cassazione, ricorso che non sospende l’esecuzione della misura; in caso di mancata convalida il provvedimento del questore perde ogni effetto.

In seguito alla convalida del provvedimento che dispone l’accompagnamento coattivo, questo viene eseguito mediante la traduzione forzosa dello straniero da parte delle forze di pubblica sicurezza, verso il paese d’origine, ovvero, ove questo non sia possibile, verso quello di provenienza. In realtà la possibilità di esecuzione immediata della misura è subordinata ad una serie di condizioni: l’avere la certezza su identità e nazionalità dell’espellendo, il fatto che quest’ultimo non abbia necessità di ricevere cure urgenti, la disponibilità del titolo di viaggio e del vettore, l’assenza di procedimenti penali a carico dello straniero che rendono doveroso attendere il rilascio del nullaosta all’espulsione da parte dell’autorità procedente. Nel caso, tutt’altro che infrequente, in cui manchi una delle condizioni sovraesposte, è previsto il trattenimento dello straniero in attesa di espulsione in apposti centri.
1.2 La detenzione amministrativa dello straniero in attesa di espulsione

Secondo la previgente formulazione dell’articolo 14, comma 1:

Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (20).

La misura del trattenimento viene adottata innanzitutto quando non può essere data immediata esecuzione al provvedimento di accompagnamento, il che rende evidente il carattere di strumentalità della misura nei confronti dell’esecuzione dell’espulsione. Essa è finalizzata ad impedire che, nelle more dell’esecuzione, lo straniero si sottragga al provvedimento espulsivo.

Oltre alle situazioni individuate dal primo comma dell’articolo 14 citato, il trattenimento è disposto anche quando sia necessario attendere il rilascio del nullaosta dell’autorità giudiziaria per lo straniero sottoposto a procedimento penale che non si trovi in stato di custodia cautelare in carcere (21); quando si attenda la conclusione del procedimento di convalida del provvedimento che dispone l’accompagnamento (22); quando vi sia stata revoca o estinzione per qualsiasi ragione della misura cautelare in carcere, nel qual caso il giudice con il medesimo provvedimento con cui revoca la misura custodiale, o ne dichiara l’estinzione, decide sul nullaosta (23); quando si applichi il trattenimento obbligatorio dello straniero che ha presentato domanda d’asilo nei casi di cui alle lettere a) e b) del comma 2, dell’articolo 1-bis della L. 39/90 (24).

È evidente, in primo luogo che i presupposti che legittimano l’adozione del provvedimento del trattenimento sono di varia natura, in secondo luogo che alcuni di essi sono del tutto indipendenti dalla volontà dello straniero destinatario del provvedimento. Infatti, se le eventuali difficoltà nell’identificazione del migrante possono dipendere dai suoi tentativi di occultare la propria identità, certamente non può dirsi lo stesso per il caso di indisponibilità del vettore o del titolo di viaggio. In ogni caso, con l’introduzione nell’ordinamento della misura del trattenimento, si ha per la prima volta in Italia una forma di limitazione della libertà personale disgiunta dalla commissione di un reato (25), non disposta un’autorità giurisdizionale, ma amministrativa. Pur non commettendo il reato di evasione nel caso di allontanamento dal centro, lo straniero si trova in uno stato di privazione della libertà, come dimostra con tutta evidenza il dato normativo, laddove si stabilisce che “il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura nel caso questa venga violata” (26). Nonostante alcuni abbiano sostenuto la piena conformità dell’istituto al dettato costituzionale, in quanto misura non limitativa della libertà personale (27), ovvero perché ne mantiene intatto il contenuto essenziale (28), la parte maggioritaria della dottrina (29) si è sempre espressa in termini fortemente critici nei confronti di quella che ben può essere definita una vera e propria forma di detenzione amministrativa (30). L’incidenza del trattenimento sulla libertà personale dello straniero è ormai fuor di dubbio, a seguito della già citata sentenza della Corte Costituzionale 10 aprile 2001, n. 105, in cui la Corte afferma che “il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione” (31), appartenendo in particolare, a quelle “altre restrizioni della libertà personale” di cui al medesimo articolo 13. Il fatto che il legislatore abbia assegnato al trattenimento anche una finalità di assistenza nei confronti dello straniero (32), non è, ad avviso della Corte, elemento che porti ad escludere la restrizione della libertà che esso comporta. Infatti:

Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale. (33)

Diretta conseguenza dell’appartenenza dell’istituto del trattenimento al novero delle misure incidenti sulla libertà personale è la necessità del rispetto della riserva di giurisdizione prevista dall’articolo 13 della Costituzione, che avviene mediante il procedimento di convalida del trattenimento disposto dal questore. Ciò che però differenzia sensibilmente la convalida del trattenimento dello straniero dalla convalida dell’arresto in flagranza o del fermo di polizia (ossia quelle altre ipotesi in cui le autorità di polizia provvedono autonomamente all’adottare misure limitative della libertà personale), sta nel fatto che, mentre nel caso di quest’ultimi il giudice convalida (o non convalida) l’arresto o il fermo, e poi, eventualmente, dispone con autonomo provvedimento ogni ulteriore restrizione di libertà; nel caso del trattenimento lo stesso provvedimento convalida la restrizione già sofferta e allo stesso tempo “comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni” (34), senza che al giudice sia data la possibilità di determinare la durata del periodo di trattenimento in relazione alle esigenze del caso concreto e ai motivi addotti dal questore nel provvedimento di trattenimento (35). La Corte Costituzionale non ha ritenuto di censurare il suddetto meccanismo di convalida, dichiarando infondata la relativa questione.

Il legislatore, con valutazione che non appare affetta da irragionevolezza, ha ritenuto che, per rimuovere gli impedimenti all’esecuzione del provvedimento di espulsione, sia necessario un periodo di tempo che può giungere nel massimo a venti giorni, prorogabili di ulteriori dieci giorni a richiesta del questore, limite varcato il quale è da ritenersi che il trattenimento perda efficacia. Non si tratta di un tempo di restrizione della libertà personale che deve essere consumato interamente. È infatti previsto dall’art. 14, comma 1, del decreto legislativo di cui si tratta che lo straniero deve essere trattenuto “per il tempo strettamente necessario” e quindi, concorrendone le condizioni, la misura deve cessare prima dello spirare del termine ultimo. Il fatto che la convalida si riferisca all’operato dell’autorità di pubblica sicurezza e, insieme, costituisca titolo per l’ulteriore trattenimento fino al limite dei venti giorni, non comporta alcuna violazione della riserva di giurisdizione posta dall’art. 13 della Costituzione, giacché il trattenimento convalidato è riferibile, sia per la restrizione già subita, sia per il periodo residuo entro il quale può protrarsi, ad un atto motivato dell’autorità giudiziaria

La critica principale che è stata mossa a questa pronuncia della Corte, è quella di aver sostanzialmente eluso “la questione relativa all’effettività del controllo, da parte del giudice, della durata del trattenimento” (36), poiché la valutazione sull’entità del “tempo strettamente necessario” all’esecuzione dell’espulsione è demandata esclusivamente al questore. A ciò si aggiunga che la sentenza n. 105/2001 è intervenuta quando era ancora in vigore la versione originaria del T.U. Immigrazione, che oltre a prevedere l’esecuzione in forma coattiva dell’espulsione come modalità eccezionale a fronte della regola dell’intimazione all’allontanamento, fissava la durata massima del trattenimento in venti giorni, prorogabili di ulteriori dieci, durata che è stata a più riprese aumentata fino a 180 giorni (37).

Come si è detto il rispetto della riserva di giurisdizione è demandato al giudizio di convalida del trattenimento. Questo si svolge davanti al giudice di pace territorialmente competente, ossia quello del luogo in cui si trova il centro (38), che ben può essere diverso dal luogo in cui lo straniero è stato rintracciato ed è stato emesso nei suoi confronti il decreto prefettizio di espulsione e il provvedimento del questore che dispone l’accompagnamento. Questa disposizione è stata criticata sotto il profilo del rispetto dell’articolo 25 della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, perché nel trattenimento dello straniero “il questore decide in ultima analisi anche quale sarà il giudice chiamato a convalidare l’operato dell’amministrazione” (39). Il requisito della vicinanza che, secondo il disposto del primo comma dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, deve indirizzare l’individuazione da parte del questore del centro in cui tradurre lo straniero espellendo, è stato espressamente sottratto al vaglio del giudice della convalida dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271, che ha così modificato il comma 4 dell’articolo 14 T.U. Immigrazione.

L’innovazione è tesa a contrastare l’indirizzo giurisprudenziale che sindacava l’osservanza di tale requisito, escludendo la convalida nei casi in cui la scelta da parte del questore di trattenere lo straniero in un centro diverso da quello “più vicino” non fosse accompagnata da adeguata documentazione circa l’indisponibilità di centri “meno lontani” (cfr. Trib. Agrigento, est. Conti, 18.11.2000, in Dir. Imm. Citt., 1/2001). Nonostante la previsione regolamentare, l’esclusione del sindacato giurisdizionale sulla scelta del centro presso il quale trattenere l’espellendo attribuisce, in buona sostanza, all’amministrazione la possibilità di “scegliersi il giudice”, con evidenti ricadute sul piano dell’osservanza del principio del giudice naturale ex art. 25, co. 1 Cost. (40)

L’udienza di convalida si svolge, secondo l’articolo 14, comma 4 T.U. Immigrazione, in camera di consiglio, con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito, e dell’interessato che deve essere tradotto nel luogo in cui si svolge l’udienza, anche se spesso questo è lo stesso centro in cui l’interessato è trattenuto, poiché secondo il comma 5-ter dell’articolo 13 T.U. Immigrazione, sono le questure che “forniscono al giudice di pace, nei limiti delle risorse disponibili, il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo”. La Corte Costituzionale, chiamata a valutare la conformità ai principi costituzionali della scelta del legislatore di svolgere il procedimento di convalida secondo le forme proprie del rito camerale, che secondo i remittenti “non è idoneo a garantire la pienezza del contradditorio”, ha dichiarato, con ordinanza 14 – 26 febbraio 2002, n. 35, la questione manifestamente infondata (41). Ad avviso della Corte la scelta del procedimento camerale disciplinato dagli articolo 737 e ss. del codice di procedura civile

quando sia prevista senza l’imposizione di specifiche limitazioni del contraddittorio, non viola di per sé il diritto di difesa, e l’adottarla in vista della esigenza di speditezza e semplificazione delle forme processuali è una scelta che solo il legislatore, avuto riguardo agli interessi coinvolti, può compiere e che sfugge al sindacato di questa Corte salvo che non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza

Inoltre, la Corte Costituzionale, ha ritenuto che nel caso di specie da un lato siano “innegabili” le esigenze di “speditezza e semplificazione” in ragione delle quali si giustifica la scelta del rito camerale, dall’altro che non si vede sacrificato il diritto di difesa, in quanto il giudice della convalida ha, secondo l’articolo 738, comma 3 del codice di procedura civile, il “potere di ‘assumere informazioni’ esercitando il quale può controllare la reale sussistenza degli impedimenti addotti dall’autorità di polizia ad una immediata esecuzione dell’accompagnamento alla frontiera ed accertare se ricorrano ipotesi di divieto di espulsione”. La Corte aggiunge, che:

questa Corte ha già chiarito, nell’ordinanza n. 140 del 2001, che il potere di “assumere informazioni” è assai più ampio di quello attribuito al giudice dall’art. 213 cod. proc. civ., poiché non ha esclusivamente come destinatario una pubblica amministrazione ma può essere indirizzato nei confronti di qualsiasi soggetto pubblico o privato in grado di fornire elementi affidabili e postula che le risposte possano essere fornite con qualunque mezzo di comunicazione, compresi quelli più moderni e tecnologicamente avanzati, dei quali l’autorità giudiziaria, in procedimenti caratterizzati da speditezza e tuttavia concernenti la libertà personale, deve essere dotata

In commento all’ordinanza di cui trattasi, autorevole dottrina ha sottolineato “la siderale distanza tra la Consulta e le aulette dei C.P.T. in cui si tengono le udienze di convalida che, di norma, non sono munite nemmeno di una linea telefonica” (42). Ciò che in sostanza si rimprovera alla Corte, è il fatto di “accontentarsi” delle garanzie formalmente riconosciute dalla legge, le quali, già di per sé carenti sotto diversi profili (43), spesso non trovano reale attuazione (basti pensare ai moduli prestampati utilizzati dalle questure per adottare i provvedimenti di trattenimento limitandosi a barrare una delle voci indicanti i motivi che la legge prevede per legittimare la misura, senza ulteriori specificazioni).

La scarsa effettività della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dello straniero, è resa ancor più grave se si considera che, negli anni che sono trascorsi dall’introduzione nell’ordinamento dell’istituto del trattenimento nei centri di detenzione amministrativa, la durata della privazione della libertà è nettamente aumentata. Rilevante è stata, a questo proposito, la modifica operata con la legge 15 luglio 2009, n. 94 (“Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”), la quale, attraverso l’introduzione di due ulteriori proroghe, ha portato da 60 a 180 giorni il termine massimo di trattenimento dello straniero in attesa di espulsione. Decorso inutilmente il termine di 30 giorni dall’inizio del trattenimento, il questore può chiedere al giudice di pace una prima proroga, di ulteriori 30 giorni, nel caso in cui l’accertamento dell’identità, o nazionalità del trattenuto, ovvero l’acquisizione dei documenti per il viaggio presentino “gravi difficoltà” (44). La seconda e la terza proroga, ossia quelle introdotte con la legge n. 94/2009, sono di 60 giorni ciascuna, e possono essere disposte, sempre dal giudice di pace su richiesta del questore, quando vi sia mancata cooperazione al rimpatrio da parte dell’interessato, ovvero si verifichino ritardi nell’ottenimento della documentazione da parte di Paesi terzi. L’unico ulteriore requisito richiesto per la seconda delle due proroghe di 60 giorni, è che “sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo” (45) per l’esecuzione dell’espulsione. Come la prima convalida, quando si tratta di disporre la proroga del trattenimento, il giudice non ha la facoltà di determinare il tempo necessario per superare gli ostacoli che si frappongono all’esecuzione dell’espulsione: può concedere o negare la proroga per la durata prevista dalla legge; ad avere il potere di determinarne la concreta durata è il questore, che può in ogni tempo dare esecuzione al provvedimento espulsivo, dovendo soltanto darne comunicazione al giudice (46). In merito al procedimento davanti al Giudice di Pace per la proroga del trattenimento, la Corte di Cassazione, con sentenza della I sezione civile del 24 febbraio 2010, n. 4544, ha fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 14 del T.U. Immigrazione, che non prevede espressamente le garanzie del contradditorio stabilite per la prima convalida. Secondo la Corte, che ha cassato un decreto di proroga emesso inaudita altera parte, anche se il comma 5 non reitera le garanzie di cui al precedente comma 4 (presenza necessaria del difensore e audizione dell’interessato), queste devono considerarsi implicitamente richiamate, altrimenti si violerebbero gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Di conseguenza le proroghe della permanenza nei CIE devono sempre essere precedute da un’udienza con instaurazione del contraddittorio (47).

Se il trattenimento dello straniero è preordinato all’esecuzione del provvedimento prefettizio di espulsione, e se, come si è visto, a questo fine il legislatore è disposto al sacrificio dei diritti della persona coinvolta, facendo prevalere l’interesse dello Stato al contenimento delle presenze irregolari sul proprio territorio, allora c’è da chiedersi se le scelte di politica legislativa in materia siano efficaci a conseguire tale obiettivo.

Secondo le stime fornite dalla Fondazione Ismu e riportate dalla Caritas, gli stranieri irregolarmente presenti sul territorio italiano all’inizio dell’anno 2010 erano circa 544.000 (48). Di questi soltanto 7.039 sono transitati in uno dei 13 centri presenti in Italia, il che significa all’incirca l’1,2% del totale. Percentuale che scende ulteriormente (0,6%) se si considera che sono soltanto 3.399 gli stranieri effettivamente rimpatriati dopo essere stati trattenuti (Tabella 1)
Tabella 1. ITALIA. Persone transitate nei Cie per esito del trattenimento, valori assoluti e percentuali (gennaio – dicembre 2010) Esito v.a. %
Richiedenti asilo 150 2,1
Effettivamente rimpatriati 3.399 48,3
Dimessi perché non identificati allo scadere dei termini 1.234 17,5
Allontanatasi arbitrariamente 321 4,6
Trattenimento non convalidato dall’Autorità Giudiziaria 704 10
Dimessi dai centri per altri motivi 1.084 15,4
Arrestati all’interno dei centri 147 2,1
Deceduti all’interno dei centri 0 0
Totale transitati nei centri 7.039 100

FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno

Per evidenziare che non si tratta di un dato contingente, limitato all’anno 2010, si riportano i dati relativi agli stranieri transitati nei CIE, ed effettivamente rimpatriati negli anni 2002-2006, con una precisazione: nel 2006 i rumeni presenti nei centri (CPTA) rappresentavano il 31% del totale, e che fino al 31 dicembre 2006, sulla base dell’accordo bilaterale di riammissione dei propri cittadini tra l’Italia e la Romania, il rimpatrio dei cittadini rumeni avveniva con relativa facilità (49).
Tabella 2. Stranieri rimpatriati a seguito di trattenimento nei CPT Anno Stranieri detenuti Stranieri rimpatriati %
2002 17.469 6.372 36,48
2003 13.863 7.021 50,65
2004 16.605 8.944 53,86
2005 16.163 11.087 68,59
2006 12.842 7.350 57,23
Totale (2002-2006) 76.942 40.774 52,99

FONTE: F. Miraglia, CPT: Utili o Inutili? Un’analisi del sistema della detenzione amministrativa e dei suoi effetti, “Studi sulla questione criminale”, 2007, 1.

Al di là dei valori percentuali (50), rispetto agli anni compresi tra il 2002 e il 2006, nel 2010 è decisamente inferiore il numero totale sia delle persone transitate nei centri che di quelle effettivamente rimpatriate.

È di tutta evidenza che il sistema dei centri di detenzione amministrativa incide in modo pressoché trascurabile sul fenomeno della presenza irregolare degli stranieri in Italia. E questo a fronte di costi elevatissimi non soltanto in termini umanitari (51), considerazione questa per molti insufficiente, ma anche economici. Riguardo a questi ultimi, la scarsità delle informazioni disponibili, sottolineata dalla stessa Corte dei Conti (52), rende difficile avere dati completi e aggiornati. La stima suoi costi, effettuata sulla base dei dati resi noti dalla Corte dei Conti, riferiti all’anno 2004, soltanto per quel che riguarda i costi di gestione, costruzione e acquisizione dei centri, è di circa 10.000 euro a persona effettivamente espulsa (53).

Concludendo si può affermare che la detenzione amministrativa degli stranieri in attesa di espulsione non soltanto comporta un enorme sacrificio dei diritti di quest’ultimi, ma si rivela alla prova dei fatti inefficacie e costosa. Questa la conclusione a cui è giunta la Commissione De Mistura nel 2007, che nel proprio rapporto ha proposto il superamento del sistema, attraverso uno svuotamento progressivo dei centri. Proposta che è rimasta lettera morta, dal momento che, caduto il Governo di centro-sinistra allora in carica senza aver conseguito alcun risultato in questo senso, il Governo ad esso subentrato ha ulteriormente elevato il limite massimo di durata del trattenimento, andando così nella direzione diametralmente opposta a quella indicata dai risultati della Commissione d’indagine.
1.3 Ordine di allontanamento del questore

La limitata capienza dei centri di identificazione ed espulsione e la cronica inefficienza della pubblica amministrazione, che, come si è visto nel paragrafo precedente, molto spesso non riesce a dare esecuzione ai provvedimenti di accompagnamento coattivo nei termini massimi previsti per il trattenimento, comportano la previsione di un’ulteriore modalità di esecuzione dell’espulsione: l’ordine di allontanamento da parte del questore. In sostanza il comma 5-bis dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, prevede che, laddove lo Stato non sia riuscito ad effettuare l’espulsione, all’esito di un periodo di trattenimento di 180 giorni, ovvero nel caso in cui non vi sia disponibilità di posti nei CIE, vi sia l’emissione, da parte del questore, di un ‘ordine’, con il quale si intima allo straniero di ‘autoespellersi’ nel termine (54) di cinque giorni (55). La mancata ottemperanza, da parte dello straniero, all’ordine del questore, configurava una fattispecie di reato, sanzionato con la reclusione da uno a quattro anni (56), e implicava l’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione. Con riguardo a quest’ultimo, di particolare rilevanza sono state le modifiche apportate con la legge 15 luglio 2009, n. 94 (“Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”), che ha novellato i commi 5-bis, 5-ter e 5-quater dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, al fine di superare il consolidato orientamento giurisprudenziale che escludeva la reiterabilità degli ordini di allontanamento. Infatti, prima della riforma del luglio 2009, il comma 5-ter prevedeva che, in caso di mancata ottemperanza dello straniero all’ordine impartitogli dal questore, si procedesse “in ogni caso” all’adozione di “un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”. La prima questione dibattuta in dottrina riguardava la necessità o meno che il nuovo provvedimento di espulsione avesse come presupposto l’accertamento della responsabilità penale in relazione alla violazione del primo ordine di allontanamento. Milita, nel senso della necessità del previo accertamento della responsabilità penale, la considerazione che, in caso contrario, la medesima condotta per cui il giudice penale, ritenendo sussistente il “giustificato motivo”, ha assolto lo straniero giustifica l’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione (57).

La seconda questione, riguardava strettamente la reiterabilità dell’ordine di allontanamento del questore, e il fenomeno, divenuto prassi nel triennio 2003-2005, delle “espulsioni a catena” (58). Questa prassi, che vedeva il medesimo straniero più volte arrestato e processato, magari a distanza di pochi giorni, per non aver ottemperato ad una serie (potenzialmente indefinita) di ordini di allontanamento, è stata messa in discussione dai giudici di merito, i quali sostenevano che il secondo ordine fosse illegittimo, sulla base del dato letterale che imponeva “in ogni caso” l’esecuzione mediante accompagnamento coattivo. Nello stesso senso si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità, che, con sentenza della I sezione penale, 11 gennaio 2006, n. 580, ha escluso la reiterabilità degli ordini di allontanamento. La Suprema Corte, ha fatto leva sulla locuzione “in ogni caso”, che

riferita al nuovo provvedimento di espulsione esclude qualunque richiamo all’eccezione contemplata nel precedente art. 5-bis, che consente al questore, in presenza dei presupposti indicati nella stessa norma […], di ordinare allo straniero “di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni”

Le considerazioni svolte dalla Corte riguardano, da un lato l’improbabile “spontanea osservanza dell’ordine amministrativo di espulsione da parte di uno straniero che ha già manifestato di non volervi ottemperare”, che spiega la previsione legislativa del “carattere vincolate” della modalità coattiva per l’esecuzione della seconda espulsione; dall’altro il dato ricavabile dalla previsione dell’articolo 14 comma 5-quinquies, che, dispone che il questore adotti il trattenimento dello straniero al fine di dare esecuzione all’espulsione.

In conclusione, la Corte afferma che

ferma restando la possibilità (eccezionale) di una spontanea osservanza dell’ordine di espulsione da parte dello straniero in presenza dei presupposti indicati dall’art. 5-bis, l’adozione di un secondo ordine di espulsione non può che avvenire secondo le modalità indicate nella parte finale dell’art. 5-ter, e cioè mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Con l’ulteriore conseguenza che, ove l’esecuzione dell’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera non sia immediatamente possibile, il questore deve disporre il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza […]

Ne deriva che, se a seguito dell’adozione di un secondo provvedimento di espulsione non viene accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica, lo straniero non commette una nuova violazione dell’art. 5-ter, trattenendosi senza giustificato motivo nel territorio dello Stato. Una volta esauritasi l’efficacia del primo provvedimento di espulsione con la sentenza di condanna, è sì possibile l’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione ma questo va eseguito “in ogni caso” solo con le modalità indicate nell’art. 5-ter ultima parte (accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica) ovvero, qualora sia impossibile eseguire immediatamente l’espulsione in questo modo, disponendo il suo trattenimento presso un centro di permanenza temporanea

Ulteriore conseguenza di tale orientamento interpretativo era la non applicabilità, nei confronti di chi non si fosse allontanato dal territorio italiano, del delitto previsto dal comma 5-quater, il quale rivolgendosi allo “straniero già espulso ai sensi del comma 5-ter, primo periodo”, che venisse trovato nel territorio dello Stato, sostanzialmente postulava che il provvedimento di espulsione fosse stato eseguito e che lo straniero fosse poi rientrato in Italia (59).

In seguito alle modifiche apportate con la legge n. 94/2009, la seconda parte del comma 5-ter, dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, stabilisce che

In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo

L’esplicito rinvio al comma 5-bis, rende evidente l’intenzione del legislatore di permettere l’emissione di reiterati ordini di allontanamento nei confronti dello straniero inottemperante. Il che, insieme al nuovo testo del successivo comma 5-quater (60), finisce con il consentire “l’incriminazione in perpetuo dello straniero inottemperante ad ordini di allontanamento emessi in successione, ossia, in ultima analisi, quella “spirale di condanne” che la giurisprudenza di legittimità aveva paventato” (61). Sulla ratio sottesa alla modifica del comma 5-quater si è espresso in termini molto espliciti Guido Savio, affermando che essa consiste

nell’affossare la giurisprudenza che vietava la reiterabilità dell’ordine questorile, imponendo all’Amministrazione di dare esecuzione ai suoi provvedimenti, senza ulteriormente gravare sulla giustizia penale. Il ruolo servile della giurisdizione rispetto all’azione della P.A., è così ulteriormente ribadito. (62)
1.4 Esecuzione dell’espulsione: alcuni dati

A conclusione dell’analisi fin qui svolta sul sistema di espulsione dello straniero in Italia antecedente alla direttiva 2008/115/CE e prima di analizzare i reati ad esso collegati, si ritiene utile riportare alcuni dati relativi agli stranieri allontanati degli ultimi 12 anni (Tabella 3).
Tabella 3. ITALIA. Respingimenti, espulsioni e rimpatri, valori assoluti e percentuali (1999-2010) Provvedimento 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Respinti frontiera 48.437 42.221 41.058 43.795 27.397 24.528
Espulsi / Rimpatriati 23.955 23.836 34.390 44.706 37.756 35.437
Totale persone allontanate 72.392 66.057 75.448 88.501 65.153 59.965
Non ottemperanti 40.489 64.734 58.207 61.282 40.486 45.697
Totale coinvolti 112.881 130.791 133.655 149.783 105.739 105.662
% allontanati su coinvolti 64,1 50,5 56,4 59,1 61,6 56,8
Provvedimento 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Respinti frontiera 23.878 20.547 11.099 6.358 4.298 4.201*
Espulsi / Rimpatriati 30.428 24.902 15.680 17.880 14.063 16.086
Totale persone allontanate 54.306 45.449 26.779 24.238 18.361 20.287
Non ottemperanti 65.617 78.934 47.983 46.391 34.462 30.430
Totale coinvolti 119.923 124.383 74.762 70.629 52.823 50.717
% allontanati su coinvolti 45,3 36,5 35,8 34,3 37,4 40,0*

*Il dato non include i respinti alla frontiera terrestre, verosimilmente poche centinaia.

FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno.

Ricordando che all’inizio dell’anno 2010 si stimavano 544.000 stranieri irregolarmente presenti, si nota subito come gli allontanamenti riguardino soltanto una minima parte di essi, e questo a prescindere dagli entusiastici proclami settimanali del Viminale (63). Siamo quindi di fronte ad un sistema che non soltanto ha dimostrato serie difficoltà di tenuta costituzionale e caratterizzato da un forte intreccio tra istituti amministrativistici e penalistici (64), ma anche sostanzialmente ben poco efficiente.
2. I reati collegati all’espulsione
2.1 Inottemperanza all’ordine di allontanamento

A presidio dell’ordine di allontanamento di cui al comma 5-bis dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, con la legge 189/2002 è stata introdotta una sanzione penale nei confronti dello straniero che non ubbidisca al predetto ordine. La previsione di conseguenze penali a carico del trasgressore dell’ordine del questore valgono ad escludere che a proposito di quest’ultimo possa parlarsi di allontanamento volontario dello straniero. Anche l’istituto in discorso ha subito alcune modifiche nel corso degli anni, portando ad un progressivo irrigidimento della disciplina e ad un notevole inasprimento sanzionatorio (65).
2.1.1 Bene protetto, condotta e natura giuridica

Il reato di ingiustificata inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore appartiene alla categoria dei reati di inosservanza, date le analogie strutturali con la fattispecie di cui all’articolo 650 del codice penale (66). Quest’ultimo è reato di tipo contravvenzionale, posto a presidio dei provvedimenti dell’autorità, che devono essere legittimamente dati ed essere adottati nell’interesse della collettività, essendo il bene giuridico protetto dall’articolo 650 del codice penale, l’ordine pubblico in senso lato (67). Le incriminazioni di cui trattasi nel presente paragrafo sono “forme speciali di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità” (68), nelle quali l’elemento qualificante è da individuare nella “base giuridica del provvedimento” (69), ovverosia nell’ordine con cui il questore dà esecuzione al decreto prefettizio di espulsione.

Il reato di cui al comma 5-ter (e ora anche quello di cui al successivo comma 5-quater) dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, ha come finalità quella di rendere effettivo il provvedimento di espulsione; in sostanza la minaccia della sanzione penale dovrebbe spingere lo straniero ad obbedire all’ordine del questore e allontanarsi dal territorio dello stato.

la norma incriminatrice, mirando a rendere effettivo il provvedimento di espulsione, persegue l’obiettivo di rimuovere situazioni di illiceità o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato, nella cornice del più generale potere – che al legislatore indubbiamente compete – di regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati. (70)

In definitiva, oggetto giuridico del reato in esame è “la legalità della presenza dello straniero nel territorio dello Stato, ossia l’osservanza della normativa sull’immigrazione” (71). Il reato si perfeziona allo scadere del termine di cinque giorni indicato nell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, senza che lo straniero abbia lasciato il territorio nazionale. Trattasi quindi di reato omissivo proprio, natura che, secondo autorevole dottrina (72), non è venuta meno nonostante la qualificazione della condotta nei termini del “permanere illegalmente” in luogo del precedente “si trattiene”; modifica intervenuta con la legge n. 94/2009.

Il carattere omissivo del reato de quo discende dalla considerazione che all’ordinamento non interessa stabilire quale condotta lo straniero abbia posto in essere al fine di non lasciare il territorio dello Stato, essendo sufficiente accertare l’ingiustificato e colpevole non allontanamento, consistendo la condotta sanzionata in un non facere quod debetur, trattandosi appunto di un classico esempio di reato di inottemperanza. (73)

Semmai il fatto che la condotta sia ora qualificata nei termini dell’illegalità della permanenza, significa, secondo alcuni, che essa “consisterà non solo nella violazione dell’ordine questorile, estendendosi anche alla illegalità della permanenza, intesa come contrarietà all’insieme delle disposizioni del TU relative all’ingresso e al soggiorno” (74). La conseguenza paventata è che venga ampliata la tipicità della norma incriminatrice, riducendosi, per il giudice, lo spazio di sindacabilità della legittimità del provvedimento del questore, poiché il reato potrebbe sussistere a prescindere da essa, ma in conseguenza della mera illegalità della permanenza (75). Circa la natura, istantanea o permanente (76), del reato, la seconda ricostruzione si è affermata come nettamente prevalente in dottrina e giurisprudenza (77).
2.1.2 Il reato di cui al comma 5-ter: da contravvenzione a delitto

Nella formulazione originaria il comma 5-ter dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, introdotto con la legge n. 189/2002, prevedeva che lo straniero inottemperante all’ordine del questore fosse punito con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno: si trattava quindi di una contravvenzione. Il successivo comma 5-quinquies, stabiliva l’arresto obbligatorio per l’autore del fatto e che si procedesse con rito direttissimo. All’indomani dell’entrata in vigore delle modifiche apportate al T.U. Immigrazione dalla legge n. 189/2002, si sono immediatamente levate numerose voci critiche, che hanno denunciato l’introduzione nell’ordinamento italiano del reato di immigrazione clandestina, sotto le mentite spoglie della non ottemperanza al provvedimento dell’autorità (78). A destare particolari perplessità è stata la previsione dell’arresto al di fuori dei limiti individuati dagli articoli 380, 381 e 384 del codice di procedura penale, configurato come obbligatorio anche per una contravvenzione (79): si è infatti sottolineata l’anomalia della previsione dell’arresto slegata dalla “possibilità di adottare misure coercitive della libertà personale da parte dell’autorità giudiziaria” (80). I medesimi dubbi sono stati alla base di una serie di ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale, la quale si è pronunciata con sentenza 8 – 15 luglio 2004, n. 223, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 5-quinquies T.U. Immigrazione. In ragione dell’importanza rivestita dalla predetta pronuncia, in particolare in relazione al successivo intervento del legislatore, si ritiene necessario riportarne i passaggi fondamentali. La Consulta in primo luogo richiama il disposto dell’articolo 280 del codice di procedura penale, che stabilisce che le misure cautelari possono essere disposte soltanto per i delitti per i quali la legge stabilisca la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ovvero quattro nel caso in cui si debba applicare la custodia cautelare in carcere. Invece:

la norma censurata prevede […] l’arresto obbligatorio per un reato contravvenzionale, per di più sanzionato con una pena detentiva, l’arresto da sei mesi a un anno, di gran lunga inferiore a quella per cui il codice ammette la possibilità di disporre misure coercitive. Ne consegue – attesa l’autonomia tra il giudizio di convalida, volto a verificare ex post la legittimità dell’operato dell’autorità di polizia, e la protrazione dello stato di privazione della libertà personale, per la quale è richiesto un ulteriore e autonomo provvedimento (ordinanza n. 297 del 2001) – che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla convalida dell’arresto per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998 deve comunque disporre l’immediata liberazione dell’arrestato ex art. 391, comma 6, cod. proc. pen., ove non vi abbia già provveduto il pubblico ministero a norma dell’art. 121 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, posto che per tale reato la legge gli preclude di disporre la custodia cautelare in carcere e, più in generale, qualsiasi misura coercitiva.

Ma, soprattutto, la Corte Costituzionale, pone l’accento sul carattere ‘servile’ delle misure ‘precautelari’, nei confronti delle esigenze processuali, funzione che manca nel caso di specie.

L’arresto obbligatorio previsto dall’art. 14, comma 5-quinquies, è dunque privo di qualsiasi sbocco sul terreno processuale, è una misura fine a se stessa, che non potrà mai trasformarsi nella custodia cautelare in carcere, né in qualsiasi altra misura coercitiva, e non trova alcuna copertura costituzionale.

In particolare, a norma dell’art. 13, terzo comma, Cost., all’autorità di polizia è consentito adottare provvedimenti provvisori restrittivi della libertà personale solo quando abbiano natura servente rispetto alla tutela di esigenze previste dalla Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle finalità del processo penale, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale in vista dell’intervento dell’autorità giudiziaria.

Ove – come nel caso di specie – non sia dato riscontrare alcun rapporto di strumentalità tra il provvedimento provvisorio di privazione della libertà personale e il procedimento penale avente ad oggetto il reato per cui è stato disposto l’arresto obbligatorio in flagranza, viene meno, come questa Corte ha in più occasioni rilevato, la giustificazione costituzionale della restrizione della libertà disposta dall’autorità di polizia […]

Pertanto la misura “precautelare” prevista dall’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 286 del 1998, non essendo finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, si risolve in una limitazione “provvisoria” della libertà personale priva di qualsiasi funzione processuale ed è quindi, sotto questo aspetto, manifestamente irragionevole.

La Corte precisa, inoltre, che la misura prevista dall’articolo 14, comma 5-quinquies T.U. Immigrazione, non può essere ritenuta finalizzata (“seppure impropriamente”) ad assicurare l’esecuzione dell’espulsione, poiché questa è autonomamente assicurata dalle previsioni del comma 5-ter (che dispone che nei confronti dell’inottemperante si proceda ad una nuova espulsione con accompagnamento coattivo) e del secondo periodo del comma 5-quinquies che rimanda al comma 1 dello stesso articolo 14, “al fine di dare esecuzione al provvedimento di espulsione”. In questo senso la decisione della Corte diverge completamente dall’opinione espressa dall’Avvocatura di stato che aveva invece sostenuto la legittimità della previsione dell’arresto obbligatorio, in quanto rispondente all’esigenza “di prevenzione sociale di impedire che lo straniero si trattenga ulteriormente nel territorio dello Stato e si renda irreperibile”.

La risposta del legislatore a seguito della predetta declaratoria di incostituzionalità è arrivata con la legge 12 novembre 2004, n. 271, in sede di conversione del decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, adottato a seguito di un’altra pronuncia della Corte Costituzionale riguardante la disciplina della convalida del provvedimento di accompagnamento coattivo, della quale si è detto. La strada scelta è stata quella di una sostanziale elusione del giudicato costituzionale (81), con l’unico intento di rendere legittima la previsione dell’arresto obbligatorio per l’inottemperante (82), attraverso la trasformazione dell’illecito da contravvenzione a delitto (83), con un notevole inasprimento della pena edittale, portata alla reclusione da 1 a 4 anni. Il fatto che la medesima condotta, ad appena due anni di distanza dall’introduzione della sanzione penale, senza che vi fosse stata alcuna variazione percettibile del fenomeno migratorio nel nostro paese, fosse valutata dal legislatore in modo così differente, tanto da comportare un simile innalzamento della pena prevista, ha sollevato immediate reazioni della giurisprudenza di merito, che ha portato nuovamente la questione all’attenzione della Corte costituzionale.

Le numerose ordinanze di remissione (84) criticano la normativa da poco entrata in vigore (85) sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, in relazione, principalmente, agli articolo 3 e 27, comma 3 della Costituzione. I giudici remittenti argomentano a partire da precedenti pronunce della Consulta, che avevano affermato che in rispetto del principio di uguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza, la pena dovesse essere proporzionata al disvalore del fatto commesso, così garantendo un bilanciamento tra il sacrificio del singolo e l’interesse di tutela dei beni e dei valori offesi (86). In secondo luogo, sempre secondo i remittenti, poiché la pena deve avere finalità rieducativa, secondo quanto sancito dall’articolo 27, comma 3 della Costituzione, essa non deve essere percepita dal condannato come eccessivamente afflittiva.

La valutazione circa la ragionevolezza delle scelte del legislatore in ambito penale è svolta attraverso il ricorso ad un tertium comparationis che permette di stabilire la conformità o meno ai parametri costituzionali del bilanciamento operato dalla legge (87). Quale termine di raffronto viene preso innanzitutto l’articolo 650 del codice penale, che, come si è già detto, presenta affinità strutturali con la norma qui esaminata, e “che punisce con l’arresto fino a tre mesi o con la sola ammenda l’inottemperanza ad un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico” (88). Ad essere criticata è la forte disparità di trattamento sanzionatorio, la quale è ravvisata anche nei confronti di altre norme penali contenute nello stesso T.U. Immigrazione, in primo luogo la sanzione prevista dall’articolo 13, comma 13-bis, che, secondo il giudice remittente, è caratterizzata da una condotta ben più grave di quella dell’inottemperante ex art. 14, comma 5-ter, che, inoltre “è posta in essere da un soggetto necessariamente recidivo e già giudicato in concreto pericoloso” (89). Inoltre, il forte inasprimento sanzionatorio non trovava giustificazione in un mutamento del contesto sociale, che rendesse necessaria l’adozione di risposte legislative. L’ordinanza del Tribunale di Genova del 10 dicembre 2004, fa riferimento all’ordinanza della Corte costituzionale n. 368 del 1995, con la quale veniva dichiarata manifestamente infondata la questione sollevata in merito all’innalzamento dei limiti edittali del reato di estorsione di cui all’articolo 629 del codice penale, poiché tale inasprimento “costituiva la risposta al fenomeno del ‘pizzo’ emerso con particolare gravità in alcune regioni nel corso degli anni ottanta e, quindi, a decenni di distanza (e quindi in un contesto sociale certamente diverso) da quando vennero scritte le sanzioni per la rapina e l’estorsione” (90).

Nella sentenza 2 – 7 febbraio 2007, n. 22, valutata espressione di “una arrendevolezza appena mascherata dal rigore asettico dell’argomentare” (91), la Corte innanzitutto ha respinto l’asserita omogeneità con la fattispecie in esame con quelle assurte a tertia comparationis dai giudici rimettenti, sostenendo una differenza di finalità perseguite. Infatti, scopo dell’articolo 14, comma 5-ter, è “il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell’ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale”, che secondo la Consulta rappresenta un

grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione

La diversità dell’oggetto di tutela giuridica impedisce di svolgere un raffronto in termini di disparità di trattamento, ma secondo la Corte

può servire eventualmente al legislatore per una considerazione sistematica di tutte le norme che prevedono sanzioni penali per violazioni di provvedimenti amministrativi in materia di sicurezza pubblica, senza dimenticare peraltro che il reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero espulso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell’ordine di allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili. In altri termini, ciò che può costituire materia di utile riflessione per il legislatore non può rendere ammissibile una pronuncia di questa Corte, cui non è consentito trasporre sanzioni penali da una fattispecie ad un’altra in esito ad una altrettanto inammissibile scelta tra quelle che potrebbero presentare una qualche affinità

In un altro passaggio la Corte è ancora più esplicita nel criticare le scelte operate dal legislatore in materia di gestione del fenomeno migratorio, affermando:

il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa

Ciononostante, ed è qui che quella della Corte costituzionale è interpretata come una ‘resa’, il sindacato di costituzionalità non può spingersi fino al punto di rimodulare le sanzioni penali previste, per correggere una sproporzione sanzionatoria, della cui esistenza la Corte non dubita, perché in questo modo si troverebbe ad ‘invadere’ la sfera di competenza del legislatore. Non essendoci “soluzioni costituzionalmente obbligate”, con cui poter giungere ad un “nuovo assetto delle sanzioni penali stabilite dal legislatore”, la Corte non può che dichiarare l’inammissibilità delle questioni prospettare, potendosi limitare soltanto a “rilevare l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie prima evidenziate”. In attesa di un intervento legislativo che i giudici costituzionali esplicitamente ritengono necessario, il ‘suggerimento’ rivolto ai giudici di merito è di far leva sulla clausola del giustificato motivo, come interpretata dalla sentenza 13 gennaio 2004, n. 5 (92).
2.1.3 Il giustificato motivo

Il reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento, come tutti i reati omissivi propri, deve rispettare il principio ad impossibilia nemo tenetur, dovendo le condotte obbligate essere perlomeno possibili (93). A tale requisito risponde la clausola “senza giustificato motivo”, che è definita quale elemento costitutivo (94) della fattispecie, “normativo, negativo ed a contenuto elastico” (95), una sorta di “limite interno alla fattispecie incriminatrice” (96). Proprio con riferimento alla clausola contenuta nel comma 5-ter dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, la Corte costituzionale ha affermato che questa, come altre analoghe formule contenute in numerose fattispecie incriminatrici, ha la funzione di “valvola di sicurezza” del sistema penale, poiché preordinata ad evitare

che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori. (97)

La citata sentenza è stata emessa a seguito di dubbi di costituzionalità fondati sulla asserita mancanza di determinatezza della fattispecie, dovuta alla difficoltà nell’individuare l’esatto significato della clausola in discorso. La Corte costituzionale, al contrario, ritiene il carattere elastico della clausola necessario a fronte dell’impossibilità pratica di un’elencazione dettagliata di tutte le situazioni concrete che possono integrare l’astratta previsione normativa; un’eventuale tentativo di predeterminazione legislativa comporterebbe senz’altro delle lacune che andrebbero a svantaggio del reo (98). In questo caso, per verificare il rispetto del principio di determinatezza il giudice deve, sempre secondo la Corte, avere riguardo non solo per il singolo elemento della fattispecie, ma anche per le finalità della norma incriminatrice e per il contesto normativo in cui essa si colloca. In particolare, prosegue la Consulta, si devono prendere in considerazione le altre norme del T.U. Immigrazione, nonché gli altri testi normativi riguardanti lo straniero. Le situazioni che legittimavano il questore a derogare alla regola dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, quindi necessità di soccorso, difficoltà nell’ottenimento dei documenti per il viaggio, indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, esclusa naturalmente la difficoltà nell’identificazione dello straniero, possono considerarsi “sicuri indici di riconoscimento di situazioni nelle quali può ravvisarsi, per lo straniero, la sussistenza di «giustificati motivi» per non ottemperare all’ordine del questore” (99). Pur non ritenendo la condizione tipica del ‘migrante economico’ tale da poter integrare il giustificato motivo, salvo che ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti, la Corte si preoccupa di precisare che la clausola opera “quando l’inadempienza dipenda dalla condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio” (100).

Ultimo fondamentale passaggio della sentenza di cui trattasi, riguarda l’onere della prova della sussistenza del “giustificato motivo”.

S’intende, infatti, che, come in tutti gli altri casi in cui compare la formula «senza giustificato motivo» – fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente, quando possibile, l’esistenza di ragioni legittimanti l’inosservanza del precetto penale – lo straniero avrà, dal canto suo, un semplice onere di allegazione dei motivi non conosciuti né conoscibili dal giudicante. Nell’un caso e nell’altro – ossia tanto nel caso di rilievo ex officio che in quello di allegazione da parte dell’imputato – le situazioni integrative del «giustificato motivo» si tradurranno, quindi, in altrettanti temi di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice. (101)

Della clausola del “giustificato motivo”, la Corte costituzionale si è occupata anche in relazione alla fattispecie di cui al comma 5-quater dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, in particolare dopo le modifiche apportate con la legge 94/2009. Infatti, come già si è accennato, prima del suddetto intervento legislativo si era affermato un indirizzo giurisprudenziale volto ad escludere la reiterabilità in perpetuo degli ordini di allontanamento, e quindi evitare “la spirale di condanne per un fatto essenzialmente unitario, con cumuli di pena degni di vere e proprie carriere criminali” (102), affermando l’irrilevanza penale dell’inottemperanza dell’ordine reiterato. Sotto la vigenza del precedente comma 5-quater, la Corte costituzionale (103) aveva respinto le eccezioni di costituzionalità inerenti all’assenza della previsione della clausola del giustificato motivo, argomentando sulla base della diversità strutturale della fattispecie censurata rispetto a quella del comma 5-ter, assurta dal giudice di merito a termine di comparazione. In particolare, secondo la Consulta, mentre nel caso di quest’ultima la condotta punita è di tipo omissivo, concretizzandosi nel mancato allontanamento, il comma 5-quater sanziona un comportamento commissivo, ossia il reingresso a seguito di espulsione dello straniero già inottemperante ad un precedente ordine del questore. Di conseguenza, poiché il sindacato di costituzionalità in materia di fattispecie incriminatrici e trattamento sanzionatorio può esercitarsi solo attraverso un raffronto tra fattispecie omogenee, e poiché, le scelte discrezionali del legislatore possono essere censurate dalla Corte, solo in quanto manifestamente irragionevoli, nel caso di specie la mancata previsione della clausola del “giustificato motivo” è stata considerata legittima, potendo sempre trovare applicazione le ordinarie cause di giustificazione.

L’innovazione legislativa intervenuta con la legge 94/2009 modifica radicalmente la situazione, trasformando la fattispecie incriminatrice di cui al comma 5-quater, in modo da legittimare quella “spirale di condanne” che l’orientamento prevalente della giurisprudenza aveva escluso, con ciò confermando il “ruolo servente rispetto ai meccanismi amministrativi di espulsione che progressivamente il legislatore ha fatto assumere alla normativa penale, sostanziale e processuale, in tema di immigrazione” (104). Chiamata nuovamente a pronunciarsi a proposito della legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 5-quater, nella parte in cui non prevede che la sussistenza di un giustificato motivo valga ad escludere la punibilità dello straniero inottemperante, la Corte costituzionale ha, questa volta, ritenuto fondate le censure proposte dal giudice rimettente, in particolare, con rifermento al principio di uguaglianza, ritenendo assorbite le ulteriori questioni proposte (105). La Corte argomenta sulla base della sostanziale identità tra la fattispecie di cui al comma 5-quater e quella di cui al comma 5-ter del medesimo articolo 14 T.U. Immigrazione, e respinge l’assunto della difesa erariale, secondo il quale l’esclusione della clausola di salvezza nel solo caso della disposizione censurata, si spiega in ragione di una “progressione criminosa” dello straniero che reitera un comportamento omissivo che legittima un trattamento deteriore. Su quest’ultimo punto la Corte ha affermato che “sarebbe erroneo sovrapporre il piano della valutazione della gravità del reato a quello della giustificabilità della condotta” (106). Escludere che il giudice possa valutare la consistenza delle ragioni addotte dallo straniero per motivare la propria inottemperanza reiterata significherebbe, secondo la Corte, ritenere il comportamento di quest’ultimo “assolutamente ingiustificabile ex lege per il semplice fatto che la situazione ostativa venga allegata a seguito di un successivo ordine di allontanamento”.

Secondo la Corte:

è manifestamente irragionevole che una situazione ritenuta dalla legge idonea ad escludere la punibilità dell’omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validità se permane nel tempo, senza responsabilità del soggetto destinatario dell’ordine di allontanamento, o che il verificarsi di una nuova situazione ostativa, in sé e per sé idonea ad integrare l’ipotesi di un «giustificato motivo», sol perché intervenuta in un secondo momento, non abbia rilevanza ai fini del suo riconoscimento come elemento negativo del fatto di reato. Il punto centrale della disciplina, nella prospettiva in cui si colloca lo stesso legislatore, è la possibilità, in concreto, di giudicare esigibile l’osservanza dell’ordine di allontanamento
2.2 L’illecito reingresso nel territorio dello Stato

Una delle conseguenze dell’espulsione è, insieme alla segnalazione al Sistema d’Informazione di Schengen (SIS), il divieto di fare rientro nel territorio dello Stato prima del decorso del termine previsto dal comma 13 dell’articolo 13 T.U. Immigrazione (107), la cui violazione costituisce reato.

Come per i reati di inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore, anche la fattispecie di cui all’articolo 13, comma 13 T.U. Immigrazione, che punisce lo straniero espulso che rientri nel territorio nazionale senza la speciale autorizzazione del Ministro dell’intero, mira a tutelare l’ordine pubblico “connesso al presidio delle frontiere ed alla ordinata regolamentazione del flusso migratorio, dal momento che si vuole impedire in Italia il rientro di soggetti che sono già stati espulsi” (108). Anche in questo caso, inoltre, così come per reati precedentemente esaminati, si è assistito ad un progressivo inasprimento sanzionatorio: dalla pena originariamente prevista dell’arresto da due a sei mesi, poi aumentata da sei mesi a un anno ad opera della legge 189/2002, si è passati, con il decreto – legge 14 settembre 2004, n. 24,1 convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271, alla pena della reclusione da uno a quattro anni.

Per l’integrazione della fattispecie di cui trattasi, è necessario in primo luogo che vi sia stato un provvedimento legittimo di espulsione nei confronti dello straniero. In secondo luogo, tale provvedimento deve necessariamente essere stato eseguito, nel senso che lo straniero deve essere effettivamente uscito dal territorio nazionale, che ciò sia avvenuto volontariamente o coattivamente. Infine, lo straniero deve essere rientrato in Italia, senza la speciale autorizzazione del Ministro dell’interno, ovvero prima del decorso del termine di durata del divieto previsto nel decreto di espulsione (109).

Circa la natura, istantanea o permanente, del reato di illecito reingresso si confrontano opinioni difformi. L’argomento a sostegno della natura permanente (110) si basa sul perdurare dell’offesa al bene giuridico protetto dalla norma attraverso l’illegale permanenza protratta nel tempo, oltre che sulla presenza di un termine massimo che segna la cessazione della permanenza, ossia la durata temporale del divieto di reingresso (111). In favore dell’opposta opinione si fa leva sul momento in cui la condotta si perfeziona, ossia all’atto dell’attraversamento dei confini nazionali, non essendo rilevante il successivo stabilimento, definito come mero effetto permanente di un reato istantaneo (112). Inoltre, la previsione dell’obbligatorietà dell’arresto “anche fuori dai casi di flagranza” di cui all’articolo 13, comma 13-ter, non si spiegherebbe se si accogliesse la tesi della natura permanente, poiché in tal caso si verserebbe in ogni caso nell’ipotesi di flagranza (113).

La fattispecie fin qui brevemente descritta riguarda i trasgressori al divieto di reingresso conseguente ad un provvedimento di espulsione amministrativo, quindi gli espulsi a norma dell’articolo 13, commi 1 e 2, rispettivamente di competenza del Ministro dell’interno e del prefetto, alle quali si aggiunge l’ulteriore ipotesi riguardante i destinatari dell’espulsione ministeriale prevista dall’articolo 3 del decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito nella legge 31 luglio 2005, n. 155.

Nel caso in cui, invece, l’espulsione fosse stata disposta dal giudice, lo straniero che trasgredisca al divieto di reingresso è punito, a norma del successivo comma 13-bis del medesimo articolo 13 T.U. Immigrazione, con la reclusione da uno a quattro anni. Unico elemento di differenziazione rispetto alla fattispecie precedente risiede nella “diversità soggettiva dell’emittente del provvedimento di espulsione” (114). Rispetto alla possibilità di autorizzazioni al reingresso, mancando una disposizione esplicita da parte del legislatore è stata suggerita la seguente ricostruzione: ammissibilità delle autorizzazioni ex articolo 17 (115) e articolo 31, comma 3 (116) T.U. Immigrazione; legittimità di un trattamento differenziato per la richiesta di reingresso per ricongiungimento familiare (che potrebbe però concedersi nel caso di espulsione come misura sostitutiva o alternativa purché non si tratti di soggetti di cui all’articolo 13, comma 2, lettera c) T.U. Immigrazione); non estensibilità dell’autorizzazione del Ministro dell’interno all’espulsione disposta come misura di sicurezza, poiché la valutazione in merito alla pericolosità spetta in questo caso all’autorità giudiziaria, a differenza dell’espulsione come misura alternativa o sostitutiva in ragione del carattere amministrativo della stessa (117).

Ultima delle fattispecie contenute nell’articolo 13 T.U. Immigrazione, è quella che prevede la reclusione da uno a cinque anni per lo straniero che “già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale”. La Corte costituzionale si è espressa dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma, non potendosi

far derivare dalla solo denuncia conseguenze pregiudizievoli per il denunciato, in quanto essa comporta soltanto l’obbligo degli organi competenti “a verificare se e quali fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale” (118)

La sentenza appena citata si riferisce alla normativa antecedente le modifiche apportate con il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271, che ha notevolmente inasprito il trattamento sanzionatorio; nonostante la novella legislativa sia intervenuta nelle more della decisione della Consulta, quest’ultima non ha ritenuto di restituire gli atti al giudice a quo, in ragione del fatto che, comportando un peggioramento della posizione dell’imputato le modifiche introdotte non si sarebbero applicate al giudizio in corso. In questo modo la Corte ha avuto modo di esprimersi nel merito, richiamandosi ad un proprio precedente (119) e ribadendo che “la denuncia è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce” (120). La norma viene quindi ritenuta incostituzionale anche dopo le modifiche apportare dalla legge 271/2004, poiché le censure della Consulta non sembrano perdere la propria valenza (121).
Note

1. Secondo la formulazione originaria dell’articolo 13, commi 4 e 5 T.U. Immigrazione: “4. L’espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, quando lo straniero: a) è espulso ai sensi del comma 1 o si è trattenuto indebitamente nel territorio dello Stato oltre il termine fissato con l’intimazione; b) è espulso ai sensi del comma 2, lett. c) e il prefetto rilevi, sulla base delle circostanze obiettive, il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento. 5. Si procede altresì all’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica dello straniero espulso del comma 2, lett. a), qualora quest’ultimo sia privo di un valido documento attestante la sua identità e nazionalità e il prefetto rilevi, tenuto conto delle circostanze obiettive riguardanti il suo inserimento sociale, familiare e lavorativo, un concreto pericolo che lo straniero medesimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento”.

2. Cfr. Articolo 13, comma 5 T.U. Immigrazione.

3. Tra gli altri: P. Bonetti, “I provvedimenti di allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato di fronte alla libertà personale e alla libertà di circolazione e soggiorno”, E. Gianfrancesco, “Trattenimento temporaneo, accompagnamento coattivo alla frontiera ed espulsione amministrativa tra libertà personale, libertà da prestazioni personali e libertà di circolazione”; R. Pinardi, “Corte Costituzionale e libertà personale dello straniero tra vecchie logiche e nuove misure coercitive”; A. Pugiotto, “‘Ieri e oggi’: fermo di polizia e trattenimento dello straniero”, tutti in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti, cit..

4. In questo senso due ordinanze che hanno dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità: Ordinanza 7 novembre 2000, Tribunale di Milano, Giudice unico (Dott. Apostoliti) e Ordinanza 22-24 novembre 2000, Tribunale di Napoli, Giudice unico (Dott. De Tullio), entrambe in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti, cit., p. 239 e ss. In particolare, nella seconda si legge: “Ritiene questo Giudice, al contrario, che né il provvedimento di espulsione dello straniero, né il conseguente accompagnamento coattivo alla frontiera, da parte della forza pubblica, siano misure limitative della libertà personale, ai fini di cui all’art. 13 comma 2 Cost., e non piuttosto incidenti sulla libertà di circolazione e di soggiorno sul territorio dello Stato italiano, sancita dall’art. 16 Cost., in ordine alla quale ultima non è prevista alcuna riserva di giurisdizione, ben potendo essere disciplinata e anche compressa tale libertà di circolazione e soggiorno…”.

5. Così, G. D’Elia, “La “legittima difesa” dello Stato contro l'”aggressione” dello “straniero clandestino”, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti, cit., p. 73-75, che definisce l’ingresso clandestino nel territorio italiano come “una aggressione all’integrità ‘fisica’ dello Stato, la quale legittima misure proporzionate ed adeguate alla difesa del territorio”, sostenendo quindi che lo Stato sia legittimato a difendere “il proprio ‘spazio vitale’ […], anche se in deroga al dettato dell’art. 13 Cost.”.

6. Con le sentenze ‘interpretative di rigetto’, la Corte costituzionale giunge ad una pronuncia di infondatezza fornendo un’interpretazione in grado di adeguare la norma impugnata ai principi costituzionali, così da ‘salvarla’ dalla declaratoria di incostituzionalità. Qualora il giudice a quo ritenga di non condividere l’interpretazione suggerita dalla Corte deve nuovamente sollevare la questione, mettendo la Corte costituzionale nella condizione di “doppiare la prima sentenza interpretativa di rigetto con una sentenza che stavolta dichiari l’incostituzionalità della legge (è questo il meccanismo che viene indicato come della ‘doppia pronuncia’). E. Malfatti, S. Panizza e R. Romboli, Giustizia costituzionale, Torino, Giappicchelli, 2007, p. 122.

7. sentenza 22 marzo -10 aprile 2001, n. 105, considerato in diritto n. 4, p. 6.

8. sentenza 22 marzo -10 aprile 2001, n. 105, considerato in diritto n. 5, p. 7.

9. Ibid.

10. In questo senso: O. Forlenza, Per l’accompagnamento alla frontiera una illegittimità costituzionale implicita, “Guida al Diritto – Il Sole 24 ore”, 2001, n. 15, p. 98 e ss.; E. Gianfrancesco, La disciplina sul trattenimento e sull’espulsione degli stranieri extracomunitari al vaglio della Corte Costituzionale, “Giurisprudenza Costituzionale”, 2001, n. 2, p. 2709 e ss.

11. P. Bonetti, Profili costituzionali della convalida giurisdizionale dell’accompagnamento alla frontiera, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2002, n. 2, p.13 ss. L’A. sottolinea come il ricorso alla decretazione d’urgenza, a pochi mesi dall’approvazione del disegno di legge di iniziativa governativa per la modifica del T.U. Immigrazione (la futura legge “Bossi-Fini”), si spieghi soltanto con la volontà di scongiurare una pronuncia di incostituzionalità che avrebbe potuto contenere affermazioni difficilmente aggirabili.

12. Ora solo comma 4.

13. S. Centonze, L’espulsione dello straniero, cit.

14. P. Bonetti, Profili costituzionali della convalida giurisdizionale dell’accompagnamento alla frontiera, cit.

15. Sentenza 8-15 luglio 2004, n. 222, considerato in diritto n. 6.

16. Come si vedrà nel capitolo 6, anche se formalmente, in ossequio alla disciplina dettata dalla direttiva 2008/115/CE, la regola non è più quella dell’esecuzione coattiva, questa rimane nei fatti la modalità privilegiata dal legislatore italiano.

17. Secondo il nuovo comma 5-bis: “Nei casi previsti ai commi 4 e 5 il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio, con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Si applicano le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8, in quanto compatibili. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l’osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l’interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui all’art. 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Contro il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria”.

18. G. Savio, Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen, cit., p. 150, nota 43. L’A. sottolinea che tale competenza esula da quelle tradizionali attribuite ad un giudice che è prima di tutto giudice della conciliazione, che non ha competenze in materia di libertà personale, e, soprattutto che manca di quelle garanzie di autonomia ed indipendenza che sono proprie del giudice ordinario.

19. P. Balbo, Espulsione rapida: i giudici di pace sono la soluzione?, in “Gli Stranieri”, 2005.

20. Articolo 14, comma 1, T.U. Immigrazione.

21. Articolo 13, comma 3, T.U. Immigrazione.

22. Articolo 13, comma 5-bis, T.U. Immigrazione.

23. Articolo 13, comma 3-ter, T.U. Immigrazione.

24. Articolo 1-bis, comma 2, legge 39/90: “Il trattenimento deve sempre essere disposto nei seguenti casi: a) a seguito della presentazione di una domanda d’asilo presentata dallo straniero fermato per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizione di soggiorno irregolare; b) a seguito della presentazione di una domanda d’asilo da parte di uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Tale articolo è stato introdotto dall’articolo 32, comma 1, lettera b) della legge 189/2002, insieme alla procedura semplificata disciplinata dall’articolo 1-ter.

25. “L’istituto del trattenimento, con tutte le ambiguità semantiche e giuridiche di cui si circonda, ha rappresentato sin dall’origine -…- un aspetto estremamente controverso, se non un vero e proprio punto di rottura, degli assetti democratici dello Stato italiano”. Così I. Gjergji, Il trattenimento dello straniero in attesa di espulsione: una “terra di nessuno” tra ordine giuridico e fatto politico, in Costituzionalismo.it, p. 22.

26. Articolo 14, comma 7 T.U. Immigrazione.

27. Il trattenimento nei centri di accoglienza è una misura che si colloca tra liberà personale e libertà di circolazione. Non dipende da un giudizio negativo sulla persona, tale da intaccare la sua dignità personale, […]: ma è certo fortemente limitativo della disponibilità della propria persona. Così R. Bin, “Molti dubbi, un’unica certezza”, in Stranieri tra i diritti. Trattenimento, accompagnamento coattivo, riserva di giurisdizione, cit., p. 39. Non si capisce dove si collochi il trattenimento, e di conseguenza a quali principi debba farsi riferimento per valutarne la conformità a Costituzione, nella ‘zona grigia’ tra libertà personale e libertà di circolazione. Inoltre il fatto che la misura del trattenimento non sia preceduta da un “giudizio negativo sulla persona”, non vale a definirne la natura, limitativa o meno della libertà personale, quanto semmai a sottolinearne la distanza dalla sanzione penale che consegue alla commissione di un reato, senza però escluderne l’appartenenza alle “altre misure restrittive della libertà personale” pur contemplate dall’articolo 13 della Costituzione.

28. In questo senso G. D’Elia, La “legittima difesa” dello Stato contro l'”aggressione” dello “straniero clandestino”, in Stranieri tra i diritti, cit., il quale afferma che “l’introduzione clandestina nel territorio dello Stato non è solo una violazione della legge, ma anche, e soprattutto, una aggressione all’integrità “fisica” dello Stato, la quale legittima misure proporzionate ed adeguate alla difesa del territorio”. Tra tali misure l’A. ricomprende sia l’accompagnamento coattivo alla frontiera, che il trattenimento negli allora Centri di Permanenza Temporanea (oggi: Centri di Identificazione ed Espulsione).

29. Si vedano, tra gli altri: A. Algostino, Note sulla titolarità della libertà personale e di circolazione e soggiorno dello straniero extracomunitario, in Stranieri tra i diritti, cit.; A. Pugiotto, “Ieri e oggi”: fermo di polizia e trattenimento dello straniero, ivi; sempre A. Pugiotto, “Purché se ne vadano” La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, cit., p. 26, dove l’a. Afferma che “sia in gioco la libertà personale è fuori discussione”, facendo riferimento alla consapevolezza che mostra di averne lo stesso Parlamento, nel momento in cui le votazioni sulla durata del trattenimento nei CIE vengono svolte a scrutinio segreto, proprio per inerenza della materia della libertà personale.

30. “Il trattenimento ben può essere definito come una forma di detenzione amministrativa, introdotta per la prima volta in Italia nel 1998”. Così G. Savio, “Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera” in Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali a cura di P. Morozzo della Rocca, cit., p. 152.

31. Sentenza 10 aprile 2001, n. 105, considerato in diritto n. 4.

32. Come nel caso del rinvio dell’allontanamento per necessità di soccorso dello straniero, anche se le condizioni in cui concretamente avviene il trattenimento, alle quali si accennerà più oltre, portano seriamente a dubitare dell’effettività della suddetta finalità di assistenza.

33. Sentenza 10 aprile 2001, n. 105, considerato in diritto n. 4.

34. Articolo 14, comma 5 T.U. Immigrazione.

35. G. Savio, “Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen”, cit.

36. G. Savio, “Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen”, cit.

37. Poiché oggetto del presente capitolo è la normativa italiana precedente all’entrata in vigore della “direttiva rimpatri”, del prolungamento a 18 mesi si dirà nei capitoli successivi, quando si tratterà della direttiva e della legge di recepimento n. 129/2011.

38. Articolo 14, comma 3, T.U. Immigrazione: “Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, , senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento”.

39. S. Centonze, L’espulsione dello straniero, cit., p. 244.

40. Espulsione, accompagnamento alla frontiera e trattenimento dello straniero, Magistratura democratica e Associazione studi giuridici sull’immigrazione, 2005, p. 69. Grassetto nel testo.

41. La dichiarazione di manifesta infondatezza ha riguardato le questioni sollevate in merito all’articolo 14, commi 3, 4 e 5 T.U. Immigrazione in riferimento agli articoli 3, 10 e 24 della Costituzione; mentre ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’dell’art. 20 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, sempre in relazione agli articoli 3, 10, 24 Cost.

42. G. Savio, Brevi note sulla pronuncia della Corte Costituzionale n. 35/2001 in tema di convalida del trattenimento in C.P.T., “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2002, n. 1, p. 107.

43. Da questo punto di vista è netto il giudizio di A. Pugiotto, “Purché se ne vadano”. La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero, cit., il quale scrive: “La prospettiva di una reclusione amministrativa che, dal 1998 ad oggi, si è sestuplicata rispetto alla complessiva durata mensile originariamente prevista, aggrava innanzitutto l’inadeguatezza di un giudizio di convalida che giunge all’esito di una procedura di volontaria giurisdizione, condotta da un giudice retribuito a cottimo, secondo ritmi chapliniani e modalità semplificate, con inevitabile abbassamento delle garanzie difensive. E dove la vaghezza dei presupposti del trattenimento si ripercuote sull’obbligo di motivazione del provvedimento del questore, rendendo difficile al giudice della convalida esercitare quell’effettivo controllo di merito nel caso specifico, pure astrattamente riconosciuto dalla Corte costituzionale”.

44. Articolo 14, comma 5, secondo periodo.

45. Articolo 14, comma 5, quarto periodo.

46. Articolo 14, comma 5, ultimo periodo.

47. G. Savio, Proroga del trattenimento e necessità del contraddittorio – Prima proposta di riflessione a margine della sentenza Cass. I^ sez. civ. n. 4544 del 24/2/2010, Stranieri in Italia.

48. G. C. Blangiardo, La presenza straniera in Italia – Contributo estratto dal XV rapporto ISMU, Fondazione ISMU.

49. Rapporto Commissione di indagine sui centri per stranieri istituita con decreto del Ministero dell’Interno del 6 luglio 2006, (c.d. “Commissione De Mistura”), secondo cui: “Questo induce a pensare che l’uscita dei cittadini rumeni dalle statistiche della popolazione trattenuta nei CPTA comporterà una forte riduzione della percentuale degli espulsi alla frontiera e quindi una diversa valutazione dell’efficacia dei CPTA”.

50. In aumento rispetto al 2009, anno in cui, secondo i dati della Caritas, la percentuale dei rimpatriati rispetto ai trattenuti era del 38%.

51. Gli stranieri trattenuti nei CIE, vivono in condizioni drammatiche, documentate in alcuni reportage giornalistici, primo tra tutti l’inchiesta svolta dal giornalista dell’Espresso Fabrizio Gatti nel 2005, che è entrato nel centro di Lampedusa fingendosi un clandestino (F. Gatti, Io, clandestino a Lampedusa, pubblicato su “l’Espresso” nell’ottobre 2005). E, più di recente: A. Custodero, Nati per identificare ed espellere ormai sono carceri a cielo aperto, e R. Cosentino, Da rivoluzionari a prigionieri Nell’inferno dei centri d’accoglienza, entrambi in “Guantanamo Italia”, Inchieste – la Repubblica.

52. Corte dei Conti, Programma Controllo 2004 – Gestione delle risorse previste in connessione con il fenomeno dell’immigrazione Regolamentazione e sostegno all’immigrazione. – Controllo dell’immigrazione clandestina, ove si legge che “il reperimento delle informazioni e dei dati spesso non è risultato agevole”.

53. F. Miraglia, CPT utili o inutili? Un’analisi del sistema della detenzione amministrativa e i suoi effetti, “Studi sulla questione criminale”, 2007, 1, p. 71.

54. Termine che decorre, in quanto atto recettizio, dal momento in cui l’atto viene notificato all’interessato.

55. L’istituto dell’ordine di allontanamento del questore è tuttora previsto dall’ordinamento italiano, l’attuale termine è però di 7 giorni.

56. Dei reati legati alla mancata ottemperanza all’ordine del questore si dirà approfonditamente nel paragrafo successivo.

57. G. Savio, “Respingimento, espulsione, trattenimento e accompagnamento alla frontiera (i presupposti e le procedure), la revoca e il reingresso, la segnalazione a Schengen”, in P. Morozzo della Rocca, cit.

58. F. Vanorio, L’inottemperanza reiterata all’ordine di allontanamento delle persone di nazionalità straniera, con particolare riferimento al nuovo testo del comma 5-quater del t.u. sulle norme in tema di immigrazione, relazione tenuta all’incontro studio del CSM “Le novità della legislazione penale in materia di immigrazione”, Roma 4 – 5 febbraio 2010, in Consiglio Superiore della Magistratura.

59. F. Vanorio, L’inottemperanza reiterata all’ordine di allontanamento delle persone di nazionalità straniera, con particolare riferimento al nuovo testo del comma 5-quater del t.u. sulle norme in tema di immigrazione, cit.

60. “Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5-ter di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5-bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5-ter, terzo e ultimo periodo”.

61. A. Caputo, Il nuovo diritto penale dell’immigrazione, relazione all’incontro studio sul tema Le recenti riforme del sistema penale, C.S.M. 25 gennaio 2010, p. 29 (grassetto e corsivo nel testo).

62. G. Savio, Stranieri e diritto penale: non solo il reato di presenza illegale. Le altre modifiche introdotte dalla l. 94/2009, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2009, 4, p. 84.

63. Se ne riporta uno a titolo esemplificativo: “Nel corso di questa settimana sono stati rimpatriati, con diversi voli aerei, 79 extracomunitari clandestini, soprattutto tunisini, egiziani e marocchini, rintracciati sul territorio nazionale. In particolare, 25 sono i cittadini egiziani sbarcati nei giorni scorsi sul litorale di Sciacca (AG), che si erano dileguati appena giunti a riva. Le immediate ricerche svolte dalle forze di polizia territoriali, hanno permesso di rintracciare complessivamente 57 clandestini che, per garantirsi la permanenza sul territorio nazionale, hanno dichiarato di essere libici e, per di più, minorenni. Il loro tentativo di sottrarsi al rimpatrio è stato vanificato dal pool di esperti della Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere che, coadiuvato da personale della Direzione Centrale Anticrimine e della Polizia di Prevenzione, intervista i clandestini che approdano sulle coste italiane per accertarne la nazionalità. Infatti, i clandestini sono risultati tutti egiziani, tra cui ben 26 maggiorenni, uno dei quali è stato ricoverato in ospedale” (Comunicato del Viminale del 25 giugno 2011, Ministero dell’Interno.

64. A. Caputo, Irregolari, criminali, nemici: note sul “diritto speciale” dei migranti, “Studi sulla questione criminale”, 2007, 1, p. 58. L’A. parla di un vero e proprio “sottosistema penal-amministrativo, dotato di una sua logica interna in forza della quale i principi e gli scopi dell’ordinamento penale – del diritto e della procedura penale – vengono piegati, asserviti all’attività amministrativa preordinata all’allontanamento dello straniero”.

65. Fino alla riformulazione avvenuta con il decreto – legge 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni con legge 2 agosto 2011, n. 129 (infra capitolo VI), resa obbligata dall’incompatibilità della normativa nazionale con la direttiva 2008/115/CE come interpretata dalla Corte di Giustizia nella sentenza 28 aprile 2011, causa C-62/11 (El Dridi), infra capitolo V.

66. A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, Torino, Giappichelli, 2006, p. 209.

67. M. Ronco S. Ardizzone, Codice penale annotato con la giurisprudenza, Torino, UTET, 2007, p. 3068; G. Lattanzi E. Lupo, Codice penale Rassegna di giurisprudenza e dottrina, vol. XIII, Milano, Giuffrè, 2010, p. 6, “Oggetto specifico della tutela penale apprestata dalla fattispecie contravvenzionale dell’art. 650 c.p. è l’interesse concernente la polizia di sicurezza, in quanto la norma riguarda l’ordine pubblico in senso lato, che si vuole proteggere contro l’inosservanza individuale di provvedimenti della pubblica autorità, che siano legalmente dati per ragioni di giustizia, ordine pubblico o igiene”, intendendosi l’ordine pubblico come “buon assetto e regolare andamento della convivenza civile” (grassetto nel testo).

68. A. Callaioli, “Immigrazione”, in T. Padovani (a cura di), Leggi penali complementari, Milano, Giuffrè, 2007, p. 1677. L’A. si riferisce al solo comma 5-ter dell’articolo 14 T.U. Immigrazione, ma, in seguito alle modifiche apportare al comma 5-quater del medesimo articolo, dalla l. 94/2009 la definizione fornita può ritenersi applicabile anche a quest’ultimo.

69. M. Donini, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d’autore nel controllo penale dell’immigrazione, cit, p. 120.

70. Sentenza Corte Costituzionale 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 5.

71. A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 210 (corsivo nel testo).

72. S. Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U.”, in L. Degl’innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, Milano, Giuffré, 2011, p. 228; G. Savio, Stranieri e diritto penale: non solo il reato di presenza illegale. Le altre modifiche introdotte dalla l. 94/2009, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, cit., pp. 78-79.

73. S. Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U.”, cit., p. 229 (corsivi nel testo).

74. G. Savio, Stranieri e diritto penale: non solo il reato di presenza illegale. Le altre modifiche introdotte dalla l. 94/2009, cit., pp. 78-79.

75. G. Savio, ivi.

76. A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., pp. 212-214. A favore della tesi della natura istantanea si è fatto leva sul momento consumativo del reato omissivo proprio, che si ha con verificarsi del “non evento”, ossia al momento della scadenza del termine; secondo tale ricostruzione gli unici reati omissivi permanenti sono quelli in cui è l’azione comandata a rivestire natura permanente: coloro che sostengono la tesi del reato istantaneo sottolineano che l’azione richiesta per impedire il perfezionarsi del reato, ossia l’allontanamento dal territorio dello Stato ha natura istantanea. Al contrario, in favore della tesi della natura permanente, si argomenta che essa sussiste quando il dovere di assolvere l’obbligo sussiste anche dopo la scadenza del termine per l’adempimento.

77. S. Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U”, cit., pp. 229-230.

78. R. Olivieri del Castillo, L’ambito penale della legge 30 luglio 2002 n. 189: la costruzione della muraglia, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2002, 3, p. 81 e ss.; R. Miraglia, Arresto obbligatorio e rito direttissimo: profili processuali e di legittimità costituzionale dell’articolo 14 comma 5 quinquies del T.U. sull’immigrazione, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2002, 4, pp. 63 e ss.

79. Nonché per il delitto di cui al comma 5-quater, al di sotto degli ordinari limiti edittali.

80. R. Olivieri del Castillo, L’ambito penale della legge 30 luglio 2002 n. 189: la costruzione della muraglia, cit., p. 93.

81. In questi termini si esprime S. Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U.”, cit., p. 217.

82. Tribunale di Genova – Sezione prima penale – ordinanza 10 dicembre 2004, n. 544 (Giudice Ivaldi), “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2004, 4, p. 188 e ss.; G. Savio, Il diritto degli stranieri e i limiti del sindacato della Corte costituzionale: una resa del giudice delle leggi?, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2007, 1, pp. 81 e ss.

83. Residuava un’unica ipotesi contravvenzionale, ossia quello dello straniero espulsione per essere il permesso di soggiorno scaduto da oltre sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo, per la quale restava ferma la previsione della pena dell’arresto da sei mesi a un anno. Con la legge n. 94/2009, anche quest’ultima ipotesi è stata trasformata in delitto, pur senza incidere sui limiti edittali della pena.

84. Tribunale di Genova ordinanza del 10 dicembre 2004 (reg. ord. n. 93 del 2005); Tribunale di Torino ordinanza del 24 febbraio 2005 (reg. ord. n. 332 del 2005) e ordinanza del 13 aprile 2005 (reg. ord. n. 351 del 2005); Tribuna di Bologna ordinanza del 4 maggio 2005 (reg. ord. n. 344 del 2005); Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi ordinanza del 9 giugno 2005 (reg. ord. n. 459 del 2005); Tribunale di Gorizia ordinanza dell’8 giugno 2005 (reg. ord. n. 461 del 2005); Tribunale di Trieste ordinanza del 2 luglio 2005 (reg. ord. n. 487 del 2005); Tribunale di Milano ordinanza del 25 maggio 2005 (reg. ord. n. 518 del 2005); Giudice per le indagini preliminari nel Tribunale di Trani, con ordinanza del 30 maggio 2005 (reg. ord. 585 del 2005); Tribunale di Verona ordinanza del 14 ottobre 2005 (reg. ord. 65 del 2006).

85. Altra norma che i remittenti assumono come tertium comparationis è l’articolo 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza), che punisce chi non ottempera al foglio di via obbligatorio. Anche in questo caso si tratta di una contravvenzione e non di un delitto, nonostante, in questo caso, a differenza dell’ipotesi dello straniero inottemperante, la pericolosità del destinatario non è meramente potenziale, ma concreta.

86. Tribunale di Genova ordinanza del 10 dicembre 2004, in “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, cit., p. 188 e ss.

87. A. Caputo, Dubbi di legittimità costituzionale del nuovo delitto di ingiustificata inosservanza dell’ordine del questore, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2004, 4, p. 84-85.

88. Tribunale di Genova ordinanza del 10 dicembre 2004, in “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, cit., pp. 188 e ss.

89. Corte costituzionale, sentenza 2 – 7 febbraio 2007, n. 22, considerato in fatto n. 4.

90. Tribunale di Genova ordinanza del 10 dicembre 2004, in “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, cit., pp. 188 e ss.

91. G. Savio, Il diritto degli stranieri e i limiti del sindacato della Corte costituzionale: una resa del giudice delle leggi?, cit., p. 81.

92. G. Savio, Il diritto degli stranieri e i limiti del sindacato della Corte costituzionale: una resa del giudice delle leggi?, cit., p. 84.

93. S. Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U”, cit., p. 253.

94. A. Caputo, Diritto e procedura penale dell’immigrazione, cit., p. 239; Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U”, cit., p. 254.

95. Tovani, “I reati di illecito trattenimento dello straniero nel territorio dello stato previsti dall’art. 14 T.U”, cit., p. 254.

96. Ibid.

97. Sentenza 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 5, considerato in diritto n. 2.1.

98. Sentenza 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 5

99. Sentenza 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 5

100. Sentenza 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 5

101. Sentenza 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 5

102. G. Leo, Illegittima la punizione dell’inottemperanza all’ordine “reiterato” di allontanamento quando ricorre un “giustificato motivo”, in Diritto penale contemporaneo.

103. Ordinanza 14 gennaio – 9 febbraio 2009, n. 41.

104. V. Pupo, Inottemperanza “reiterata” all’ordine di allontanamento: la ragionevole “addizione” del giustificato motivo quale causa di esclusione della punibilità dello straniero, in Forum di Quaderni costituzionali.

105. F. Vanorio, La pronuncia della Consulta n. 359 del 17.12.2010: incostituzionale la mancata previsione del giustificato motivo nel co. 5 quater dell’art. 14 TU, “Diritto, immigrazione e cittadinanza”, 2011, n. 1, pp. 104 e ss. L’A. dubita della correttezza della metodologia adottata dalla Corte, ritenendo che la seconda delle questioni sollevate dal Tribunale di Voghera, ossia il meccanismo delle ‘espulsioni a catena’ delineato dal comma 5-quater, dovesse considerarsi pregiudiziale rispetto alla prima (assenza della clausola del giustificato motivo). In questo modo la Corte costituzionale avrebbe potuto “eliminare del tutto una disposizione verosimilmente iniqua e basata anche sulle inefficienze dell’apparato statuale nel garantire il rispetto dei suoi stessi ordini di espulsione”.

106. Sentenza 13 – 17 dicembre 2010, n. 359, considerato in diritto n. 3.3.

107. Prima della modifica intervenuta con il decreto – legge 23 giugno 2011, n. 89 convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2011, n. 129, il divieto, ai sensi del comma 14 dell’articolo 13, aveva sempre durata decennale, salva la possibilità di disporre nel decreto di espulsione un termine inferiore ma comunque di almeno 5 anni.

108. A. Callaioli, “Sub. art. 13 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286”, in T. Padovani, Le leggi penali d’udienza, Milano, Giuffré, 2003, p. 1671.

109. L. Cordì, “La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario”, in L. Degl’Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., pp. 114-120.

110. Opinione sostenuta anche dalla Corte di Cassazione, come riportato in: L. Cordì, “La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario”, in L. Degl’Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., pp. 121-125; C. Renoldi, “Il trattamento penale connesso all’espulsione e all’allontanamento e le novità del recente ‘decreto sicurezza’”, in P. Morozzo della Rocca (a cura di), Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali cit., p. 223; A. Caputo, Diritto penale dell’immigrazione, cit., pp. 182-189.

111. A. Caputo, Diritto penale dell’immigrazione, cit., p. 187.

112. L. Cordì, “La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario”, in L. Degl’Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., pp. 123-124.

113. C. Renoldi, “Il trattamento penale connesso all’espulsione e all’allontanamento e le novità del recente ‘decreto sicurezza’”, in P. Morozzo della Rocca (a cura di), Immigrazione e cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali cit., p. 223-224.

114. L. Cordì, “La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario”, in L. Degl’Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 133.

115. Articolo 17 T.U. Immigrazione: “Lo straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. L’autorizzazione è rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o dell’imputato o del difensore”.

116. Articolo 31, comma 3 T.U. Immigrazione: “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza”.

117. L. Cordì, “La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario”, in L. Degl’Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., pp. 141-143.

118. Sentenza 14 – 28 febbraio 2005, n. 466, considerato in diritto n. 3.

119. Sentenza 10 febbraio 2005, n. 78.

120. Sentenza 14 – 28 febbraio 2005, n. 466, considerato in diritto n. 3.

121. L. Cordì, “La disciplina penale connessa all’espulsione amministrativa o giudiziale del cittadino extracomunitario o apolide ed il sistema di allontanamento del cittadino comunitario”, in L. Degl’Innocenti (a cura di), Stranieri irregolari e diritto penale, cit., p. 149.
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L’altro diritto – Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità – ISSN 1827-0565

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