Rassegna Stampa sui Centri di Identificazione ed Espulsione

Immigrati/ Giudice: nato in Italia ma resti nel Cie
Decisione opposta a quella presa ieri a Modena

Milano, 23 mar. (TMNews) – Dejan Lazic è uno zingaro nato in Italia ma per il giudice di pace di Milano deve restare nel Cie di via Corelli. Si tratta di una decisione opposta a quella presa ieri a Modena dove erano stati liberati due fratelli bosniaci perchè nati nel nostro paese.

Lazic è nato a Moncallieri 24 anni fa. Ha sempre vissuto in Italia, ha frequentato la scuola elementare (anche se non l’ha mai terminata). Non ha chiesto la cittadinanza al compimento del 18esimo anno perché non sapeva di doverlo fare. È uno zingaro che vive alla giornata, di espedienti. Ha anche dei precedenti penali per piccoli furti. Nella stessa situazione sono anche i suoi familiari. È stato portato a Corelli perché gli hanno notificato un provvedimento di espulsione all’uscita del carcere (dove è stato detenuto 5 mesi per scontare un vecchio procedimento definitivo). Nel provvedimento prefettizio è stato scritto, su una sua presunta dichiarazione, che si sarebbe sottratto ai controlli di frontiera facendo ingresso in Italia nel 2005, senza poi richiedere il permesso di soggiorno. Dejan Lazic è del tutto analfabeta. Davanti al giudice ha negato di aver fatto tale dichiarazione. Gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini affermano di avere i documenti relativi alla sua storia e di voler preparare al più presto ricorso contro l’espulsione avanti al giudice di pace di Milano.

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Viaggio nel Cie di Bari-Palese le stanze, i corridoi e i moduli. Anche distrutti

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di REPUBBLICA BARI

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Cronaca |
Mercoledì, 15 Febbraio 2012 15:42
Raffaella Cosentino

Ponte Galeria, così il Cie più grande d’Italia

Un immigrato nel Cie ( Foto: INFOPHOTO)

Sono 140 uomini e 90 donne i reclusi di Ponte Galeria, il Centro d’identificazione più grande d’Italia con una capienza massima di 168 uomini e 180 donne. I posti sono assegnati in base alle esigenze delle questure d’Italia dalla direzione centrale dell’Immigrazione, dipartimento di pubblica sicurezza. A Roma infatti vengono trasferiti anche molti immigrati in attesa dei voli per il rimpatrio coatto che spesso partono dallo scalo di Fiumicino. Il tempo massimo di reclusione è stato triplicato da sei a 18 mesi con l’ultimo pacchetto di sicurezza nell’estate del 2011. Ma dal Cie romano assicurano che nessuno rimarrà rinchiuso così tanto tempo. Un anno e mezzo non serve all’identificazione che avviene contattando i consolati competenti per avere i lasciapassare per rimpatriare le persone nel paese d’origine. Spesso sono gli stessi consoli a essere convocati periodicamente nel Cie per procedere all’identificazione dei detenuti mediante un colloquio. La convalida del fermo avviene entro 48 ore in una stanza dedicata a questo. Per i non comunitari provvedono i giudici di pace alla presenza di un avvocato d’ufficio. Per i comunitari la convalida la fa il giudice civile. Il Cie è infatti un carcere fuori dall’ordinamento penale dove non si viene detenuti per reati penali, ma solo per essere identificati ed espulsi. Questo vuol dire che spesso chi ha scontato una pena in carcere anche di diversi anni subisce un supplementodi reclusione nel Cie, secondo un circuito perverso carcere-cie. Chi non viene identificato perché non c’è la risposta dei Peesi d’origine, riceve un foglio di via con 7 giorni di tempo per lasciare il territorio nazionale. In molti paesi subsahariani, ad esempio, non esiste l’anagrafe e non c’è modo di risalire all’identità degli immigrati. Visto che spesso si tratta di stranieri da molti anni in Italia che lavorano in nero oppure hanno perso il lavoro, e con esso il permesso di soggiorno, a causa della crisi, è ovvio che resteranno in Italia e finiranno di nuovo al Cie dopo ogni controllo dei documenti. Un circolo vizioso del sistema giuridico italiano che costa caro alle tasche dei cittadini. Per ammissione degli stessi agenti di polizia è un ciclo continuo di controlli sugli stessi soggetti e i 18 mesi di detenzione sono del tutto inutili. Alte mura, cancelli blindati, triple fila di sbarre. È questo l’aspetto del Cie di Ponte Galeria. All’ingresso sulla destra c’è lastanza per i colloqui con i familiari e sulla sinistra le postazioni dellapolizia e dell’esercito che controllano 24 ore su 24 decine di monitor su cuiappaiono le immagini delle telecamere di sorveglianza. Un corridoio e un’alacentrale in cui si trovano le mense separate per sesso, l’infermeria comune, lastanza delle udienze di convalida e una stanza per le visite psicologiche,separano la sezione femminile da quella maschile. Ogni sezione è divisa inmoduli. Ogni modulo è composto da due stanze con sei, otto letti ciascuna. Nellazona femminile, le stanze hanno un monitor tv. È stata predisposta un’area con8 letti per trans, ma ancora non è stata collaudata. L’unica altra sezione pertrans attiva è nel Cie di Milano e ha 12 posti. I detenuti, chiamati ‘ospiti’con un eufemismo, ricevono un buono da 7 euro ogni due giorni, spendibile in schedetelefoniche, sigarette, biscotti o altri piccoli beni all’interno dello spacciodel centro. Nel Cie di Ponte Galeria, gestito dalla cooperativa Auxilium che è subentrata alla Croce Rossa nel 2010 dopo avere vinto una gara d’appaltopubblica del ministero dell’Interno, lavorano 80 persone H24 assunte concontratto da psicologo, operatore sociale e varie altre mansioni, mentre imedici hanno la partita Iva. La media delle presenze è di 200 reclusi. Il costo giornaliero della convenzione è di 41 euro a persona. Nel Cie l’assistenza sanitaria è fornita tramiteun’apparecchiatura di prima emergenza, un defibrillatore e la medicinad’urgenza. Sono disponibili medici specialisti di ginecologia, anestesia,rianimazione. All’ingresso del migrante nel centro, viene effettuato unoscreening sanitario e non sono accettate le persone che hanno malattieinfettive come la Tbc oppure le donne in gravidanza. Per le vittime di tratta, una volta alla settimana, hanno accesso con uno sportello all’interno leassociazioni “Differenza Donna”, “Befree” e Usmi (un organismo pontificio). Altre organizzazioni che hanno accesso sono il Centro Astalli, il Garante deidiritti dei detenuti e la Caritas. Il Cie dispone anche di una cappella, una moschea, un locale neutro per le preghiere di altre fedi e di una barberia.

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Viaggio nel Cie di Ponte Galeria
«Vita nel limbo sognando la libertà»

Per la prima volta i cronisti possono entrare nel centro: 140 uomini e 90 donne aspettano di essere espulsi nei loro Paesi
«Ma chi scappa da qui non commette reato di evasione»VIDEOREPORTAGE – Da giugno 2011, il termine massimo di detenzione È DI 18 MESI

Viaggio nel Cie di Ponte Galeria
«Vita nel limbo sognando la libertà»

Per la prima volta i cronisti possono entrare nel centro: 140 uomini e 90 donne aspettano di essere espulsi nei loro Paesi
«Ma chi scappa da qui non commette reato di evasione»

ROMA – «Questo non è un hotel a cinque stelle. Chi scappa da qui tecnicamente non commette il reato di evasione, ma sono tentativi di fuga e allontanamenti non autorizzati». Le parole di Maurizio Improta, dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma, fanno capire bene come i Centri di Identificazione ed Espulsione non possano essere chiamati carceri ma siano comunque luoghi senza tempo e senza spazio in cui chi entra non sa se sarà trattenuto un giorno, un mese o un anno e mezzo. «Siamo tutti in attesa di una risposta che non arriva mai», racconta una ragazza dell’Ecuador, ospite del CIE di Ponte Galeria da quasi tre settimane. Da giugno 2011, infatti, il termine massimo di detenzione in questi centri è stato portato da 6 a 18 mesi.

Il Cie di Ponte Galeria (Capone-Cucinotta)
RIVOLTE E MISURE DI SICUREZZA – Qui vengono ospitati uomini e donne in attesa di essere espulsi dal territorio nazionale. C’è chi sconta una pena accessoria e chi, invece, è stato fermato senza documenti. Il tempo si dilata per gli stranieri che forniscono false generalità e la procedura di identificazione a volte segue un iter contorto. Una condizione che può gettare benzina sul fuoco, come dimostrano le rivolte e i quattro tentativi di fuga in meno di un mese della scorsa estate. In quell’occasione gli immigrati si scontrarono con le forze dell’ordine per giorni. Subito dopo le misure di sicurezza sono state rafforzate, facendo somigliare questo centro a un vero e proprio penitenziario.

IL BAVAGLIO ALLA STAMPA – Fino al 13 dicembre 2011 nessun cronista poteva documentare cosa accadeva all’interno dei CIE. Il bavaglio alla stampa è caduto dopo la revoca del blocco data dal Ministro dell’Interno Cancellieri. Entrare nel più grande Centro di Identificazione ed Espulsione d’Italia, che ad oggi ospita 140 uomini e 90 donne, significa fare un viaggio nel cuore dell’immigrazione contemporanea. Storie di fughe verso un Paese considerato un faro di civiltà e benessere nel Mediterraneo. «Quando mi faranno tornare in Ucraina – dice Maja – io prenderò mio figlio e mia madre e verrò comunque qui. L’Italia è un posto meraviglioso dove voglio vivere tutta la vita».

MELTING POT DI NAZIONALITA’ – Dalle stanze che ospitano fino a un massimo di otto persone sono transitati in questi mesi tunisini ed egiziani in fuga dalle rivolte, nigeriane vittime di tratta, ma anche stranieri in Italia da più di venti anni che hanno scontato la loro pena in carcere e che ancora attendono di essere identificati. Tasselli difficili da far incastrare in un mosaico di etnie, religioni e prospettive di vita a cui, tra le sbarre del CIE, si propone una routine di normalità fatta di pranzi e cene a orari regolari, qualche sigaretta comprata con i buoni nello spaccio interno e piccoli passatempi come il calcio e la pallavolo. C’è chi ha tappezzato i muri con le foto dei vip ritagliate dai giornali «per rendere le stanze meno grigie» e chi, come il gruppo delle cinesi, per uccidere la noia intreccia le lenzuola di carta per farne borsette e cappelli, diventati l’unica civetteria fra le ospiti del CIE.

Viaggio nel Cie di Ponte Galeria

41 EURO AL GIORNO – La macchina organizzativa che gestisce la struttura è stata affidata dal 1° marzo 2010 alla cooperativa sociale Auxilium, subentrata alla Croce Rossa. Per ogni immigrato è previsto un rimborso di 41 euro al giorno «che comprende il vitto, un buono da 3,50 euro per le spese extra e l’assistenza sanitaria» spiega il direttore Giuseppe Di Sangiuliano. Per gli ospiti l’unico ponte con l’esterno è il cellulare. Tutti lo stringono tra le mani anche quando vanno in bagno, come se fosse il solo filo che li lega ancora al mondo oltre le mura. Le poche visite autorizzate si svolgono in una sala con un vetro trasparente sotto gli occhi della polizia.

SOGNANDO LA LIBERTA’ – Nella stanza della psicologa i muri sono ricoperti da dichiarazioni d’amore in arabo, francese e inglese e da disegni che gridano «libertà». «Quando sono arrivata qui mi hanno detto non ti spaventare, non è un carcere – racconta la ragazza ecuadoriana -. Ma qui è molto peggio: non so quando uscirò». Prima o poi lei, come tutti, varcherà i cancelli di Ponte Galeria. Per ora aspetta confinata in questo limbo.

Sofia Capone
Giuseppe Cucinotta
14 febbraio 2012 | 12:11

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_In città: Cie di Ponte Galeria tra rivolte e divieti

15 Febbraio 2012
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Viaggio nel Cie di Ponte Galeria – video

Per la prima volta ai cronisti è permesso entrare nel centro: 140 uomini e 90 donne aspettano di essere espulsi dall’Italia per tornarsene nei loro Paesi

Una video inchiesta, una delle poche, che mostra la vita all’interno del Cie (Centro Identificazione ed Espolsione” di Ponte Galeria a Roma, il più grande d’Italia. I clandestini che varcano la soglia di queste prigioni, spacciati per centri di accoglienza, hanno davanti a loro un’attesa indefinita. “Siamo tutti in attesa di una risposta che non arriva mai”, racconta una ragazza dell’Ecuador, ospite del Cie da quasi tre settimane.

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Il racconto dei giornalisti dal centro di identificazione ed espulsione. La campagna “LasciateCIEntrare” portata avanti dalla stampa italiana per svelare le condizioni dei detenuti di Raffaella Cosentino (Redattore Sociale)

«Questo non è un resort a 5 stelle, è un luogo dove è limitata la libertà personale per detenzione amministrativa». Con queste parole Maurizio Improta, dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma ha aperto le porte del Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria ai giornalisti, dopo la rimozione del divieto di accesso alla stampa stabilito dal precedente governo e annullato dal ministro dell’Interno Cancellieri. Anche grazie alla campagna “LasciateCIEntrare”, nata nel 2011 proprio per rimuovere la circolare n.1305 del Viminale con il sostegno dell’Fnsi e dell’Ordine dei giornalisti, stanno aumentando le richieste dei reporter alle prefetture per raccontare la realtà dei Cie.

Si aprono i cancelli dei centri di detenzione, dove sono rinchiusi i migranti che non hanno ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale perché non in regola con il permesso di soggiorno. Con l’ultimo pacchetto sicurezza del governo Berlusconi la reclusione nei Cie è stata estesa dai sei ai 18 mesi, come in un vero carcere. Ma da sempre i Cie sono molto meno accessibili di un penitenziario. Spesso la tensione all’interno è alta. Rivolte, incendi e fughe restano confinati alle brevi di cronaca cittadina, mentre sono un elemento da indagare per comprendere le politiche migratorie.

«Nel passato abbiamo avuto rivolte finalizzate alla fuga che i trattenuti hanno messo in atto con scontri all’interno del centro», ha ammesso Improta. Il momento più difficile è stato ad agosto, quando i Cie italiani sono stati riempiti di tunisini arrivati a Lampedusa dopo il 5 aprile. In base a un’ordinanza della Presidenza del Consiglio è stato dato il permesso di soggiorno umanitario a tutti i tunisini arrivati entro quella data, giorno in cui sono stati siglati gli accordi per i rimpatri con il governo di transizione a Tunisi. La possibilità di restare in Europa è stata negata a tutti gli altri. «Ad agosto abbiamo avuto 4 tentativi di fuga, di cui 2 riusciti, ma poi li abbiamo ripresi tutti quanti – ha spiegato il dirigente di polizia – sono stati tutti denunciati per devastazione e incendio doloso, il 50% erano evasi dalle carceri tunisine».

Il Cie è superblindato. Sorvegliato dalla polizia, cui sono assegnate le funzioni ispettive, dall’esercito che si occupa della vigilanza con delle camionette sparse lungo tutto il perimetro e tiene d’occhio una serie di monitor e telecamere, dai carabinieri e dalla finanza, che scorta i detenuti. Questo gruppo interforze fa capo all’ufficio Immigrazione della questura. Per ogni turno ci sono fra i 20 e i 25 agenti e militari. Gestire un Cie non è semplice, le rivolte sono continue, non solo ad opera dei giovani della primavera araba che si ribellano al sistema delle frontiere europee. La psicosi da rivolta è tale che gli agenti hanno impedito ai giornalisti presenti (le telecamere Rai di Unomattina, quelle del Corriere della Sera e Redattore Sociale) di parlare con gli uomini rinchiusi nella sezione maschile. «Tutti vorrebbero rilasciare interviste e se si crea il caos o disordini non avremmo le forze per intervenire», è stata la motivazione addotta dagli agenti.

Al di là delle sbarre si accalcavano uomini di ogni provenienza. Qualcuno mostrava le ciabatte dicendo che gli hanno tolto le scarpe, qualcuno urlava di essere stato picchiato e minacciato dagli agenti. I poliziotti a loro volta sostenevano che a essere stati minacciati dai reclusi sono i giudici di pace nelle udienze di convalida del fermo. Come tanti animali in gabbia, alcuni dei 140 uomini senza permesso di soggiorno del Cie di Ponte Galeria cercavano di fare sentire la propria voce ai giornalisti. Un africano con i capelli bianchi urlava e cantava a squarciagola in inglese, ballando a cielo aperto nella sua cella. Sembrava avesse problemi psichici, ma non è stato possibile verificarlo. «Si cerca di evitare di fornire felpe con il cappuccio per evitare il travisamento durante le rivolte, anche se alcuni trattenuti li hanno comunque», hanno spiegato i funzionari di polizia. Vietati anche i videofonini. Niente immagini e video dall’interno per i reclusi del Cie.

I Cie e la stampa. Sul fronte della stampa, rimane la discrezionalità dei prefetti nel rilasciare le autorizzazioni e nella gestione delle visite. A Roma le troupe hanno potuto trascorrere cinque ore nel Cie sotto la supervisione dei responsabili della Questura e della Prefettura, con la possibilità di intervistare almeno le donne. A Torino lo scorso 26 gennaio due giornaliste, Milena Boccadoro (Rai, Tgr Piemonte) e Ilaria Sesana (Terre di mezzo) hanno potuto solo vedere le gabbie dall’alto di un terrazzo dopo aver passato tutto il tempo della visita chiuse in un ufficio con i responsabili del centro da cui hanno ricevuto dati e versioni ufficiali. Una limitazione all’accesso alle informazioni che ha suscitato la doppia protesta degli organizzatori della campagna “LasciateCIEntrare” e della Federazione nazionale della stampa. «Non è accettabile che gli operatori dell’informazione debbano ancora subire pesanti restrizioni nell’accesso alle informazioni su una realtà così importante e sconosciuta ai cittadini – aveva detto in quell’occasione Roberto Natale, presidente dell’Fnsi – non è tollerabile che l’accesso dei giornalisti si riduca alla sola possibilità di acquisire la versione dei soggetti istituzionali. La nostra campagna continuerà fino a che la censura sui Cie non sarà stata rimossa e sarà possibile garantire accuratezza e trasparenza dell’informazione».

14 febbraio 2012

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Nel Cie di Ponte Galeria, la “grande gabbia” romana degli immigrati
La reclusione nei Cie va dai sei ai 18 mesi, come in un vero carcere. Ma da sempre i Cie sono molto meno accessibili di un penitenziario
ROMA – “Questo non e’ un resort a 5 stelle, e’ un luogo dove e’ limitata la liberta’ personale per detenzione amministrativa”. Con queste parole Maurizio Impronta, dirigente dell’ufficio Immigrazione della Questura di Roma ha aperto le porte del Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria ai giornalisti, dopo la rimozione del divieto di accesso alla stampa stabilito dal precedente governo e annullato dal ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri. Anche grazie alla campagna “LasciateCIEntrare”, nata nel 2011, con il sostegno dell’Fnsi e dell’Ordine dei giornalisti proprio per rimuovere la circolare n. 1305 del Viminale, stanno aumentano le richieste dei reporter alle Prefetture per raccontare la realta’ dei Cie. Si aprono i cancelli dei centri dove sono rinchiusi i migranti che non hanno ottemperato all’ordine di lasciare il territorio nazionale perche’ non in regola con il permesso di soggiorno. Con l’ultimo pacchetto sicurezza del governo Berlusconi la reclusione nei Cie e’ stata estesa dai sei ai 18 mesi, come in un vero carcere. Ma da sempre i Cie sono molto meno accessibili di un penitenziario. Spesso la tensione all’interno e’ alta. Rivolte, incendi e fughe restano confinati alle brevi di cronaca cittadina, mentre sono un elemento da indagare per comprendere le politiche migratorie.

“Nel passato abbiamo avuto rivolte finalizzate alla fuga che i trattenuti hanno messo in atto con scontri all’interno del centro”, ha ammesso Improta. Il momento piu’ difficile e’ stato ad agosto, quando i Cie italiani sono stati riempiti di tunisini arrivati a Lampedusa dopo il 5 aprile. In base a un’ordinanza della Presidenza del Consiglio e’ stato dato il permesso di soggiorno umanitario a tutti i tunisini arrivati entro quella data, giorno in cui sono stati siglati gli accordi per i rimpatri con il governo di transizione a Tunisi. La possibilita’ di restare in Europa e’ stata negata a tutti gli altri. “Ad agosto abbiamo avuto 4 tentativi di fuga, di cui 2 riusciti, ma poi li abbiamo ripresi tutti quanti- ha spiegato il dirigente di Polizia- sono stati tutti denunciati per devastazione e incendio doloso, il 50% erano evasi dalle carceri tunisine”.

Il Cie e’ superblindato. Sorvegliato dalla Polizia, cui sono assegnate le funzioni ispettive, dall’Esercito, che si occupa della vigilanza con delle camionette sparse lungo tutto il perimetro e tiene d’occhio una serie di monitor e telecamere, dai Carabinieri e dalla Finanza, che scortano i detenuti. Questo gruppo interforze fa capo all’ufficio Immigrazione della Questura. Per ogni turno ci sono fra i 20 e i 25 agenti e militari. Gestire un Cie non e’ semplice, le rivolte come detto sono continue, non solo ad opera dei giovani della Primavera araba che si ribellano al sistema delle frontiere europee. La psicosi da rivolta e’ tale che gli agenti hanno impedito ai giornalisti presenti (le telecamere Rai di ‘Unomattina’, quelle del Corriere della sera e della Dire-Redattore sociale) di parlare con gli uomini rinchiusi nella sezione maschile.

“Tutti vorrebbero rilasciare interviste e se si crea il caos o disordini non avremmo le forze per intervenire”, e’ stata la motivazione addotta dagli agenti. Al di la’ delle sbarre si accalcavano uomini di ogni provenienza. Qualcuno mostrava le ciabatte dicendo che gli hanno tolto le scarpe, qualcuno urlava di essere stato picchiato e minacciato dagli agenti. I poliziotti a loro volta sostenevano che a essere stati minacciati dai reclusi sono i giudici di pace nelle udienze di convalida del fermo. Come tanti animali in gabbia, alcuni dei 140 uomini senza permesso di soggiorno del Cie di Ponte Galeria cercavano di fare sentire la propria voce ai giornalisti. Un africano con i capelli bianchi urlava e cantava a squarciagola in inglese, ballando a cielo aperto nella sua cella. Sembrava avesse problemi psichici, ma non e’ stato possibile verificarlo.

“Si cerca di evitare di fornire felpe con il cappuccio per evitare il travisamento durante le rivolte, anche se alcuni trattenuti li hanno comunque”, hanno spiegato i funzionari di polizia. Vietati anche i videofonini. Niente immagini e video dall’interno per i reclusi del Cie.

I Cie e la stampa. Sul fronte della stampa, rimane la dicrezionalita’ dei prefetti nel rilasciare le autorizzazioni e nella gestione delle visite. A Roma le troupe hanno potuto trascorrere cinque ore nel Cie sotto la supervisione dei responsabili della Questura e della Prefettura, con la possibilita’ di intervistare almeno le donne. A Torino lo scorso 26 gennaio due giornaliste, Milena Boccadoro (Rai, Tgr Piemonte) e Ilaria Sesana (Terre di mezzo) hanno potuto solo vedere le gabbie dall’alto di un terrazzo dopo aver passato tutto il tempo della visita chiuse in un ufficio con i responsabili del centro da cui hanno ricevuto dati e versioni ufficiali. Una limitazione all’accesso alle informazioni che ha suscitato la doppia protesta degli organizzatori della campagna “LasciateCIEntrare” e della Federazione nazionale della stampa.

“Non e’ accettabile che gli operatori dell’informazione debbano ancora subire pesanti restrizioni nell’accesso alle informazioni su una realta’ cosi’ importante e sconosciuta ai cittadini- aveva detto in quell’occasione Roberto Natale, presidente dell’Fnsi- non e’ tollerabile che l’accesso dei giornalisti si riduca alla sola possibilita’ di acquisire la versione dei soggetti istituzionali. La nostra campagna continuera’ fino a che la censura sui Cie non sara’ stata rimossa e sara’ possibile garantire accuratezza e trasparenza dell’informazione”.

13 febbraio 2012
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte «Agenzia Dire» e l’indirizzo «www.dire.it»

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