Memoria storica sulla riforma della Magistratura di Pace nel Congresso di MD DEL 2003

RIFORMA DELLA MAGISTRATURA DI PACE

Il congresso di Magistratura Democratica tenuto a Roma nel 23-26 Gennaio 2003 ha dato ampio spazio ai temi della riforma della Magistratura di pace.

Pubblichiamo la relazione sull’argomento del dottor Gianfranco Gilardi e l’ intervento della collega di Milano Daniela Mollica.

MAGISTRATURA DEMOCRATICA XIV CONGRESSO NAZIONALE
Roma – 23/26 gennaio 2003
QUALE FUTURO PER LA MAGISTRATURA ONORARIA ?

Relazione di Gianfranco Gilardi

Magistratura democratica ha dedicato una sessione del suo XIV congresso al tema della magistratura onoraria nella consapevolezza che, senza di essa, la tutela dei diritti – costituente il filo conduttore dell’intera riflessione congressuale – non può essere compiutamente realizzata.

1. L’esigenza di una revisione organica della magistratura onoraria.

E’ largamente condivisa l’esigenza di una revisione organica della magistratura onoraria, al cui interno si sono andate accumulando nel tempo, al di fuori di una cornice chiara di regole e di principi di riferimento, figure eterogenee ed assai diverse fra loro: dalle forme di compartecipazione diretta dei cittadini all’amministrazione della giustizia secondo lo schema dell’articolo 102, secondo comma della Costituzione (giudici popolari delle corti d’assise; esperti delle sezioni agrarie; funzionari aggregati al tribunale regionale delle acque; componenti delle sezioni specializzate su questioni relative alla professione di geologo, di agrotecnico, di giornalista, di biologo, di perito agrario e di dottore forestale), alle più recenti figure di giudici onorari aggregati, introdotti a termine con funzione di “soccorso” per la definizione degli arretrati civili; dalle riedizioni di tradizionali figure di “supplenza” della magistratura professionale, quali erano una volta i vice pretori onorari e sono oggi i giudici onorari ed i vice procuratori di tribunale, al circuito autonomo e parallelo dei giudici di pace, cui sono state attribuite funzioni giurisdizionali civili e penali da esercitare in piena autonomia ed in posizione paritaria rispetto ai giudici professionali, nei limiti della competenza fissata dalla legge e presso uffici dotati parimenti di complessa autonomia.

Per l’attuazione dell’art. 245 d.lgs. n. 51/1998 è stata recentemente elaborata una proposta (anzi, sono state elaborate più proposte alternative) da parte della Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Modestino Acone. Altre proposte, di vario segno e contenuto, sono state formulate anche all’interno della magistratura onoraria e di alcune loro rappresentanze associative.

In alcune di esse, tuttavia, la principale preoccupazione sembra essere non tanto quella di un riordino della magistratura onoraria in una visione complessiva dell’amministrazione della giustizia e nella cornice dei principi costituzionali di riferimento, quanto piuttosto (sebbene siano diverse le modalità ipotizzate per conseguirla) quella di una stabilizzazione dell’incarico. Si tratta, tuttavia, di posizioni che non trovano sostegno neppure nel disposto dell’art. 245 d.lgs. n. 51/1998, nella cui previsione (“le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12, come modificate o introdotte da presente decreto in forza delle quali possono essere addetti al tribunale ordinario ed alla procura della repubblica presso il tribunale ordinario magistrati onorari, si applicano fino a quando non sarà attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria a norma dell’art. 106, secondo comma della Costituzione, e comunque non oltre cinque anni dalla data di efficacia del presente decreto”) è esplicito il riferimento ad una durata a termine delle attuali figure di giudici onorari di tribunale e di vice procuratori onorari, sia in relazione al generale riassetto del servizio giudiziario (di cui il giudice unico avrebbe dovuto costituire una tappa insieme alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, alle riforme processuali ed agli interventi strutturali, all’informatizzazione degli uffici giudiziari, alla introduzione di “filtri” conciliativi), sia – in conseguenza di ciò – nella connessa prospettiva di una diversa configurazione delle funzioni onorarie. Nella pratica, invece (e, soprattutto, nelle richieste di alcune istanze associative della magistratura onoraria) la norma è stata assunta come base per un consolidamento di status e di funzioni, secondo una logica che non solo tende a riprodurre e moltiplicare il modello burocratico e semiprofessionale di magistrato onorario, ma in alcuni casi si è spinta apertamente a rivendicare una funzione sostitutiva della magistratura professionale, sostanzialmente plaudendo al blocco dei concorsi per uditore giudiziario e sollecitando il Ministro al “definitivo inquadramento dei 3000 magistrati onorari di tribunale in un ruolo organico a tempo indeterminato”.

Qualunque ipotesi di riassetto della magistratura onoraria nel quadro complessivo delle funzioni di giustizia dovrebbe invece essere ancorata ad una riflessione di carattere più generale, raccordandosi tra l’altro con l’art. 106 della Costituzione ed il significato che per la norma costituzionale ha la possibilità di nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per le funzioni attribuite a giudici singoli. Né, da un punto di vista ancor più comprensivo, appare differibile l’esigenza di un intervento organico che valga a salvaguardare e valorizzare il contributo di “cittadini idonei estranei alla magistratura” secondo la dizione dell’art. 102 della Costituzione, in direzione esattamente opposta ai tentativi di riduzione e smantellamento che hanno investito anche questo settore come dimostra il progetto governativo inteso a trasformare il tribunale minorile in organo giudiziario esclusivamente penale, con trasferimento delle competenze civili ad una sezione del tribunale ordinario, composta dai soli giudici togati: ciò che – oltre a determinare la perdita di specializzazione – darebbe luogo a gravi ricadute sulla giustizia minorile la quale – depauperata “delle capacità di analisi, ascolto, accertamento dei fatti” sino ad oggi assicurata dal contributo dei giudici onorari, del contatto costante con i servizi sociali territoriali, dall’integrazione dell’intervento di prevenzione con quello di recupero”, difficilmente potrebbe continuare ad essere “luogo” di tutela dell’esclusivo interesse del minore (così la relazione del segretario generale introduttiva al XIV Congresso Nazionale di Magistratura Democratica). E solo la mancanza di cultura storica può aver portato ad ignorare il ruolo rilevante esercitato proprio dalla componente onoraria nell’esplicazione di quella funzione mediativa che ha positivamente caratterizzato l’esperienza della giustizia minorile.

I limiti della delega, peraltro, non hanno consentito alla Commissione ministeriale per la riforma della magistratura onoraria, presieduta dal Prof. Acone, di occuparsi di questo aspetto. Sotto altro profilo, considerando che la funzione dei giudici onorari aggregati (g.o.a.) è destinata ad esaurirsi con la definizione dell’arretrato e comunque nel termine prefissato dalla legge, del tutto correttamente la Commissione ha ritenuto non significativa la loro presenza in una “regolamentazione organica e complessiva della materia”, salvo a prevederne la possibilità di assorbimento nelle graduatorie di idoneità dei giudici di prima o di seconda “fascia” e, cioè, dei giudici di pace o, rispettivamente, dei g.o.t. e dei v.p.o. (cfr. l’art. 8 della bozza del disegno di legge).

2. I punti di accordo

Per quanto concerne il riordino della magistratura onoraria costituita dai giudici di pace, dai giudici onorari di tribunale e dai vice procuratori onorari, su alcuni punti è possibile registrare significative convergenze anche all’interno della magistratura onoraria. Il consenso si esprime:

ü sull’esigenza che (in relazione al carattere giurisdizionale delle funzioni devolute ai giudici onorari, sia che si tratti di funzioni esercitate in funzione paritaria rispetto ai giudici professionali, sia che si tratti di meri compiti delegati) sia introdotta una normativa idonea a definire compiutamente ruolo, status e disciplina dei magistrati onorari;

ü sulla necessità di un tirocinio preventivo o, comunque, di strumenti di formazione che precedano l’accesso allo svolgimento di funzioni onorarie, alla stregua di quanto già previsto a livello legislativo anche per i giudici di pace (oltre che per gli uditori giudiziari);

ü su quella di strumenti di aggiornamento e di formazione anche successivi al conferimento dell’incarico, nella consapevolezza che è soprattutto la formazione la strada attraverso la quale – come per la magistratura professionale – si afferma e cresce l’indipendenza reale del magistrato nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali; ed è opportuno qui ricordare il ruolo di sollecitazione e di sostegno che il Consiglio superiore della magistratura, con il complesso di norme secondarie emanate per dare attuazione all’art. 4 della L. 468/1999, ha inteso svolgere anche sotto il profilo della formazione permanente dei giudici di pace, in analogia a quanto già accade da anni nel campo della formazione e dell’aggiornamento professionale della magistratura togata;

ü sulla necessità che anche nei procedimenti disciplinari relativi ai giudici onorari siano adeguatamente garantiti il contraddittorio e la possibilità di difesa tecnica (esigenza che peraltro, con riguardo ai giudici di pace, il Csm ha già tenuto in considerazione nelle proprie norme regolamentari: cfr. il capo VIII della circolare 30 luglio 2002 e succ. mod. concernente “Nuove modalità di nomina e di conferma dei giudici di pace a seguito delle modifiche alla legge istitutiva introdotte dalla legge 24 novembre 1999, n. 468”);

ü sull’esigenza che ai magistrati onorari sia assicurata una maggiore e più visibile partecipazione nell’esercizio delle funzioni amministrative nei procedimenti che riguardano il loro status, superando quella vera e propria anomalia per cui la rappresentanza dei magistrati onorari in seno agli organi decentrati di autogoverno è limitata alla presenza di un solo giudice di pace e per le sole ipotesi indicate negli artt. 7, comma 2-bis, e 9, comma 4 della L. 21 novembre 1991, n. 374 e succ. mod. (conferma nell’incarico dopo il primo quadriennio; decadenza, dispensa dal servizio e provvedimenti disciplinari).

Vi è del pari concordanza di vedute:

ü sull’ipotesi di aumento di competenza per valore e per materia del giudice di pace, secondo le linee indicate anche nella proposta della Commissione Acone, ferma l’esigenza di una adeguata valorizzazione anche della funzione conciliativa non contenziosa davanti al giudice di pace, quella funzione che l’art. 322 c.p.c. si limita a menzionare con una formula di stile cui non ha corrisposto, nei fatti, alcuna volontà di creare le condizioni politiche e culturali entro le quali essa potesse crescere e radicarsi;

ü sulla necessità che nella distribuzione degli affari siano rispettati criteri idonei ad assicurare il principio del giudice naturale e quello del buon andamento del servizio, non trascurando di considerare (anche in ciò esplicandosi la regola dell’imparzialità che costituisce criterio di orientamento per l’azione di ogni settore della Pubblica Amministrazione) una perequazione dei carichi idonea ad evitare ingiustificate disparità sotto il profilo del trattamento economico dei singoli giudici di pace. I compiti dei coordinatori dovranno essere rimodellati in modo conforme ai principi del giudice naturale e dell’efficienza del servizio, ed anche nell’organizzazione degli uffici del giudice di pace – sia pure tenendo conto della specificità dei compiti ad essi assegnati ai giudici di pace e della temporaneità delle loro funzioni – dovrà essere reso effettivo un procedimento gabellare analogo aquello previsto per i magistrati professionali, con coinvolgimento diretto dei consigli giudiziari nella formazione delle relative tabelle;

ü su quella di una revisione degli organici e della geografia degli uffici, al fine di superare le irrazionalità che si verificano nella distribuzione delle risorse in rapporto alle pendenze ed ai carichi di lavoro, con effetti negativi sulla resa del servizio;

ü sulla esigenza, infine, di potenziamento delle strutture, dei mezzi materiali, delle dotazioni di personale amministrativo, della informatizzazione degli uffici giudiziari, questioni tutte sulle quali occorrerebbe davvero dare corpo ad una rivendicazione comune, reclamando a gran voce l’adempimento dei precisi doveri che la Costituzione ha assegnato al Ministro.

Mi pare infine si possa guardare con interesse all’idea di un “Osservatorio regionale dell’attività della magistratura onoraria, della conciliazione e delle attività ausiliarie di giustizia”, prospettata in sede di rappresentanza associativa dei giudici di pace, con il compito di avvicinare la giustizia alle esigenze dei cittadini e di consentire di conoscere i problemi della giustizia onoraria e della conciliazione anche a chi si trova al di fuori dell’ambito degli operatori istituzionali. Un simile organismo, o altri analoghi –purché destinati ad affiancarsi ai Consigli giudiziari e non a sostituirli nelle competenze proprie – potrebbe costituire, anche nell’ottica dell’art. 116, terzo comma della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, un utile strumento di coinvolgimento degli enti locali nei problemi concreti della giustizia ed un modo di realizzazione del decentramento che non nasca soltanto dall’urgenza di governo della complessità e dall’esigenza di tener conto anche delle specificità dei bisogni locali, ma concorra ad una prospettiva di arricchimento pluralistico e democratico della vita istituzionale.

3. La magistratura onoraria nel quadro complessivo delle funzioni della giustizia.

Ma una revisione organica della materia non può prescindere da una riflessione più generale circa il ruolo che si intende assegnare alla magistratura onoraria nel quadro delle funzioni di giustizia complessivamente intese e con riguardo agli strumenti di tutela dei diritti. Anche il nuovo testo dell’articolo 111 della Costituzione, assumendo formalmente a valore il principio della ragionevole durata del processo, impone di rimodellare i compiti e le funzioni della magistratura onoraria nel senso della funzionalità complessiva del servizio giudiziario.

Ponendo al centro della riflessione le esigenze di organizzazione della giustizia, sono intuibili, innanzi tutto, le conseguenze che con riferimento agli assetti degli uffici giudiziari ha avuto o dovrebbe avere la presenza di un giudice di pace diffuso in modo capillare sul territorio una volta corrette le irrazionalità tuttora persistenti nella relativa distribuzione geografica e nella pianta organica che vi corrisponde. Questa operazione dovrebbe anzi costituire la premessa per una più generale ripartizione delle risorse ai sensi della legge sull’aumento dell’organico della magistratura, la cui attuazione (messa inopinatamente in dubbio da recenti decisioni politiche) renderebbe a sua volta ancor meno plausibile la conservazione dei giudici onorari dei tribunali e dei vice procuratori onorari in funzione di mera supplenza della magistratura professionale, quanto meno nelle forme disorganiche, confuse, casuali e a volte persino mortificanti che ne caratterizzano l’impiego negli assetti attuali.

La tempestività della risposta giudiziaria non viene garantita attenuando il livello delle garanzie o indebolendo il controllo di legalità istituzionalmente demandato alla giurisdizione, né emarginando il ruolo del giudice nel processo, secondo progetti di riforma che, se attuati, determinerebbero un vero e proprio salto all’indietro rispetto alla concezione del processo come funzione pubblica anche quando sono privati gli interessi in gioco, ma facendo in modo che accanto ed intorno al processo sia creata una fitta rete di strumenti capaci di favorire il superamento e la composizione dei conflitti, fornendo ai cittadini quelle opportunità che a volte il processo non può dare. Come è stato osservato in tante occasioni, la ricerca di forme di composizione della lite diversi dalle soluzioni giudiziarie, non si propone soltanto in termini di alternativa rispetto ai ritardi della giustizia ordinaria, ma rimanda anche all’esigenza di una diversa qualità dell’intervento: rimanda, cioè, “all’idea di una giustizia non fondata unicamente sull’applicazione autoritativa del diritto, sull’astrattezza e generalità delle norme, sulla rigida divisione tra torto e ragione, ma sulla capacità di riflessione, adattamento ed integrazione delle norme, sostituendo alla decisione sul conflitto quella di governo di esso”. Ed è intorno a questa funzione, il cui scopo è “di recuperare la qualità del legame sociale consentendo alle stesse parti di interpretare le regole e di mediare i propri diritti”, che andrebbero poste le basi di un complessivo riordino del ruolo della magistratura onoraria, superando definitivamente la concezione utilitaristica ed ancillare per la quale ai magistrati onorari si è continuato a far ricorso non per arricchire in senso pluralistico la giurisdizione con l’apporto di esperienze e sensibilità esterne al circuito della magistratura togata, quando invece in funzione sostitutiva e di soccorso rispetto ai compiti propri di quest’ultima. Una funzione, ben inteso, necessaria e in qualche modo inevitabile sotto il profilo delle contingenze storiche, ma che ha finito per introdurre sul piano culturale e politico un’implicita gerarchia di valori tra una giustizia di serie “A” ed una giustizia di grado inferiore, quasi che si dovesse procedere non solo in forma più semplice, ma anche in modo più approssimativo e sommario quando vengano in discussione i beni più dimessi che spesso proprio per questo corrispondono tuttavia ai bisogni elementari ed essenziali della vita.

a) Il giudice di pace

Nel contesto di una revisione organica della magistratura onoraria, vengono in primo piano le rilevanti modifiche introdotte nell’ordinamento a seguito dell’attribuzione di competenze penali al giudice di pace. I compiti assai impegnativi che ne sono derivati hanno indotto il legislatore a modificare sensibilmente la disciplina per la nomina a giudice di pace: l’introduzione del tirocinio come condizione per l’accesso ad una graduatoria di idonei, secondo lo schema di reclutamento proprio dei magistrati professionali; il tendenziale superamento del criterio di territorialità insito nella previsione che gli idonei non chiamati alla funzione nel distretto di riferimento possano essere direttamente designati quali giudici di pace in altri distretti; il rilievo attribuito, ai fini della copertura delle vacanze, alla semplice verifica della persistente idoneità alla funzione, con conseguente prelazione a favore dei giudici in servizio, la stessa previsione di un’indennità collegata ai compiti generali di istituto, costituiscono profili evidenti di un processo di trasformazione che – come è stato rilevato da più parti – hanno accentuato la spinta verso la semiprofessionalità e la burocratizzazione, rendendo più difficile far marcia indietro rispetto alle caratteristiche assunte dalla figura soprattutto a causa del forte abbassamento dei limiti di età e degli altri requisiti per l’accesso. Ciò non significa, beninteso, che il destino del giudice di pace sia irrimediabilmente segnato nel senso di assimilarlo del tutto a quello togato o di considerarlo semplicemente come il giudice della residualità, delle competenze accomunate dal solo fatto di essere competenze sottratte al giudice professionale. La particolare posizione riconosciuta alla vittima del reato nel procedimento innanzi al giudice di pace; la funzione centrale rivestita in tale processo dai meccanismi di conciliazione, mediazione e riparazione, individuati dal legislatore come percorsi preferenziali rispetto all’applicazione della pena; l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto e l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie; lo specifico apparato sanzionatorio della sentenza di condanna alla permanenza domiciliare o al lavoro di pubblica utilità, costituiscono aspetti di una disciplina che – per quanto non del tutto sconosciuti al processo ordinario ed in parte attinti dall’esperienza di quello minorile – hanno creato un vero e proprio sottosistema, un diritto penale diverso destinato ad incidere necessariamente, almeno nelle intenzioni del legislatore, anche sul ruolo del giudice di pace. Un ruolo che, sviluppatosi nel solco di una concezione essenzialmente deflativa rispetto ai compiti della magistratura professionale, recupererebbe in questo modo profili propri di una giustizia coesistenziale che persegue l’obiettivo della composizione dei conflitti per il tramite di un limitato utilizzo della tecnica giuridica e secondo criteri di minor lacerazione sociale. Ed anche se, purtroppo, l’esperienza concreta non sembra aver corrisposto sino ad ora alle aspettative, è questo, a mio modo di vedere, il percorso lungo il quale dovrebbe essere indirizzato – anche per il tramite con l’ausilio di una forte attività di formazione – il futuro del giudice di pace, che ha tanto più senso come circuito autonomo della giurisdizione quanto meno si risolva in semplice riedizione su scala ridotta (riproducendone i difetti anche in termini di durata dei processi), del giudice ordinario.

Quale che ne saranno gli sviluppi, nessuno più dubita che sia comunque proprio il giudice di pace l’organo della giurisdizione sul quale il legislatore ha dimostrato di voler fare il principale investimento per quanto concerne il futuro della magistratura onoraria. Anche la devoluzione delle competenze penali più sopra ricordate e l’introduzione di istituti nell’interpretazione dei quali dovrebbe spettare proprio ai giudici di pace elaborare prassi ed orientamenti capaci di costituire utili punti di riferimento per la stessa magistratura professionale oltre che per il legislatore nei suoi compiti di adeguamento normativo, confermano questa conclusione. In tale contesto, il prospettato recupero di caratteristiche originarie del giudice di pace con reintroduzione dei limiti di età per l’accesso; un rigoroso regime di incompatibilità; la presenza effettiva e non meramente simbolica negli organi decentrati di autogoverno; la formazione iniziale e successiva, l’attribuzione di nuove competenze civili sulla linea di quelle previste nella bozza di disegno di legge della Commissione Acone (sostanzialmente coincidente con le proposte elaborate da organismi associativi dei giudici di pace); una maggiore semplificazione delle forme processuali (tra cui, in particolare, l’introduzione della causa mediante ricorso e l’accentuazione dell’oralità nella fase decisoria), sono tutti elementi che concorrono a definire e radicare il ruolo specifico del giudice di pace nel quadro generale della magistratura onoraria, un ruolo che giustifica l’articolazione di quest’ultima in più “fasce” e l’autonoma considerazione che in una delle proposte elaborate dalla Commissione Acone è contenuta con riguardo al giudice di pace rispetto alle altre “fasce” di magistrati onorari.

b) I giudici onorari di tribunale ed i vice procuratori onorari

Quanto ai giudici onorari di tribunale ed ai vice procuratori onorari, la prospettiva di un loro inserimento nel sistema dell’amministrazione della giustizia secondo una visione che non ne limiti i compiti ed una funzione meramente vicaria di quelli devoluti alla magistratura professionale, è ancora tutta da approfondire, ed al riguardo non possono che registrarsi i gravi ritardi delle sedi politiche e della cultura giuridica nell’affrontare tale questione. Un segno di questo ritardo di elaborazione può cogliersi anche nelle proposte formulate in seno alla Commissione presieduta dal Prof. Acone, che nell’affrontare il fondamentale – e in qualche modo preliminare – problema dell’unicità o pluralità della magistratura non professionale (l’alternativa cioè circa il se prevedere un unico ruolo della magistratura non professionale cui affidare competenze proprie, ovvero conservare la competenza nell’ordinamento di magistrati non professionali investiti di competenze proprie e magistrati non professionali investiti volta per volta di compiti di supplenza dei giudici togati), non è pervenuta a soluzioni unitarie. Mentre, infatti, una parte della Commissione ha sostenuto che la funzione giurisdizionale esercitata per supplenza del giudice professionale costituisce una vera e propria “anomalia del sistema, occorrendo evitare che il cittadino possa trovarsi indifferentemente e per caso ad essere giudicato da un giudice non professionale o da un giudice professionale senza che ciò trovi fondamento in un elemento obiettivamente percepibile”, un’altra parte ha sottolineato come la funzione giurisdizionale di supplenza è da sempre esistita nel nostro ordinamento, e che una soluzione che la eludesse non sarebbe realistica nell’attuale situazione, anche in presenza di un significativo aumento della competenza del giudice non professionale. Allo stato attuale della riflessione, sarebbe in effetti irrealistico pensare di rinunciare all’ausilio dei g.o.t. e dei v.p.o. secondo la perenne funzione di supplenza e di soccorso della magistratura professionale, né può dubitarsi che senza l’aiuto dei v.p.o. le procure della repubblica si troverebbero in grave difficoltà di funzionamento. Ma, proprio per questo, è necessario superare lo stato di precarietà e, per molti versi, di ambiguità che nelle prassi concrete caratterizza l’impiego dei g.o.t. e dei v.p.o., impiego che il Consiglio superiore della magistratura nelle sue circolari ha ritenuto di dover contenere nei limiti di stretta ed assoluta necessità con riguardo al compimento dei singoli atti o di singole udienze, e che in molti uffici è stato invece dilatato sino al punto di attribuire ai g.o.t. propri ruoli e propri carichi di lavoro. Più in generale, “nell’assetto attuale esiste non soltanto il problema delle incompatibilità fra la funzione onoraria e l’esercizio in loco della professione forense, ma anche quelli del ruolo effettivo assunto da tali magistrati, delle loro garanzie come giudici, di una situazione di pesante minorità e subalternità rispetto ai dirigenti ed agli stessi organi di autogoverno della magistratura togata” (Viazzi, Giudice unico e magistratura onoraria, in “Questione Giustizia”, 1999, 245 e segg.). Al riguardo appare urgente una ricognizione delle prassi al fine di verificare l’entità e le ragioni di tale forme di impiego, ed eventualmente rimodellare – ad esito di tale ricognizione – le circolari consiliari in modo da rendere più precisi i compiti da affidare ai magistrati onorari; né al riguardo può escludersi l’utilità di un intervento legislativo che specificasse in positivo le funzioni giurisdizionali che possono essere devolute ai giudici onorari di tribunale, sia pure in modo tassativo ed inderogabile, fermo restando che il prossimo assetto della magistratura onoraria, anche nella logica a termine dell’art. 245 d.lgs. N 51/1998, resta preliminare la scelta circa il se prevedere per i g.o.t. ed i v.p.o. percorsi differenziati, dato che sono notevolmente diversi i problemi relativi.

Quale che sia la ridefinizione dei compiti dei magistrati onorari, resta connaturale alle loro funzioni (tanto più se si tratta di funzioni di mera supplenza) la temporaneità dell’incarico, posto che ogni ipotesi di stabilizzazione – anche ottenuta indirettamente per il tramite di “proroghe” o di “conferme” successive – si risolverebbe in forme di reclutamento parallelo per le quali non si rinviene alcun fondamento costituzionale. Né la temporaneità è di ostacolo all’indipendenza ed all’autonomia che debbono caratterizzare – come opportunamente si enuncia nell’art. 1 della bozza di disegno di legge elaborata dalla Commissione Acone – l’esercizio di qualunque funzione giurisdizionale, anche se il carattere onorario e di durata temporanea. L’indipendenza e l’autonomia, infatti, debbono essere perseguite con un rigoroso regime di incompatibilità, la trasparenza nelle procedure di nomina e nell’assegnazione dei compiti di volta in volta legati, l’accesso alla formazione ed il coinvolgimento nei compiti di amministrazione della giurisdizione, il responsabile ed effettivo esercizio delle funzioni di sorveglianza da parte di chi è investito dei compiti relativi.

L’unico incentivo per chi aspira ad essere nominato magistrato onorario è, o dovrebbe essere, la sincera disponibilità a concorrere ai compiti di amministrazione della giustizia, non speranze o aspettative più o meno remote di stabilizzazione nell’incarico, pur non potendosi escludere che il positivo svolgimento di funzioni onorarie possa essere preso in considerazione, ad esempio, sotto forma di titolo preferenziale o di titolo alternativo per la partecipazione al concorso in magistratura.

c) La partecipazione negli organi di autogoverno

Rispetto al moltiplicarsi di figure di giudici onorari, che si sono andate accumulando nel tempo, la rilevante quantità di compiti amministrativi che ne sono derivati è stata affidata esclusivamente al Consiglio superiore della magistratura, con la conseguenza che l’organo di governo autonomo della magistratura professionale è allo stesso tempo l’organo amministrativo di tutti i magistrati onorari. A favore di tale scelta militano ragioni storiche, istituzionali e culturali ben precise. Sul piano culturale, basta osservare che l’esperienza ed il sapere accumulati dalla magistratura professionale nel campo dell’amministrazione della giurisdizione hanno portato ad individuare il Consiglio superiore della magistratura come il soggetto più idoneo a trapiantare quelle esperienze e conoscenze in altri campi. Sul piano istituzionale, proprio il rilevato intreccio delle funzioni esercitate dai magistrati onorari con quelle proprie dei magistrati togati, la compartecipazione dei primi all’attività giurisdizionale ovvero il loro coinvolgimento (sia pure in funzione “vicaria” o “supplente”) nell’amministrazione della giustizia hanno fatto apparire del tutto naturale una forma unitaria di governo per tutte le figure dei magistrati, togati ed onorari. Sul piano istituzionale, infine, non è dubbio che il Consiglio Superiore – malgrado le incertezze che talvolta ne hanno segnato il cammino – abbia saputo sostanzialmente assolvere alla funzione assegnatagli dalla Costituzione, non solo garantendo ma ponendosi esso stesso come fattore di crescita dell’autonomia ed indipendenza della magistratura.

Ma, pur riconoscendosi come assolutamente fondante le ragioni storiche, culturali ed istituzionali sottostanti all’assetto attuale, la stessa quantità di compiti che in modo sempre più massiccio gravano sul Consiglio, mettendone a rischio la concreta possibilità di funzionamento e di fatto precludendo efficaci controlli in ordine all’accesso ed all’effettiva professionalità dei magistrati onorari (con pratico svuotamento del principio costituzionale secondo cui la legge assicura l’indipendenza degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia) a portato a prospettare l’ipotesi di un sistema diverso e più articolato. Ci si è chiesto, cioè, se alla luce delle differenze esistenti all’interno delle diverse figure di magistratura onoraria, con riferimento ai giudici di pace (che rappresentano un modello autonomo di giurisdizione, parallelo a quello della magistratura professionale) non sia plausibile orientarsi verso il superamento dell’attuale sistema di “eterogoverno”, pur rispettando l’esigenza di assicurare forme di governo analoghe a quella della magistratura professionale per garanzie di autonomia ed indipendenza, avviando invece per tutte le altre figure di magistratura onoraria (anche nel quadro del riordino previsto, per i giudici onorari dei tribunali e per i vice – procuratori onorari, dal d.lgs. n. 51/1998 sul giudice unico di primo grado) un razionale processo di spostamento verso la periferia dei compiti oggi affidati al Consiglio. Quanto più, anzi, alla figura del giudice di pace fossero recuperate caratteristiche di un giudice della “prossimità”, tanto più – si è osservato – diventerebbe plausibile una configurazione degli organi di autogoverno secondo caratteristiche idonee a realizzare il coinvolgimento di enti territoriali nelle concrete necessità inerenti ai servizi della giustizia, anche alla luce del modificato art. 116, terzo comma della Costituzione che ha aperto “una prospettiva in senso “federalista” e regionale alla rappresentanza dei singoli giudici di pace” (così la Relazione alla bozza del disegno di legge sulla riforma della magistratura onoraria).

Si deve tuttavia sottolineare che quella indicata costituisce, allo stato, una semplice ipotesi, e che rispetto ad essa non mancano obiezioni, oltre che di ordine costituzionale – sembrando del tutto insufficiente al riguardo la disposizione contenuta nell’art. 108, secondo comma della Costituzione, nonostante che proprio tale norma costituisca secondo alcuni idoneo fondamento alla creazione di altri organi di vertice nelle funzioni di amministrazione della giurisdizione: si pensi, ad esempio, a quegli ibridi organismi che sono il “Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria” ed il “Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa” – anche di ordine istituzionale e culturale, da un lato sembrando contraddittorio considerare i giudici di pace quali componenti dell’ordine giudiziario e, nello stesso tempo, ipotizzare per essi un autonomo sistema di autogoverno, come se si trattasse di una entità distinta rispetto al circuito ordinario della giurisdizione; dall’altro lato apparendo incongruo prospettare forme di eterogoverno che – anziché favorire la crescita e la diffusione di una comune cultura della giurisdizione – potrebbero aprire la strada a pericolosi fenomeni di separatezza. In tale contesto appare più realistico prendere in esame, come ipotesi di discussione, quella di una presenza dei giudici di pace nell’organo di autogoverno (oltre che nei consigli giudiziari), ferma la questione sulla necessità di una modifica a livello costituzionale, e salva la possibilità di prevedere fin da ora – anche per la semplice via regolamentare da parte del Csm – opportune forme di raccordo sul piano consultivo, in modo da assicurare ai giudici di pace e agli altri magistrati onorari una sede istituzionale di interlocuzione e di confronto. Ma si tratta di problemi del tutto aperti, rispetto ai quali ogni conclusione sarebbe prematura. L’importante è non trascurarli e ritardare perennemente rispetto ad essi la riflessione.

Quanto ai g.o.t. e ai v.p.o., la circostanza che essi svolgono allo stato della normativa vigente funzioni di mera supplenza della magistratura togata, non dovrebbe far sorgere problemi di loro rappresentanze nell’organo di vertice dell’autogoverno, mentre mi sembra doverosa e potrebbe dimostrarsi funzionale alla stessa crescita dell’indipendenza la previsione di loro rappresentanze negli organi decentrati di autogoverno, esistenti o da istituire (consigli giudiziari ed “Osservatori”).

d) La formazione professionale

Si è già osservato come la formazione costituisca strumento essenziale per l’esercizio autonomo ed indipendente di qualunque funzione giurisdizionale. Qui è da aggiungere come sino ai tempi recenti con riguardo a nessuna delle molteplici figure dei magistrati onorari la formazione professionale era stata assunta come compito preciso dell’organo di autogoverno della magistratura. Del tutto mancato con riferimento ai g.o.t. ed ai v.p.o. (rispetto ai quali solo la circolare consiliare del 12 gennaio 2001 ha realizzato una prima apertura prevedendo possibilità di partecipazione dei v.p.o. e degli ufficiali di p.g. ai corsi organizzati per i giudici di pace), un tentativo – per quanto concerne i g.o.a. – vi fu solo con l’incontro di studio organizzato dal Csm alla vigilia dell’entrata in funzione della legge istitutiva, e con l’invito ai consigli giudiziari ad organizzare incontri analoghi nelle sedi locali.

Più significative sono state le iniziative di formazione che hanno coinvolto i giudici esperti dei tribunali di sorveglianza ed i componenti privati dell’area di famiglia e minorile, in particolare attraverso il laboratorio di “autoformazione” che ha realizzato un’esperienza formativa per tanti versi nuova rispetto ai metodi tradizionali della formazione centralizzata, e che potrà trovare e in parte ha già trovato diffusione e valorizzazione (anche al di fuori dei settori originari) nel contesto della formazione decentrata, la quale annovera tra i principali obiettivi quello di realizzare uno stretto rapporto fra formazione e realtà del lavoro giudiziario, secondo una prospettiva culturale che, prima di allora, solo gli “osservatori” per la giustizia sorti in diverse parti d’Italia avevano avuto il merito di mettere in campo. Ed è soprattutto grazie all’impulso ed all’impiego spontaneamente sviluppati nelle sedi locali che era stato possibile realizzare iniziative di formazione per i giudici di pace prima che il legislatore, con la novella del 1999, sollecitasse al riguardo un più forte coinvolgimento dei consigli giudiziari e dello stesso Csm.

Deve dunque esprimersi un giudizio positivo sul fatto che nell’art. 9 della bozza di disegno di legge sulla riforma della magistratura onoraria, recependosi indicazioni già contenute nelle circolari del Csm, la formazione permanente dei magistrati onorari sia stata prevista come un dovere d’ufficio. Ma affinché la formazione possa assolvere al suo compito, è necessario superare la fase dello spontaneismo fondato unicamente sulla buona volontà e sulle virtù individuali. Né basterà affermare che le funzioni di magistrato affidatario e di magistrato assegnatario rientrano tra i doveri di ufficio, sia perché si tratta pur sempre di lavoro aggiuntivo rispetto a quello ordinario, sia perché tale sforzo non potrà essere preteso dagli appartenenti ad altre amministrazioni pubbliche (ad es. Università) o dagli ordini professionali. Anche la soluzione di un parziale trasferimento ai Consigli giudiziari delle risorse che il Consiglio superiore della magistratura destina alla formazione costituisce un rimedio del tutto emergenziale e transitorio. Il fenomeno deve infatti evolversi nel senso che il costo della formazione è un investimento utile e necessario per il buon funzionamento della giustizia, valendo tra l’altro anche per la magistratura onoraria, in ogni sua articolazione, il principio che l’indipendenza significa innanzi tutto soggezione del giudice solo alla legge; ed il giudice, dovendo ricercare ed acquisire da solo gli strumenti della interpretazione delle leggi, ed assumere la responsabilità delle proprie decisioni in piena indipendenza da ogni condizionamento esterno o interno, proprio per questo ha bisogno di una formazione permanente di alto livello (Consiglio superiore della magistratura – relazione al Parlamento sullo stato della giustizia del 1994).

Accanto all’insostituibile ruolo dei consigli giudiziari, ed alla funzione di stimolo e sostegno al CSM necessaria anche al fine di garantire una ragionevole uniformità negli standard quantitativi e qualitativi dell’offerta formativa, per assicurare la circolarità delle informazioni diffondendo idee e prassi virtuose e per offrire una sede di confronto e discussione sui problemi emersi, particolarmente utile sarà il contributo dei referenti distrettuali per la formazione, destinati a costituire la rete di un servizio diffuso sul territorio al fine di cogliere e soddisfare i bisogni di formazione in un rapporto di stretto collegamento con le realtà locali e di utili sinergie con il Csm, i consigli giudiziari, le Università, gli Ordini professionali e le altre realtà “esterne” alla magistratura. La formazione decentrata costituisce anzi la sede naturale (per quanto, ovviamente, non esclusiva) anche per la formazione della magistratura onoraria, nella molteplicità delle sue forme e funzioni. Anche con riguardo alle esigenze di formazione dei giudici onorari dei tribunali minorili, per i quali non è prevista alcuna formazione, né prima né dopo la nomina, occorrerebbe andare oltre la fase delle esperienze sporadiche casuali per incentivare ed istituzionalizzare percorsi di formazione iniziale e continua in ogni distretto.

Ma, come per l’intero campo della formazione professionale, la crescente complessità dei compiti e la limitatezza delle strutture di cui il Consiglio può disporre rende difficile immaginare che tutto ciò possa essere realizzato non solo senza coinvolgimento diretto dei principali interessati e, in particolare, dei giudici di pace, ma altresì senza rimettere in campo – nella cornice della leale collaborazione istituzionale, correttamente ed effettivamente intesa, cui rimanda l’intreccio degli artt. 105 e 110 della Costituzione, ed alla luce di esperienze già positivamente avviate – l’idea di una scuola, “con connotati di maggiore specializzazione ed istituzionalizzazione, dotata di strutture stabili e dedicate, capace di integrare ai vari livelli, di investire e gestire risorse, di realizzare sinergie con altri enti, di fornire strumenti e servizi formativi sia ai singoli magistrati sia ad altri soggetti erogatori nei diversi circuiti del sistema formativo” (Relazione quadriennale sull’attività di formazione professionale, gennaio 1997 – dicembre 2000, in Quaderni del Consiglio superiore della magistratura, n. 119/2001): una struttura di servizio, dunque, non certo uno strumento di conformazione, nella consapevolezza che la formazione è una componente essenziale delle funzioni di autogoverno responsabilmente svolte e presupposto a sua volta dell’esercizio responsabile della giurisdizione da parte di tutti i magistrati. E non sarà inopportuno sottolineare ancora una volta come il ruolo istituzionale ed il patrimonio ultradecennale di esperienza accumulato dal Consiglio nel campo della formazione professionale dei magistrati (un’esperienza che, attraverso il metodo della discussione e del confronto, anche con altre categorie professionali, è servito a far crescere l’indipendenza reale della magistratura ed a migliorare la qualità del servizio giudiziario e che, per questo, ha ricevuto espliciti riconoscimenti dal Capo dello Stato ed in ambito europeo) rischia di essere travolto dal disegno di legge delega governativo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario.

Desta preoccupazione, in particolare, la proposta di istituzione di una “scuola della magistratura” (sia pure presso la Corte di Cassazione, e non presso il Ministero) configurata in modo tale da sembrar rivolta appunto più alla conformazione ed al controllo dei magistrati che a fornire una struttura a servizio permanente della formazione professionale. Al pluralismo degli apporti culturali, che costituisce connotazione intrinseca dell’attività di formazione sviluppata in questi anni dal Consiglio, verrebbe sostituito un modello accentrato, diretto dall’alto, di tipo pedagogico e “scolastico” che pare assai lontano da quell’idea di “Scuola della magistratura” auspicata più volte dal Consiglio superiore nelle proprie delibere e risoluzioni quale stabile struttura a servizio di permanente arricchimento professionale dei magistrati.

4. L’associazionismo e l’impiego comune per l’effettività della giurisdizione e la soggezione del giudice solo alla legge.

In ogni società democratica spetta alla giurisdizione il compito di controllo della legalità nei confronti di tutti senza distinzione. La costituzione ha stabilito che il giudice è soggetto solo alla legge e che la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere proprio perché, attraverso l’esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni ad essa demandate, la giurisdizione possa costituire tramite di realizzazione dei diritti e strumento di attuazione di fondamentali principi di libertà, di emancipazione e di eguaglianza. A questo compito – sempre meno limitato dai confini degli Stati nazionali e sempre più destinato ad esplicarsi in uno spazio giudiziario comune, sopranazionale ed europeo – deve concorrere anche la magistratura onoraria.

Affinché l’indipendenza possa affermarsi nei fatti e, con essa, possa realizzarsi l’effettività della giurisdizione, occorrono molte cose: leggi orientate nell’interesse generale della collettività, istituzioni visibili ed efficienti, strumenti processuali adeguati, strutture organizzative congrue, capacità organizzativa e professionalità. Ma servono, anche, la sincera volontà di riconoscersi attorno a valori comuni, capacità di dialogo e di confronto, disponibilità a concorrere ad un progetto che abbia come traguardo la realizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali. Il processo storico che ha portato nel tempo alla crescita dell’indipendenza reale della magistratura professionale, è frutto di molti fattori, ivi compreso l’esercizio delle funzioni di autogoverno consapevolmente e responsabilmente esercitate. Ma è frutto, anche, dell’associazionismo giudiziario che, pur tra contrasti e contraddizioni, nel corso della sua lunga evoluzione ha saputo fornire un contributo fondamentale per l’abbattimento dell’assetto gerarchico – burocratico delle carriere e l’affermazione dei valori costituzionali come cornice di riferimento e criterio di orientamento del giudice nell’esercizio delle sue funzioni, e che – anche nei momenti più difficili – ha saputo ritrovarsi unita in difesa della funzione giudiziaria, che costituisce lo scopo essenziale per il quale l’Anm è nata ed esiste.

E’ auspicabile che l’associazionismo, orientato verso i valori più che verso contingenti rivendicazioni corporative, possa svilupparsi anche all’interno della magistratura onoraria e che, anzi, possa crescere nel tempo un associazionismo più ampio entro il quale i magistrati professionali e magistrati onorari si ritrovino insieme per discutere i comuni problemi della giustizia, per rafforzare nell’attività quotidiana i valori dell’imparzialità e dell’indipendenza e contribuire ad un progetto capace di restituire credibilità ed efficienza al servizio giudiziario.

Gianfranco Gilardi.

INTERVENTO DI DANIELA MOLLICA

GIUDICE DI PACE DI MILANO

Vi sono, in materia di riordino su un piano organico della magistratura onoraria, molte posizioni divergenti, tutti, però, sono concordi nell’affermare l’esigenza della formazione professionale dei magistrati onorari. Si tratta di un aspetto, che, nel quadro della riforma, dovrebbe, però, assumere valore predominante e non soltanto perché rappresenta, come è stato evidenziato, lo strumento essenziale per affermare l’indipendenza e l’autonomia dei giudici onorari.

La necessità di una formazione non solo iniziale, ma anche successiva al conferimento dell’incarico che consenta alla magistratura di pace di acquisire un elevato livello di professionalità, nasce preliminarmente dal fatto che l’esercizio della funzione giurisdizionale impone che, a fronte di critiche troppo spesso preconcette sul nostro operato che da alcuni ci vengono rivolte, si dimostri, esclusivamente con i fatti, di avere quella giusta credibilità correlata al ruolo che rivestiamo.

Ma l’esigenza di un aggiornamento specifico deriva da un’ulteriore considerazione, sostanzialmente più rilevante e strettamente connessa alla precedente. Si è giudici capaci non solo se si ha una competenza qualificata, ma se ci si sente davvero giudici, se si ha il senso del ruolo della cultura che ne deriva. La formazione rappresenta, dunque, anche attraverso il confronto con la magistratura togata, lo strumento per rafforzare il senso di piena appartenenza alla giurisdizione, indispensabile nel momento in cui, con l’entrata in vigore delle competenze penali del gdp e con l’auspicata riforma sull’aumento della competenza per valore, si è inteso valorizzare la figura di giudice di pace, quale giudice effettivo di prima istanza, seppure non professionale.

Concretamente, l’aggiornamento permanente, sulle linee già tracciate con il tirocinio, dovrebbe necessariamente essere attuato a livello decentrato, rendendo la partecipazione ai corsi obbligatoria, o quantomeno rilevante ai fini della valutazione del rinnovo, preliminarmente individuato, sulla base delle proposte formulate dai giudici di pace, criteri mirati alle esigenze specifiche dell’attività giurisdizionale di nostra competenza. Il confronto e la discussione nei gruppi ristretti con i magistrati ordinari, i quali rappresentano i nostri interlocutori naturali, dovrebbe costituire momento fondamentale di una formazione con taglio prettamente pratico.

Questa forte e sentita esigenza di dialettica giuridica nasce dalla considerazione che, a differenza della magistratura ordinaria, manca, oggi, nella magistratura di pace (almeno a Milano, realtà emblematica, però, per il numero elevato di giudici in pianta organica effettiva) la capacità di aggregarsi per discutere quantomeno quelle questioni nuove, numerose in materia di depenalizzazione e sulle quali il gdp forma la giurisprudenza. La questione nuova è e rimane problema individuale e non investe i giudici collettivamente alla ricerca di soluzioni comuni, pur nel rispetto dell’autonomia decisionale del singolo.

Si tratta di un limite legato a molteplici fattori, che però si traduce in una intrinseca debolezza della magistratura di pace, di cui si dovrà tenere conto in sede di riforma, affrontando il tema della formazione.

Sulla base di tali riflessioni e nell’ottica di una riforma nel senso sopra delineato, un gruppo di gdp di Milano ha avviato un progetto per la costituzione di un Centro Studi e Documentazione, con finalità di studio e ricerca, sulle orme degli osservatori per la giustizia civile, sia al fine di ottenere, con la collaborazione di tutti gli operatori del diritto, una migliore efficienza dell’amministrazione della giustizia nell’ambito della competenza del giudice di pace, sia al fine di formulare proposte per l’aggiornamento. Nasce come organizzazione spontanea e rappresenta, nelle intenzioni dei promotori, un momento di autoformazione, in cui però il rapporto con la magistratura ordinaria dovrebbe divenire privilegiato proprio per la sentita necessità di colmare e superare i limiti di cui si è detto. Non ci nascondiamo le difficoltà oggettive per l’attuazione concreta di questo progetto, si tratta di coinvolgere il maggior numero possibile di colleghi, convincendoli che l’autoformazione aggregata, come l’auspicata formazione permanente, è necessaria non solo per svolgere al meglio le nostre funzioni, ma rappresenta lo strumento per acquisire quella cultura che valorizzi e dia un senso concreto al principio di indipendenza della magistratura di pace, prevedendo l’eventuale insorgere di situazioni che potrebbero potenzialmente ledere la nostra autonomia.

Detto questo, occorre però una riflessione. L’autoformazione e formazione permanente indubbiamente comportano, oltre alla normale attività, un ulteriore dispendio di energie e di tempo; occorre domandarsi, allora se e quanto possono essere motivati giudici sena futuro.

Per quanto sul piano concettuale appaia condivisibile l’argomentazione contraria alla stabilizzazione dei giudici di pace, non si potranno ignorare, in sede di riforma, le inevitabili conseguenze che, sotto ogni profilo, derivano dal senso di precarietà. Ma neppure si potrà ignorare un’altra realtà, quella dei nuovi giudici di pace, giovani e la quasi totalità provenienti dalla categoria forense, per i quali si continuano a cambiare le regole. Al momento della domanda non sussisteva alcuna incompatibilità con la professione forense, se non il divieto di esercitare davanti alla magistratura di pace. Successivamente è stato reintrodotto il regime di incompatibilità locale, il che ha comportato o la cancellazione dall’albo o il trasferimento in altra sede con evidenti conseguenze negative. Adesso si vuole l’incompatibilità assoluta sul territorio nazionale.

A differenza dei giudici nominati nel 1995 che avevano già esaurito l’attività lavorativa “esterna”, i nuovi giudici tra otto anni dovranno reinserirsi nel mondo del lavoro, ma con scarse possibilità, perché da un punto di vista lavorativo divenuti “vecchi” e perché usciti per troppo e non per loro volontà dall’ambito professionale. Occorre allora trovare una soluzione che salvaguardi i principi, garantisca la qualità del servizio della giustizia e non faccia pagare soprattutto ai nuovi giudici, che rappresentano il futuro della magistratura di pace, scelte legislative le cui conseguenze erano e sono ampiamente prevedibili.

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