CORTE COST.LE (ORD. N.174/2012)COMPETENZA
Le controversie di natura economica dei giudici di pace sono di competenza dei giudici di pace… !
(dalla mailing list di Intesaperta contributo di Mario Piscitello)
N. 174 ORDINANZA 02 – 06 luglio 2012 . Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Ordinamento giudiziario – Istituzione del giudice di pace – Controversie sulle spettanze economiche del giudice di pace – Competenza – Tribunale in funzione di giudice del lavoro – Mancata previsione – Incompleta e contraddittoria ricostruzione del quadro normativo – Evocazione di parametro inconferente – Evocazione immotivata degli ulteriori parametri – Manifesta inammissibilita’ della questione. – Legge 21 novembre 1991, n. 374, art. 11. – Costituzione, artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo comma, 25, primo comma, 35, primo comma, 97, terzo comma, e 106, primo e secondo comma. (GU n. 28 del 11-7-2012 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Alfonso QUARANTA;
Giudici :Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,
Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 11
della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di
pace), promosso dal Giudice di pace di Roma sul ricorso proposto da
F.G. con ordinanza del 7 luglio 2011, iscritta al n. 1 del registro
ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2012.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2012 il Giudice
relatore Sergio Mattarella.
Ritenuto che il Giudice di pace di Roma ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, 4, primo comma,
25, primo comma, 35, primo comma, 97, terzo comma, e 106, primo e
secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374
(Istituzione del giudice di pace), nella parte in cui non prevede che
il giudice competente per materia a dirimere ogni controversia sulle
spettanze economiche del giudice di pace ivi previste sia il
tribunale in funzione di giudice del lavoro;
che in punto di fatto il giudice remittente chiarisce di dover
decidere in ordine ad un giudizio nel quale F.G., Giudice di pace
presso l'ufficio di Verona, chiedeva l'emissione di un decreto
ingiuntivo per la somma di euro 4.381,79, oltre interessi e spese
legali, entro la competenza del giudice adito, per l'indebita
decurtazione parziale, negli anni 2003-2011, dell'indennita'
forfettaria mensile di euro 258,23, prevista dall'art. 11, comma 3,
della legge n. 374 del 1991;
che il remittente rileva che la consolidata giurisprudenza della
Corte di cassazione ha affermato che la competenza a giudicare in
materia di indennita' spettanti al giudice di pace previste dal
richiamato art. 11 della legge n. 374 del 1991 deve essere
individuata in base al criterio generale del valore della causa;
che, da tale giurisprudenza, che ricomprende i giudici di pace
nella categoria dei funzionari onorari ed esclude che il loro
rapporto di lavoro possa essere assimilato al pubblico impiego ovvero
ad un rapporto atipico subordinato o parasubordinato, deriva la
impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente orientata
della norma impugnata;
che la questione sarebbe rilevante, dal momento che in caso di
suo accoglimento il giudice adito sara' tenuto a dichiarare la
propria incompetenza, ed il ricorrente dovra' ripresentare l'istanza
dinanzi al tribunale del lavoro territorialmente competente;
che la disposizione censurata, alla luce dell'interpretazione
della richiamata giurisprudenza della Corte di cassazione, che il
remittente assume quale diritto vivente, appare al giudice a quo in
contrasto con gli invocati parametri costituzionali;
che un primo profilo di illegittimita' viene individuato nella
violazione dell'art. 3, primo e secondo comma, Cost., in quanto la
norma impugnata, negando che il rapporto di servizio onorario del
giudice di pace integri un rapporto di lavoro subordinato, «cosi'
escludendo il giudice di pace dalle garanzie processuali e
sostanziali previste dal diritto del lavoro», contrasterebbe con il
principio di ragionevolezza, e con quello di uguaglianza;
che, infatti, il rapporto di servizio onorario, caratterizzato
dall'assenza di un concorso pubblico per l'accesso e dalla carenza
dei vincoli di subordinazione, troverebbe giustificazione in
riferimento alle piu' alte cariche dello Stato, quali il Presidente
della Repubblica, i giudici costituzionali, i ministri, i deputati e
i senatori, i componenti del Consiglio superiore della magistratura,
mentre i magistrati ordinari «di carriera», nell'ambito delle alte
cariche dello Stato, costituirebbero uno dei pochi esempi in cui non
viene seguito il modello del funzionario onorario, essendo questi
assimilati, sotto il profilo economico e previdenziale, ai pubblici
impiegati, seppure la loro condizione giuridica sia caratterizzata da
un sistema ordinamentale che mira a preservare l'indipendenza della
loro funzione;
che, in riferimento alla categoria dei giudici di pace,
nell'ordinanza di rimessione si sottolineano i caratteri distintivi
rispetto ai funzionari onorari e le «incontrovertibili similitudini»
con i magistrati «di carriera», costituite dalla loro qualificazione
di giudici ordinari, ai sensi dell'art. 1 del regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), dall'esser tenuti, in
base all'art. 10, comma 1, della legge n. 374 del 1991
«all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari»,
nonche' al rispetto delle tabelle di composizione dell'ufficio di
appartenenza e degli ordini di servizio del coordinatore
dell'ufficio, ai sensi dell'art. 15, comma 2, della legge n. 374 del
1991, ed a garantire la reperibilita' al pari dei magistrati di
carriera, con applicabilita' diretta dell'art. 7-bis del citato r.d.
n. 12 del 1941, essendo assoggettati alla sorveglianza del presidente
del tribunale ed al potere disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura, e destinatari dei provvedimenti organizzativi e
concernenti il trattamento economico adottati dal Ministro della
giustizia, mentre il trattamento fiscale del reddito dei giudici pace
e' assimilato al reddito da lavoro dipendente, con applicazione delle
stesse trattenute del pubblico impiegato, escluse quelle
previdenziali;
che pertanto, ad avviso del giudice a quo, i giudici di pace si
distinguono da quelli «di carriera» «solo per l'esclusione dai
diritti costituzionali fondamentali di autogoverno (...), di
progressione in carriera, di stabilita' del rapporto e di tutela
previdenziale ed assistenziale» e la riaffermazione della natura
onoraria del loro rapporto di lavoro costituisce solo il «pretesto»
per negare «i piu' elementari diritti costituzionali giuslavoristici
e le fondamentali garanzie ordinamentali di imparzialita' ed
indipendenza», e in questa prospettiva si afferma che il principio di
ragionevolezza «impone» che le controversie relative al rapporto di
servizio dei giudici di pace sia rimesso alla competenza del
tribunale in funzione di giudice del lavoro, rilevandosi anche la
presenza di tutti i requisiti di subordinazione o parasubordinazione
previsti dall'art. 409 cod. proc. civ. e, sotto diverso profilo,
l'insussistenza delle ragioni di eventuale comunanza di interessi che
giustificano l'attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo delle controversie di lavoro che coinvolgono i
magistrati «di carriera», ribadendosi che «l'unica soluzione
compatibile con i richiamati precetti costituzionali, senza che
residui margine alcuno di discrezionalita' in capo al Legislatore, e'
rappresentata dall'attribuzione delle controversie di lavoro del
giudice di pace alla competenza del Tribunale in funzione di giudice
del lavoro»;
che la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con gli artt.
4, primo comma, 35, primo comma, 97, terzo comma, e 106, primo e
secondo comma, Cost., dal momento che almeno per un quadriennio, e
per ulteriori due quadrienni in caso di positiva valutazione di
idoneita', il giudice di pace svolge attivita' giudiziaria a tempo
pieno ed in via continuativa, e che la conferma si sostanzia in un
giudizio di idoneita' di merito ed integra «un nuovo concorso del
giudice, non piu' per titoli, bensi' per esame», cosi' perdendo i
connotati politico discrezionali evidenziati dalle pronunce della
Corte di cassazione, e in tale ambito i richiamati artt. 97 e 106
Cost., prevedendo forme alternative a quella del concorso, per
l'accesso alle pubbliche amministrazioni ed alla magistratura, non
discriminano tra diversi funzionari a causa delle modalita' di
costituzione del rapporto ed in riferimento alla tutela dei diritti
fondamentali dei lavoratori;
che infine, il Giudice di pace di Roma sostiene che la
disposizione impugnata viola il principio di cui all'art. 25, primo
comma, Cost., dal momento che il giudice del lavoro deve essere
considerato il giudice naturale per le controversie relative a
posizioni giuridiche derivanti dai rapporti di lavoro subordinato o
parasubordinato e, quindi, anche in relazione ai giudizi concernenti
il trattamento economico dei giudici di pace;
che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata
inammissibile o non fondata.
Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita - in
riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, 4, primo comma,
25, primo comma, 35, primo comma, 97, terzo comma, e 106, primo e
secondo comma, della Costituzione - della legittimita' costituzionale
dell'art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del
giudice di pace), nella parte in cui non prevede che il giudice
competente per materia a dirimere ogni controversia sulle spettanze
economiche del giudice di pace ivi previste sia il tribunale in
funzione di giudice del lavoro;
che nella prospettazione della violazione dell'art. 3 della
Costituzione, il giudice remittente non considera che la
giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato
l'impossibilita' di assimilare le posizioni dei giudici onorari e dei
magistrati che svolgono professionalmente ed in via esclusiva
funzioni giudiziarie, e l'impossibilita' di comparare tali posizioni
ai fini della valutazione del rispetto del principio di uguaglianza,
a causa dello svolgimento a diverso titolo delle funzioni
giurisdizionali, connotate dall'esclusivita' solo nel caso dei
magistrati ordinari di ruolo che svolgono professionalmente le loro
funzioni (sentenza n. 60 del 2006, ordinanze n. 479 del 2000 e n. 272
del 1999);
che la ricostruzione del quadro normativo operata dal giudice a
quo appare incompleta e contraddittoria, in quanto egli da un lato
afferma la «assimilabilita' del giudice di pace al magistrato di
carriera», ma dall'altro non considera l'art. 3 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che in
deroga alla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, ha
confermato il previgente regime di diritto pubblico per alcune
categorie, tra le quali i magistrati ordinari, amministrativi e
contabili, ne' gli artt. 7 e 133, comma 1, lettera i), del codice del
processo amministrativo approvato con decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009,
n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo
amministrativo), i quali hanno ribadito l'appartenenza alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie
relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto
pubblico e, quindi, anche dei magistrati di ruolo che esercitano
professionalmente attivita' giudiziarie;
che l'ordinanza di rimessione, per affermare comunque la tesi
della necessaria competenza del giudice del lavoro, si limita a
sostenere che essa «trae giustificazione esclusivamente dal disposto
inviolabile dell'articolo 111, comma 2, della Costituzione, al fine
di garantire la terzieta' del giudice nelle controversie che
attengono ad interessi patrimoniali del magistrato di carriera
direttamente connessi all'esercizio della giurisdizione (potenziale
interesse di qualsiasi magistrato ordinario alla risoluzione
favorevole di una controversia sullo status giuridico di un
collega)», non rilevando che, da un lato, le ragioni della conferma
del precedente regime pubblicistico per i magistrati si rinvengono
notoriamente nella peculiarita' delle funzioni pubbliche da loro
svolte, e, dall'altro, che la giurisprudenza di questa Corte ha
escluso che le norme relative al trattamento economico dei medesimi
assumano rilevanza alcuna in ordine alla decisione delle controversie
soggette alla cognizione di questi, e che tali norme incidano sulla
indipendenza degli organi giudiziari dagli altri poteri (ordinanze n.
421 del 2008, n. 104 del 2000, n. 515 e n. 379 del 1989, n. 326 del
1987);
che, da un ulteriore profilo, la giurisprudenza di questa Corte
ha costantemente riconosciuto la discrezionalita' e
l'insindacabilita' delle scelte del legislatore, che non siano
caratterizzate da una manifesta irragionevolezza, nella disciplina di
istituti processuali (ex multis, ordinanze n. 164, n. 82, n. 50 del
2010, n. 240 e n. 109 del 2006);
che infine, in riferimento agli altri parametri costituzionali,
deve rilevarsi la evidente inconferenza del richiamo, nell'ordinanza
di rimessione, agli artt. 97, terzo comma, e 106, primo e secondo
comma, Cost., in quanto riferito ad una censura che attiene alla
mancata previsione di una norma processuale relativa alla competenza
per materia del giudice del lavoro, e la genericita' delle
argomentazioni con le quali il giudice remittente afferma la
violazione di una pluralita' di altri parametri invocati senza una
motivazione specifica sull'illegittimita' della norma censurata,
limitandosi, in relazione agli artt. 4, primo comma, e 35, primo
comma, Cost. a sostenere che «la Costituzione tutela ogni forma di
lavoro, a prescindere dalla sua durata (...) e dalla sua
esclusivita'» senza specificare le ragioni per le quali il sistema
vigente non offrirebbe tale tutela, mentre con riguardo alla pretesa
violazione del principio del giudice naturale di cui all'art. 25
Cost., si rileva la natura apodittica delle argomentazioni a sostegno
di tale conclusione, e la mancata considerazione della giurisprudenza
di questa Corte che ha ribadito che il suddetto principio non e'
violato quando il giudice sia stato designato in modo non arbitrario
ne' a posteriori, oppure direttamente dal legislatore in conformita'
a regole generali (ex multis, ordinanza n. 63 del 2002);
che, pertanto la questione sollevata e' manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 11 della legge 21 novembre
1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace) sollevata, in
riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo comma, 25,
primo comma, 35, primo comma, 97, terzo comma, e 106, primo e secondo
comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI