CSM:risposta a quesiti

Il quesito rimanda alla interpretazione della normativa processuale: il tema delle
conseguenze della cessazione dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali da parte del
magistrato sui procedimenti in corso di trattazione da parte sua, con particolare riferimento
alla cause già pervenute alla decisione, è stato già in molteplici casi oggetto di analisi da parte
della giurisprudenza di legittimità, sotto il profilo della legittimità in sede contenziosa delle
soluzioni processuali assunte nel caso concreto.
Trattandosi quindi di materia che interessa direttamente anche i principi che regolano
la costituzione del giudice e l’organizzazione dell’attività giurisdizionale negli uffici, anche il
Consiglio Superiore della Magistratura è più volte intervento con riferimento agli aspetti, di
evidente rilievo ordinamentale, dell’assegnazione e dell’organizzazione del lavoro
giurisdizionale all’interno degli uffici.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, “il momento
della pronuncia della sentenza, nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto
all’ufficio per poter validamente provvedere, va identificato con quello della deliberazione
della decisione, mentre i successivi momenti dell’iter formativo, e cioè la stesura della
motivazione, la sottoscrizione e la pubblicazione, non incidono sulla sostanza della
pronuncia, sicché, ai fini dell’esistenza dell’atto, è irrilevante che dopo la decisione il giudice
singolo, o uno dei componenti dell’organo collegiale, per circostanze sopravvenute come il
trasferimento o il collocamento fuori ruolo o a riposo, sia cessato dalle funzioni presso
l’ufficio investito della controversia… la redazione della motivazione e la firma della sentenza
costituiscono un compito necessariamente proprio del magistrato che ha deciso la causa, il
quale pertanto può e deve svolgerlo nonostante la cessazione dalle funzioni, che lo priva
soltanto del potere di deliberare, non del dovere di dare corso agli adempimenti
consequenziali”(Cass. n. 12324 del 2001; nello stesso senso, Cass. 9 febbraio 1991 n. 1374,
12 luglio 1993 n. 7675, 9 dicembre 1994 n. 10547).
La Corte di Cassazione ha quindi stabilito che, una volta che una decisione sia stata
correttamente assunta dal magistrato nel pieno esercizio delle sue funzioni, l’attività di
redazione e di deposito delle motivazioni, costituendo adempimento successivo esecutivo,
rimane di competenza esclusiva del medesimo magistrato, anche ove sia intervenuta la
cessazione delle funzioni giurisdizionali, per trasferimento o anche per collocamento a riposo.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con riferimento a fattispecie in cui, in
specifici uffici, si è manifestato il problema di assumere i provvedimenti organizzativi in
ordine alla gestione dei processi di cui era titolare un giudice – togato o onorario – cessato
dalle funzioni, ha sempre utilizzato – come criterio discretivo – l’assunzione o meno della
decisione da parte del magistrato originariamente assegnatario, asserendo che, in ipotesi
affermativa, solo quest’ultimo poteva farsi carico, anche dopo la fuoriuscita dall’ordine
giudiziario o la cessazione dell’incarico onorario, della conseguente attività di redazione e
deposito dei motivi e, nel caso contrario in cui la deliberazione finale del contenzioso non
fosse intervenuta, che il magistrato poteva essere sostituito, previa rimessione sul ruolo del
processo e la nuova instaurazione della fase della decisione avanti il giudicante intervenuto.
In particolare, nella delibera del 27 settembre 2006 – di risposta al quesito in ordine
alla surrogabilità di magistrato collocato in aspettativa per motivi di salute, in relazione alle
cause civili trattenute in decisione1- il Consiglio Superiore affermava che < <…..vanno tenute distinte due ipotesi: decisioni da adottare di competenza collegiale e decisioni di competenza monocratica. Nel primo caso il codice prevede che all'udienza di discussione “il giudice istruttore fa la relazione orale della causa “(art. 275) e che la decisione è deliberata in camera di consiglio con i soli giudici che hanno assistito alla discussione (art. 276, c. 1). La motivazione della sentenza è stesa dal relatore, salvo assegnazione ad altro componente del collegio (c. 5). Per il caso che non sia stata effettuata discussione orale, in cui è previsto solo che la sentenza deve essere depositata entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui all'art. 190 (art. 275, c. 1), trovano applicazione le norme in materia di deliberazione fissate dall'art. 276, senza che peraltro venga rimarcato che la persona del relatore in camera di consiglio debba essere la stessa del giudice istruttore. In dette ipotesi, dunque, la nomina originariamente effettuata dal Presidente del Tribunale o dal Presidente della Sezione del magistrato designato, cui la causa è stata assegnata subito dopo la formazione del fascicolo processuale, ben potrà essere modificata con assegnazione ad altro componente del collegio per la stesura della motivazione onde realizzare la finalità di garantire la regolare definizione dei processi. Nel caso di competenza monocratica l'art. 281 quater, senza distinguere se ci sia stata udienza di discussione orale o meno, prevede che la causa sia decisa dal giudice designato ai sensi degli artt. 168 bis e 484. Pacifico che successivamente alla scadenza dei termini fissati dall'art. 190 e dall'art. 281 quinquies, a maggior ragione se è stata tenuta l'udienza di discussione orale, non è più possibile la sostituzione della persona del giudice istruttore, il quale assume a pieno anche la funzione di magistrato decidente, il punto controverso è se la persona del giudice istruttore possa mutare nell'intervallo di tempo intercorrente tra l'udienza di precisazione delle conclusioni e la scadenza dei termini stessi, ove si realizzi una evenienza di carattere estrinseco all'organizzazione dell'attività del tribunale interessato, quale, appunto, il caso evidenziato, del collocamento in aspettativa per infermità del magistrato che ricopriva la funzione di giudice istruttore nella causa. La Corte di cassazione, pronunziando in una fattispecie in cui il giudice di appello aveva dichiarato nulla la sentenza di primo grado in quanto il magistrato che aveva deciso e redatto la sentenza era diverso da quello dinanzi al quale erano state precisate le conclusioni, ha rilevato che il vigente codice nulla dispone in ordine alla possibilità di sostituire un componente del collegio giudicante o il giudice monocratico dopo la scadenza dei termini di deposito delle memorie di replica e che la sostituzione deve ritenersi non consentita se non per causa di forza maggiore, quale decesso o grave malattia del giudice, che non consenta lo svolgimento delle funzioni, e “sempre previa rimessione della causa in istruttoria”. A tale conclusione la Corte perviene proprio da un esame del testo dell'art. 190 bis (nel caso di specie rilevante), dal quale desume (in motivazione) che “dopo la precisazione delle conclusioni, finita quindi l'istruttoria, non è più consentita sostituzione alcuna del giudicante, posto che dovrà essere lo stesso giudice, persona fisica, che ha fatto precisare le conclusioni e disposto lo scambio delle comparse conclusionali e delle eventuali memorie di replica a depositare la sentenza (Cass., sez. I, 10.12.99 n. 13831, ribadita dalla successiva, sez. I, 14.3.01 n. 3677)>>.
In applicazione di tali principi deve ritenersi che se il magistrato non fa più parte di un
ufficio non può più validamente provvedere sulla causa dal medesimo introitata durante la
permanenza presso lo stesso, qualora i termini ex art. 190 c.p.c. scadano in data successiva
al suo trasferimento o cessazione delle funzioni 2: al momento della possibile deliberazione
della decisione, necessariamente successivo al decorso dei termini concessi alle parti,
il magistrato, non più legittimamente preposto all’ufficio, ha perso ogni potestas iudicandi in
relazione alla controversia che occupa, donde un’eventuale sentenza da lui pronunciata non
potrebbe che essere inesistente 3.
Sorge allora in tal caso la necessità di rimettere la causa sul ruolo, atteso che la sentenza
emessa da un magistrato diverso da quello che, a seguito della precisazione delle conclusioni,
ha trattenuto la causa in decisione, deve ritenersi nulla, perché deliberata da un soggetto che è
rimasto estraneo alla trattazione della causa stessa: qualora si renda necessario procedere alla
sostituzione del magistrato che ha già trattenuto la causa in decisione, non sarà quindi
sufficiente un decreto del capo dell’Ufficio che disponga la sostituzione, ma il nuovo giudice
nominato dovrà convocare le parti dinanzi a sé perché precisino nuovamente le conclusioni (
così Cass. n. 5854 del 24/03/2004).
Si delibera pertanto di rispondere al quesito nei seguenti termini:
1) il magistrato che non fa più parte dell’ufficio a quo non può più validamente provvedere
sulla causa dal medesimo introitata, qualora i termini ex art. 190 c.p.c. scadano in data
successiva al suo trasferimento, con immissione nel possesso del nuovo ufficio, o cessazione
delle funzioni in quanto, non più legittimamente preposto all’ufficio, lo stesso ha perso ogni
potestas iudicandi in relazione alla controversia;
2) è in tal caso necessario rimettere la causa sul ruolo atteso che la sentenza emessa da un
magistrato diverso da quello che, a seguito della precisazione delle conclusioni, ha trattenuto
la causa in decisione, deve ritenersi nulla, perché deliberata da un soggetto che è rimasto
estraneo alla trattazione della causa;
3) è necessario che il capo dell’ufficio a quo provveda alla sostituzione del magistrato che ha
già trattenuto la causa in decisione con altro giudice che dovrà convocare le parti dinanzi a sé
perché precisino nuovamente le conclusioni.».

1 Il quesito formulato dal Presidente del Tribunale di … riguardava i poteri del Capo dell’Ufficio circa la sostituzione del
giudice istruttore di causa civile a decisione monocratica o collegiale, dinanzi al quale siano state precisate le conclusioni e
che sia collocato in aspettativa per motivi di salute prima della scadenza dei termini previsti dall’art. 190 c.p.c.La precedente
delibera del 12 maggio 2005 riguardava una questione analoga, e veniva espressamente richiamata da quella del 27.9.06 per
l’inquadramento della fattispecie alla luce della normativa processuale in materia di decisione della causa civile (artt. 189-
190-190 bis – quest’ultimo abrogato dagli artt. 281 quater e quinquies di cui al d.lgs. n. 51 del 1998 – e 275 c.p.c.), nonché di
quella in materia di immutabilità del giudice istruttore della causa civile (artt. 168 bis e 174 c.p.c., per il giudice dell’
esecuzione l’art. 484 c.p.c.
2
Tale data non è irrilevante atteso che secondo il Supremo Collegio (Cass., n. 8245 del 29/08/1997) il giudice, benché
trasferito ad altro ufficio, finché non ne prende possesso, conserva il potere di decidere le cause instaurate nell’ufficio di
provenienza, la conseguente sentenza non è inesistente (vizio rilevabile d’ufficio, e non convertibile in motivo di
impugnazione: art. 161 secondo comma cod. civ.).
3
Si ha inesistenza giuridica della sentenza ogni qualvolta questa, pur essendo fornita dell’esteriore apparenza propria dei
provvedimenti giurisdizionali, provenga da chi non riveste la qualità di giudice e non possa, di conseguenza, essere
ricollegata all’attività sovrana dello stato. Tale è il caso di una sentenza pronunciata da un magistrato che, avendo preso
possesso, a seguito di trasferimento, di un diverso ufficio giudiziario, non faccia più parte dell’ufficio presso il quale il
processo e radicato e pertanto, rispetto ad esso, non rivesta più la qualità di giudice (Cass 23 luglio 1969 n. 2785). Per il caso
di organo giudiziario in composizione collegiale, si richiama quanto affermato da Cass. n. 200 del 14/01/1988, secondo cui è
affetta da nullità insanabile la sentenza deliberata da un collegio del quale faccia parte un magistrato non più appartenente
all’ufficio giudiziario nel quale il collegio stesso opera, perché trasferito ad altro ufficio giudiziario già prima della decisione,
ricorrendo un vizio di Costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ..

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