Senza cittadinanza e senza Stato, il Cir denuncia il dramma dei 15mila apolidi che vivono in Italia

apolidia
“Senza cittadinanza e senza Stato, il Cir denuncia il dramma dei 15mila apolidi che vivono in Italia
Parte la campagna del Consiglio italiano per i rifugiati. Tre storie emblematiche per chiedere una nuova legge.
Il titolo della campagna è “Non esisto”. Ed è anche la precisa descrizione della condizione nella quale in Italia si trovano 15mila persone (600mila in tutta l’Europa) che non risultano appartenere ad alcuno Stato. Sono senza patria, “apolidi”. Il loro nome non compare all’anagrafe, le procedure per ottenere il riconoscimento del loro status – cioè passare dalla condizione di apolidi di fatto ad apolidi di diritto – sono molto complicate. Come dimostrano i numeri: in Italia gli apolidi “ufficiali” sono 606, ma le persone che vivono nel nostro territorio senza essere in possesso di alcuna cittadinanza sono 15mila, e tra loro ci sono molti bambini.

Ma qualcosa ha cominciato a muoversi: lo scorso novembre la Commissione Diritti Umani del Senato, in collaborazione con il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha presentato il Disegno di legge sul riconoscimento dello status di apolide e proprio oggi parte la campagna di sensibilizzazione realizzata dal Cir nell’ambito del progetto Listening to the sun, sostenuto da Open Society Foundations.

La condizione dell’apolide non riconosciuto è raccontata attraverso tre storie dalle quali emerge come, per circostanze del tutto indipendenti dalle proprie scelte, si può finire in questa specie di vicolo cieco burocratico-amministrativo. Il casi di Ramadam e Sandokan sono particolarmente emblematici perché riassume la condizione di una parte importante degli apolidi non riconosciuti che vivono in Italia: i cittadini, in particolare i rom, giunti da noi prima o dopo la dissoluzione della ex Jugoslavia.

Ramadam, nato nel 1978 a Skopje, in Macedonia, fu abbandonato dalla madre subito dopo la nascita e affidato ai nonni che non si preoccuparono di registrarlo. Quando i nonni morirono aveva 10 anni e crebbe grazie alla carità dei vicini di casa. Poi, a 17 anni, venne in Italia al seguito di alcuni amici con la speranza di rifarsi una vita. Tra tante disgrazie, ha avuto la fortuna di incontrare – quindici anni fa – Elena, una donna rumena che lo sostituisce in tutto ciò che non può fare perché è privo di documenti. Hanno avuto quattro figli dei quali formalmente non è il padre perché non ha potuto riconoscerli. Ha provato a ricostruire la propria identità anagrafica, ma l’ambasciata macedone gli ha fatto sapere di non poter attestare nulla perché di lui non esiste traccia. Racconta Elena: “Anche solo mentre cammina per la strada, ha paura che la polizia lo fermi. Molte volte è scomparso. Lo hanno trattenuto per un paio di giorni senza dargli neanche cibo e acqua e poi lo hanno fatto tornare a casa”.

L’altro protagonista della campagna del Cir, Sandokan, è nato in Italia nel 1976 da genitori rom di nazionalità jugoslava dei quali, come prevede la legge, ha acquisito la cittadinanza. Quando ha compiuto 18 anni ha subito avviato la pratica per ottenere la cittadinanza italiana, ma ha scoperto che gli era indispensabile un documento rilasciato da suo Paese d’origine. Che, però, si stava dissolvendo. Non era che l’inizio di un dramma che è ancora in atto. Nel 1997 è nata Cristina, la primogenita, colpita da gravi disabilità fisiche e mentali. Ha bisogno di assistenza continua, ma nei primi 15 anni di vita non ha potuto avere cure adeguate sempre per via dell’assenza di documenti. Ha potuto avere solo la tessera Stp, quella per gli stranieri non residenti, che garantisce solo le cure urgenti. Non aveva nemmeno il medico di base. Solo nel 2013, quando il padre ha finalmente ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari, la ragazza ha potuto avviare un ciclo di riabilitazione.

Attualmente in Italia esistono due procedure per il riconoscimento dello status di apolidia, una in via giudiziaria una in via amministrativa. Entrambe molto complesse. La normativa in vigore non chiarisce elementi fondamentali quali gli standard della prova, le garanzie procedurali, la durata del procedimento e il meccanismi di ricorso. Altrettanto non regolamentati sono i diritti della persona richiedente lo status di apolidia e della persona riconosciuta apolide.

“I requisiti di accesso per la certificazione dello status – spiega il Cir – sono tassativi e particolarmente difficili da produrre. Tra gli altri viene richiesta una ‘documentazione relativa alla residenza in Italia’. Ma, nonostante la norma faccia riferimento al requisito della residenza e non della residenza legale, per istruire la pratica il Ministero dell’Interno richiede l’esibizione del permesso di soggiorno e del certificato di residenza anagrafica. Coloro i quali sono privi di permesso e certificato di residenza anagrafica non hanno modo di accedere alla procedura amministrativa. Questo requisito taglia di fatto fuori dal riconoscimento dello status moltissimi apolidi”. L’altra strada per il riconoscimento, quella per via giudiziale, è un po’ meno complicata, ma costosa. E non ha tempi certi.

Grave, e per certi aspetti paradossale, la condizione dei minori. La legge sulla cittadinanza – derogando dal principio dello ius soli – prevede che chi nasce nel nostro territorio da genitori ignoti o apolidi è cittadino italiano. Ma questo vale solo se lo stato di apolidia dei genitori è riconosciuto. E abbiamo visto che i casi sono pochissimi. Sarebbe sufficiente, almeno per risolvere questo aspetto del problema, prevedere l’acquisizione automatica della cittadinanza per chi, nato nel nostro territorio, non ne ha alcuna a causa della condizione dei genitori. Il Cir fa notare che a questo rischio sono esposti gli stessi rifugiati che stanno giungendo in Italia e in Europa in questi mesi. Per esempio i figli di madri siriane che, per via della legge in vigore in Siria, non possono trasmettere la cittadinanza ai figli.

“L’apolidia – sottolinea la direttrice del Cir Fiorella Rathaus – è in sé una condizione estremamente complessa e dolorosa, perché presuppone l’inesistenza, la negazione del legame più importante che unisce un individuo al suo Stato: la cittadinanza. con questa campagna vogliamo creare una sensibilità sul tema che possa favorire in Italia l’introduzione della legge sull’Apolidia, uno strumento normativo che possa garantire una procedura chiara, facilmente accessibile e fruibile”. di Giovanni Maria Bellu (FONTE:notizie.tiscali.it)

FacebookTwitterEmailTelegramShare

I Commenti sono chiusi