L’Avvocatura e la difesa dei diritti, dopo la riforma: ma tra i magistrati onorari non ci sono anche avvocati?

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Pubblichiamo un interessante articolo del Presidente Alpa sull’Avvocatura, e ricordiamo che i magistrati onorari di pace, in gran parte, provengono dall’Avvocatura e/o permangono nell’Avvocatura con la compatibilità extra circondariale.Possibile che non vi siano accenni alla magistratura onoraria di pace? Nel periodo storico in cui è stata approvata la riforma dell’ordinamento forense anche la magistratura onoraria di pace lottava per un riconoscimento, e le forze politiche di allora consentirono l’approvazione solo di quella riforma forense e non di quella della magistratura onoraria proprio in occasione delle festività natalizie ed in fine d’anno. Perchè? Perchè i cento e più avvocati di tutte le forze politiche riuscirono nell’impresa interna,e la stessa maggioranza interforze politiche non riuscì a far approvare la riforma esterna all’avvocatura della magistratura onoraria di pace ,che allora scioperava ed incontrava ministri della giustizia(uno avvocato e l’altro prefetto) senza alcun risultato ? Il conto non torna. Non a caso proprio in quegli anni si vedevano (e forse si vedono ancora) i magistrati onorari come “altri” da parte di molti parlamentari provenienti dalla professione forense.Salvo che costringerli a contribuire come veri e propri iscritti alla Cassa Forense se permangono negli albi forensi.

E sarà un caso che in questa legislatura parlamentare quella stessa interforza politica di avvocati si è fortemente dimezzata? E che un Ministro della Giustizia non proveniente dall’Avvocatura stia portando in porto oggi ,invece, proprio lui ,e non un avvocato o magistrato, una riforma della magistratura onoraria di pace ? Non è come se un corpo di spedizione stesse combattendo in una missione all’estero mentre il Quartier generale non lo riconosce e pensa solo a quelli che prestano in servizio in patria, abbandonandoli al loro destino chiedendogli però di pagare le tasse in Patria? Sappiamo che a Torino si discuterà di tanti argomenti ma guarda caso nella locandina del Convegno gli Avvocati non hanno riservato neppure un angolino esplicito alla magistratura onoraria (ma solo informalmente qualche magistrato onorario conosciuto personalmente, e non rappresentativo di tutte le associazioni, è stato invitato a partecipare a qualche sub-riunione ,non pubblicizzata, quasi per vergogna di poter dibattere sulla magistratura onoraria).Ci auguriamo che tutto questo cambi in fretta com’ e’ giusto che accada e che l’Avvocatura tutta possa contribuire sia dentro che fuori del Parlamento per una approvazione rapida di una giusta e risolutrice Riforma della Magistratura Onoraria di Pace. (d.loveri)

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“Il prof. Guido Alpa tratteggia le nuove prospettive della professione forense:
I due semestri che si sono susseguiti tra il 2012 e l’anno in corso hanno registrato avvenimenti che non esiterei a definire “epocali” per l’ Avvocatura: dapprima il XXXI Congresso forense, svoltosi a Bari nei giorni di novembre , in un clima di aperta e incalzante discussione, e conclusosi con una inconsueta unitarietà d’intenti; di poi, l’approvazione della riforma dello statuto dell’ Avvocatura, avvenuta il 21 dicembre; la legge, promulgata il 31 dicembre successivo, con il n. 247, è entrata in vigore il 2 febbraio scorso.

Il Congresso di Bari aveva rivolto un quasi corale appello al Parlamento perché la riforma, anche se consistente di un testo un po’ diverso da quello a suo tempo licenziato con l’apporto di tutte le componenti dell’ Avvocatura, fosse varata al più presto. Il testo era stato approvato nel novembre 2010 in prima lettura dal Senato con 155 voti favorevoli, 114 contrari e 11 astenuti. E poi con modifiche approvato alla Camera il 31 ottobre 2012 con 395 voti favorevoli, 7 contrari e 14 astenuti . Il Senato lo ha definitivamente approvato in seconda lettura il 21 dicembre scorso con una votazione assunta ad amplissima maggioranza.

E’ stato dunque un plebiscito, nonostante che nei passaggi cruciali da una Camera all’altra, il fronte degli oppositori fosse compatto, annoverando tra le sue file gran parte dei media, dei poteri economici, degli apparati istituzionali e di governo, e delle categorie professionali concorrenti . Ciascuno di essi declinava ragioni insussistenti, ma radicate in profondi pregiudizi, i pregiudizi che accompagnano la sorte dell’ Avvocatura da tanti anni , per non dire secoli , oppure nascondeva la volontà di tutelare i propri interessi, perché conflittuali con quelli della professione forense.

Il Parlamento ha dato il suo sostegno all’ Avvocatura. E’ stato un risultato che ha premiato la costanza con cui il Consiglio Nazionale Forense ha insistito per l’approvazione di una legge che era attesa da almeno mezzo secolo: più precisamente dal 1961, anno in cui, nel Congresso forense celebrato a Genova, si dava per prossima una riforma il cui testo era stato da poco passato al Senato ed era in attesa di completare il suo iter della Camera.

Al di là del suo percorso travagliato, che ora ci interessa per ragioni storiche, e anche per capire come funzionano i gangli della nostra società, gli apparati pubblici e i comportamenti della politica , tutti fenomeni che rimangono sullo sfondo del testo, e che non traspaiono dietro la pagina solenne scolpita sulla Gazzetta Ufficiale, ciò che spesso non si mette in luce è la fonte normativa che oggi connota la nuova disciplina: si tratta di una legge ordinaria con caratteri di specialità.

Entrambi questi caratteri sono aspetti fondamentali della riforma.

Il primo. L’essere legge ordinaria significa che la riforma potrà essere modificata solo con provvedimento di egual durezza, cioè con legge del Parlamento. Si potrebbe essere sorpresi di questa sottolineatura, perché l’Avvocatura è stata – prima professione dell’ Italia Unita – disciplinata con legge nel 1874 e disciplinata ancora con legge nel 1933. Segno che la volontà politica espressa in situazioni istituzionali , economiche e sociali, ben diverse tra loro – l’ Italia liberal-borghese con i primi segni delle lotte operaie , dapprima, e l’ Italia fascista e corporativa, di poi – sentì il dovere di rispettare l’ Avvocatura e di garantirne l’ indipendenza e l’autonomia. L’ Avvocatura non fu mai esposta al rischio di essere disciplinata da regolamenti ministeriali ,e più in generale da fonti secondarie, che raccolgono il volatile indirizzo di determinazioni minute ed occasionali, facilmente revocabili, modificabili, e rivestite di un contenuto più tecnico che politico. Un rischio corso invece quando con il d.l. n. 138 del 2011 si è affidata alla fonte regolamentare la disciplina di tutte le professioni, senza distinzione tra professioni costituzionalmente protette o meno, e si è affidata al potere ministeriale l’attuazione di regole delegate. Un albero che “scendendo per gli rami” avrebbe sortito l’effetto di annacquare autonomia e indipendenza dell’ Avvocatura, ledendone i principi consacrati dallo Stato di diritto.

Il secondo carattere, quello della specialità, è altrettanto importante. Anche qualche anno fa si era proposto di uniformare con disciplina – ordinaria, per la verità – le regole concernenti tutte le professioni. All’apparenza la proposta poteva catturare il consenso di chi promuove la sistematicità e la razionalità dell’attività normativa. E tuttavia (al di là degli effettivi intenti) la legge finiva per sacrificare non solo le differenze tra le professioni, ma per appiattire il loro ruolo all’interno della vita economica e sociale, oltre che, ancora una volta, per manifestare una volontà intrusiva nell’auto-organizzazione, che costituisce uno dei vessilli del lavoro indipendente. L’ esigenza di controllare la qualità e il risultato dell’attività di una professione intellettuale non può spingersi fino a sacrificarne la libertà di autodeterminazione; solo attraverso il modello ordinistico si può garantire al tempo stesso la tutela dell’interesse pubblico, e al tempo stesso la libertà dei professionisti iscritti all’albo.

1. Gli aspetti essenziali della riforma forense

I contenuti della riforma sono ormai noti. A differenza di altre leggi, che recano titoli di fantasia quando non mentitori, essa davvero reca una nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che deve essere esercitata (art.3 c.2). Anche le finalità enunciate corrispondono a concreti indirizzi e sono volte ad acquisire concreti risultati: l’art.2 c.2 sottolinea la funzione difensiva dell’ Avvocatura, di cui riconosce il ruolo fondamentale in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta.

Congegnata con grandi campiture, la legge regola in particolare l’organizzazione degli studi professionali , mediante associazioni o società – per la cui disciplina rinvia ad un decreto delegato fissando i limiti della delega – il segreto professionale, l’impegno solenne, l’incarico ricevuto dal cliente e il compenso dell’avvocato, l’obbligo di formazione continua e di assicurazione, il mandato professionale, le sostituzioni e le collaborazioni, gli albi, le incompatibilità, la continuità dell’esercizio della professione, gli organi e le funzioni degli ordini forensi, la istituzione di camere arbitrali e di conciliazione, lo sportello del cittadino, le pari opportunità per favorire l’accesso delle avvocate alle cariche istituzionali, i compiti e le prerogative del Consiglio Nazionale Forense, l’ Osservatorio permanente sull’esercizio della giurisdizione, il Congresso nazionale, il tirocinio professionale e i rapporti con l’ Università, le Scuole forensi, la formazione e l’esame di Stato, il procedimento disciplinare e i consigli distrettuali di disciplina.

In questo semestre il Consiglio Nazionale Forense, a cui la legge ha confermato sia il potere giurisdizionale, proprio di un giudice speciale ,sia il potere regolamentare, sia la funzione istituzionale, ha atteso alla approvazione dei primi regolamenti e a predisporre gli altri regolamenti che la legge affida ad esso: il regolamento sullo sportello del cittadino, il regolamento sulle associazioni forensi maggiormente rappresentative, il regolamento sulla riscossione dei tributi sono stati già varati; sono in fase di ultimazione, tra gli altri , il regolamento per l’istituzione dell’ Osservatorio permanente sull’ esercizio della giurisdizione, i regolamenti sulle scuole forensi e sulla Scuola per il patrocinio dinanzi alle corti superiori, il regolamento sugli organismi di disciplina, e la revisione del codice deontologico. Siamo disponibili a collaborare con il Ministero della Giustizia per la redazione dei regolamenti di competenza dell’ Esecutivo, concernenti materie molto rilevanti quali la specializzazione, il tirocinio, la cooperazione dello stesso Ministero con il CNF e con le Università.

Le legge, opportunamente, ha riformulato il giuramento per l’iscrizione all’albo, che oggi si denomina “impegno solenne” e recita: (art.8).

L’attività dell’ avvocato consiste eminentemente nella difesa dei diritti: difesa in giudizio e difesa fuori dal giudizio ordinario, nella partecipazione ai procedimenti arbitrali e di conciliazione, nella consulenza e nella formulazione di pareri. Gli avvocati sono i “custodi dei diritti” e così facendo , sono custodi del diritto. Non si tratta di un calembour , ma di una profonda verità: nella storia, come l’ Europa del diritto si è trasformata nell’Europa dei diritti, così l’ Avvocatura, da custode dei diritti si è trasformata nel custode del diritto.

La riforma delinea il percorso della formazione dell’avvocato, dal tirocinio, abbreviato e anticipato all’ Università, alla preparazione e poi all’esame di Stato, e poi all’esame per il patrocinio dinanzi alle Corti superiori.

L’art.2 c.5 della legge di riforma precisa che . Per la prima volta nella storia dell’ Avvocatura una legge disciplina anche la consulenza, la quale, ove connessa all’attività giurisdizionale, è di competenza degli avvocati (art.2 c.6).

Non si tratta di una norma corporativa o anticoncorrenziale. E’ la tutela dell’interesse pubblico che , come riserva agli avvocati l’attività difensiva dinanzi agli organi giurisdizionali e nei procedimenti arbitrali, così riserva agli avvocati l’attività connessa a quella giurisdizionale. E’ l’attività diretta ad accertare l’esistenza e le forme di protezione dei diritti, le modalità con cui si possono tutelare in giudizio e fuori dal giudizio diritti e interessi, è attività che si estrinseca appunto nella redazione di pareri, nell’assistenza alla conclusione dei contratti e nella redazione dei contratti, e degli altri atti, anche unilaterali, che dispongano di diritti e interessi, nell’attività lavorativa, nell’attività d’impresa, nella vita familiare e sociale . Per tutte queste attività di consulenza e per la redazione di questi atti non è richiesta la forma solenne. Si tratta di una attività che attiene alla identificazione dei diritti , al loro esercizio e alla loro tutela: solo l’avvocato, in questo senso funzionale , può garantire che sia assicurata la tutela dell’interesse pubblico, accanto a quello privato del cliente.

2. L’informazione , lo sportello del cittadino

L’interesse al corretto esercizio della professione di avvocato è dunque confermato dalla riforma come il vero architrave dell’ordinamento forense: interesse ovviamente riferibile all’intera comunità nazionale, e non già ovviamente al solo gruppo professionale[1]. Per questo motivo il CNF ha esercitato il potere regolamentare per perseguire innanzitutto gli interessi generali: come si è anticipato, il primo regolamento approvato e già pubblicato nella sezione apposita del sito istituzionale è dedicato allo sportello del cittadino. Gli Ordini forensi sono impegnati ad istituire uffici di contatto attraverso i quali il pubblico potrà avere le prime informazioni sulle modalità di accesso alla giustizia, oltre agli altri ragguagli sulle prestazioni professionali, sui compensi e sulle spese di giustizia . Si tratta di un servizio gratuito, che l’Avvocatura svolge a vantaggio di tutti, senza dare occasioni ad impropri accaparramenti di clientela: il regolamento prevede precise disposizioni volte ad evitare ogni rischio di conflitto di interessi.

Per la riduzione dell’arretrato e per dare conclusione ai procedimenti che da troppo tempo sono aperti e preludono alla gravosa applicazione della c.d. legge Pinto (oltre che ad ulteriori condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo) l’ Avvocatura sta affinando ulteriori proposte, ben consapevole della necessità di porre rimedio ad una situazione che è divenuta intollerabile ed estremamente faticosa anche per gli avvocati: il CNF sta lavorando al progetto di completamento del sistema telematico processuale, sostiene con convinzione le best practices, vede con favore l ‘ufficio del giudice – ora denominato ufficio del processo – ed aveva persino delineato un sistema di sostegno dei magistrati nella preparazione delle sentenze, senza ricorrere a nuovi giudici onorari ( che si aggiungerebbero a quelli già operanti, ma privi di status certo e gratificante) e senza ricorrere a rimedi di impatto mediatico ma privi di consistente efficacia. Nel dialogo e nella cooperazione con il Ministero della Giustizia, con il CSM e con le altre Istituzioni siamo sicuri di poter pervenire a soluzioni condivise ed efficienti e a rendere concrete le misure suggerite da più parti.

3. Le ADR, l’arbitrato e la conciliazione

Allo stesso modo, la legge prevede la istituzione di Camere arbitrali e di conciliazione presso gli Ordini. Alcuni Ordini vi avevano già provveduto. Altri stanno istituendole: il CNF sta seguendo le modalità di insediamento delle Camere arbitrali , anche per assicurare l’ uniformità dei regolamenti . La giustizia arbitrale costituisce uno dei rimedi all’accumulo dei procedimenti pendenti in giudizio, ed uno dei rimedi per la loro celebrazione dinanzi a giudici non togati. Tra le proposte che saranno presentate al Ministro Guardasigilli nel corso dei prossimi incontri , vi sarà anche la previsione della translatio iudicii per accelerare queste procedure.

In altri termini, anche al fine di ridurre i procedimenti pendenti e di accelerarne la conclusione, alle parti si potrebbe concedere la possibilità di trasferire, a domanda congiunta, l’intero procedimento così come celebrato , fino al momento della domanda, dinanzi al giudice ordinario , ad un arbitro, ad un collegio arbitrale o ad una camera arbitrale, sì che il nuovo giudice possa riprendere l’iter – salvandosi gli atti processuali – e concluderlo in tempi rapidi perché non oppresso da un carico eccessivo di lavoro.

Diverso è il discorso per la conciliazione.

Qui è opportuno sottolineare che la prevenzione delle liti è ormai una prassi usuale nella difesa degli interessi del cliente: è lo stesso cliente che lo richiede , sia per i paurosi tempi prospettabili di una causa, sia per i suoi costi, e l’avvocato dunque è naturalmente propenso a trovare una soluzione non conflittuale con la controparte. La conciliazione obbligatoria, come tante volte si è sottolineato, costituisce da un lato una barriera all’accesso alla giustizia, anziché farsene promotrice, perché è una fase pregiudiziale costosa, e, dal punto di vista della sua resa, non ha sortito gli effetti sperati. Perché dunque insistere nella riproposizione di un testo che , oltre a presentare visibili profili di incostituzionalità, non realizza le finalità che si intendono perseguire?

L‘ Avvocatura ha già proposto, e riproporrà, la negoziazione assistita, sia per semplificare le formalità di conclusione di operazioni economiche o di accordi familiari, sia per dare efficacia ad accordi transattivi ottenuti sulla base della conciliazione volontaria. Occorrerà dunque lavorare in questi mesi per riformulare il testo proposto dal Governo con il “decreto del Fare” per individuare un sistema appropriato di riforma della giustizia.

4. Le misure adottate per ridurre l’arretrato

Rilevanti studi di econometria giudiziaria , effettuati dal CEPEJ nei rapporti biennali, dall’ OCSE, dal Parlamento (l’ultimo è stato pubblicato nel maggio scorso dal Servizio studi del Senato, con il n.11), da gruppi di studio (esemplare la raccolta di saggi e dati curata da Giovanni Salvi e Renato Finocchi Ghersi, Amministrazione della giustizia, crescita e competività del Paese, Astrid, Bagno a Ripoli, 2012) documentano come le spese per la giustizia in Italia non sono inferiori rispetto a quelle impiegate in Paesi assimilabili al nostro, come la Francia o la Spagna; ma inferiscono dalla resa che le risorse sono male impiegate. Il numero dei giudici ordinari , in pianta organica, sarebbero anche sufficienti , se la pianta organica fosse completa, ma vi sono molti posti vacanti. Ancora. Si sono dimezzati i giudici di pace; questo grado di giudizio e il grado dell’ appello, costituiscono le plaghe del ristagno e del ritardo che affliggono la macchina della giustizia.

Le statistiche debbono essere sempre lette con intelligenza, ed i numeri, si sa, sono impietosi, e molte volte poco eloquenti: la causa principale della malattia del sistema non è data dal regime ordinario – anzi, i dati rivelano che il numero dei procedimenti non è aumentato dal 2008, e ciò nonostante i problemi aperti dalla crisi economica – ma è data dal passato, un passato che ha fatto accumulare più di un milione e mezzo di procedimenti civili che debbono essere portati a compimento.

Sottolineo che debbono essere portati a compimento, e non che debbono essere “smaltiti” o “eliminati”, perché l’ accesso alla giustizia non può essere differenziato a seconda dei tempi in cui è stata proposta la domanda e dalle vicissitudini della causa, spesso travolta da mutamenti del giudicante, da rinvii ingovernabili, da carenze dei fascicoli e così via.

Per portarli a compimento occorre pensare a misure costituzionalmente legittime: tali non sono la disciplina dell’appello, introdotta furtivamente con una sola disposizione, la falcidia della inammissibilità motivata sulla ossessiva osservanza della uniformità interpretativa, l’aumento sconsiderato delle spese di giustizia , la penalizzazione dell’operato dell’avvocato, quando non motivata da negligenza professionale.

Se possiamo concordare con le Istituzioni che hanno diffuso studi e progetti sul miglioramento del sistema, dobbiamo però anche richiamare l’attenzione – se fossi un retore direi “levare alta la voce” – su due misure di riorganizzazione del sistema che ledono gravemente l’accesso alla giustizia garantito dalla Costituzione.

La prima è l’aumento sconsiderato delle spese di giustizia. L’altra è la riforma delle circoscrizioni giudiziarie e l’accorpamento degli uffici, così come previsto dalla l. di delega 14.9.2011 n. 148.

5. I costi della giustizia

Uno degli aspetti cruciali dell’accesso alla giustizia , infatti, è dato dal suo costo non solo in termini di tempi e di incertezze ma anche in termini pecuniari. Gli aspetti pecuniari sono una novità nel nostro Paese, che poteva fregiarsi di un grande merito, cioè di offrire il “servizio giustizia” a tutti e non solo ai più abbienti. Diversamente avveniva nel Regno Unito, dove le proteste degli studiosi e degli stessi giudici, prima ancora dei parlamentari, hanno portato alla progettazione di un sistema più equo.

Ora il nostro sistema è diventato iniquo.

Le c.d. leggi di stabilità hanno incrementato i costi: la manovra di luglio (d.l. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011) , e la l. 24 dicembre 2012, n. 228, intervenendo sul T.U. sulle spese di giustizia (d.p.r. n. 115 del 2002), con disposizioni applicabili ai ricorsi notificati dopo l’entrata in vigore del testo normativo, introducono da un lato disposizioni di carattere sanzionatorio per i giudizi di impugnazione – anche incidentale – conclusi con una pronuncia di infondatezza, inammissibilità ovvero improcedibilità e, dall’altro, prevedono un ulteriore aumento del contributo unificato per le controversie amministrative di cui al comma 6-bis del T.U.

In certi casi, i costi di sono quadruplicati.

6. La “geografia giudiziaria”

Altrettanto preoccupante è la riforma della “geografia giudiziaria”. Qui la polemica in corso – e le parole severe del Presidente della Repubblica – hanno messo in evidenza il “campanilismo” che si è scatenato per evitare che la lista dei tribunali da sopprimere (dopo la soppressione delle sedi distaccate e di molti uffici del giudice di pace) sia veicolo di favoritismi che aumentano la disparità di trattamento dei cittadini.

I problemi che l’ avvocatura ha posto in rilievo sono diversi.

L’accesso alla giustizia deve essere agevolato, anziché ostacolato. Non mi riferisco solo alla giustizia di prossimità, che sarebbe irrimediabilmente compromessa dalla soppressione di tribunali e sezioni distaccate, ma anche ai criteri di controllo della spesa degli Uffici giudiziari, alla equa ripartizione dei carichi di lavoro, alle gravi conseguenze a cui darebbero luogo accorpamenti artificiosi. Tutti aspetti evidenziati dal CNF nel doloroso percorso segnato da una riforma che è apparsa subito ispirata ad astratti criteri di efficiente erogazione del “servizio giustizia” senza alcuna considerazione delle esigenze locali e delle aspettative dei cittadini, che sono poi i concreti destinatari di quel servizio.

La cura si è già rivelata peggiore del male.

Prima ancora che la legge divenisse operativa – e nonostante fosse stata sottoposta al vaglio di costituzionalità – le sedi in corso di soppressione si sono sguarnite: sì che quelle che funzionavano in modo efficiente sono state disincentivate , riserbandosi per i procedimenti pendenti presso di esse un futuro incerto perché destinati ad essere trasferiti a sedi non altrettanto efficienti; le sedi sopprimende poco efficienti, per parte loro, non sortirebbero migliori risultati se accorpate ad altre più efficienti, perché rischiano di travolgerle.

Ma vi è un’altra stortura in questo disegno.

Il legislatore di è dimenticato degli Ordini forensi che hanno sede presso i Tribunali sopprimendi. Gli Ordini sono enti pubblici non economici, con rapporti di credito e debito, con personale, beni, e fascicoli personali degli iscritti . Non si possono sopprimere gli enti pubblici sulla base di una interpretazione estensiva – peraltro dubbia – di norme destinate a sopprimere uffici di diversa natura come gli uffici giudiziari.

La grave lacuna normativa è , ovviamente, solo un aspetto di questa complessa problematica, ma anch’essa incide sull’accesso alla giustizia e sulla qualità del servizio reso.

Il CNF più volte ha offerto la propria collaborazione per migliorare il sistema. Con la istituzione dell’ Osservatorio, di cui si è detto, potrà monitorare i processi innovativi con maggiore competenza e instaurando un dialogo che deve essere proficuo tra tutte le Istituzioni interessate.

7. L’universo dei diritti e la responsabilità sociale dell’ Avvocatura

Ma torniamo alla funzione essenziale dell’ avvocato come “custode dei diritti”.

L’attuale fase della storia europea ci dipinge un mondo di diritti, nel quale si sono successivamente stratificati i diritti di prima generazione, cioè i diritti politici , quelli di seconda generazione, cioè i diritti economici e sociali, e quelli di terza generazione, cioè i diritti derivanti dalle nuove tecnologie informatiche e biomediche.

Le costituzioni nazionali, la Carta europea dei diritti fondamentali , la Convenzione europea dei diritti umani elencano diritti ; alcuni di essi sono riconosciuti e garantiti in capo a tutti, altri ai cittadini, altri a determinate categorie. La nostra Costituzione, oltre ad elencare diritti, assicura a tutti l’idoneità ad essere titolari di diritti e di doveri, cioè la capacità giuridica di cui nessuno può essere privato per motivi politici. Ma idoneità non significa per ciò stesso titolarità effettiva . L’idoneità è una potenzialità e i diritti sono quelli riconosciuti e garantiti dal diritto positivo. Occorre quindi distinguere tra diritti umani, diritti fondamentali, diritti costituzionalmente garantiti, diritti politici , civili e sociali.

Al diritto alla vita e alla libertà di ciascuno in un sistema democratico e ad essere idonei ad avere diritti si riferiva Hanna Arendt nel 1951 nel suo libro sulle Origini del totalitarismo. La Shoah aveva dimostrato che nella sua lunga storia di oppressione gli appartenenti alla religione israelitica non solo non avevano eguali diritti rispetto agli altri, ma potevano esserne privati e diventare da persone “cose”, ed essere letteralmente annientati sulla base di regole giuridiche costruite ad hoc.

Qualche decennio dopo Norberto Bobbio , nel suo libro su L’età dei diritti spiegava come i diritti dell’uomo non abbiano un fondamento assoluto , siano affidati al relativismo storico , anche se la loro affermazione costituisce un progresso morale dell’umanità.

Oggi Stefano Rodotà propone un nuovo diritto : “ il diritto di avere diritti”.

Perché inventare un nuovo diritto, che non si identifica con la capacità giuridica , volto in via generale ad assicurare a tutti “di avere diritti”? Il diritto di avere diritti non è contemplato esplicitamente nella Costituzione. La lista dei diritti non è più lunga di quella della Carta europea, ma contenerli tutti in una formula risponde ad un progetto che ha finalità più ambiziose : è una sorta di nuova cittadinanza, che discende da una nuova antropologia dell’ homo dignus. Questo progetto è fondato sulla dignità dell’uomo, valore-principio che in una visione laica del mondo e dei rapporti, implica un rovesciamento della concezione formalista dell’uomo-soggetto, per approdare alla concezione dell’ uomo-persona.

La dignità come principio è consacrata nella nostra Costituzione e, in modo ancor più generale, nella Carta europea. Accanto a questo principio si colloca il diritto alla verità, il diritto all’esistenza ( che la nostra Costituzione definisce libera e dignitosa) il diritto all’autodeterminazione ,il diritto all’identità , il diritto alla intangibilità del corpo. Sono questi i “super-diritti” che una democrazia moderna deve assicurare a tutti .

Ma chi può dare queste garanzie e di fronte a quali giudici si possono far valere? Ecco la fragilità che ancora segna la nostra epoca.

Alcuni anni fa ho cercato di ricostruire le finalità dell’ Avvocatura sotto il profilo della sua responsabilità sociale , profilo che per la verità è innato in chi esercita una professione intellettuale, e quindi nella categoria professionale che ne costituisce l’espressione , e ne assicura l’ordinamento interno. Mi era parso allora, e lo riconfermo oggi, che la funzione essenziale dell’avvocato consista non nella cura degli interessi del cliente ma nella custodia dei diritti. Custodia non vuol dire solo difesa, non vuol dire solo garanzia, vuol dire qualcosa di più, come ben insegnavano già i Romani, nel distinguere le obbligazioni ordinarie da quelle incombenti sul custode. Se poi si considera che in quel caso si pensava alla custodia di cose, e qui, invece, alla custodia di un bene assai più grande, che sono i diritti – i diritti personali e i diritti patrimoniali – si può misurare all’evidenza quando sia grave quella responsabilità e quanto sia rilevante quella funzione .

Ma quali diritti? Fino ad alcuni anni fa la Carta europea dei diritti fondamentali, approvata a Nizza nel 2000 e pur applicata da qualche Corte illuminata come se fosse un documento avente valore giuridico , e quindi ponesse vincoli agli Stati dell’ Unione , ai giudici e ai funzionari dell’ Amministrazione, non aveva ancora una veste ufficiale superiore a quella di documento politico. Eppertanto, accanto ai diritti garantiti costituzionalmente, avevo tenuto presenti i nuovi diritti tutelati dal diritto comunitario e quindi dal diritto interno, come i diritti dei consumatori e dei risparmiatori, i diritti del lavoro transnazionale, i diritti di cittadinanza, e le opportunità – intese in senso promozionale – per realizzare la parità tra i sessi.

Nel 2007 una Risoluzione del Parlamento europeo ha riconosciuto la Carta come documento giuridico. E il Trattato di Lisbona, due anni più tardi, lo ha proclamato in modo esplicito, includendo la Carta nella seconda parte del Trattato, e riconoscendo i diritti umani, come applicati dalla Corte di Strasburgo, come principi del diritto dell’ Unione (art.6).

L’elenco dei diritti è dunque aumentato, la responsabilità sociale dell’ avvocato e del’ avvocatura nel suo complesso si è resa più onusta, la sua rilevanza ancor più evidente.

Viviamo in un mondo di diritti. Se solo di volesse fare un passo indietro di due secoli, tenendo conto che il tempo del diritto e dei giuristi è molto più lento di quello ordinario, potremmo verificare che il tragitto dell’uomo da soggetto ( quando era tale, ma non a tutti lo si riconosceva) a persona è stato non solo lungo, ma faticoso, accidentato, e non definitivamente compiuto.

Le cose oggi si sono complicate. La crisi economica ha attanagliato il mondo occidentale, la globalizzazione ha mostrato anche il suo volto pericoloso , e non solo i vantaggi. La “globalizzazione che funziona”, come diceva Stiglitz, ha funzionato anche negli aspetti gravemente negativi. La bolla dei superprime ha trascinato con sé interi mercati finanziari e poi ha attaccato i mercati industriali. L’impoverimento ha colpito tutti, e le diseguaglianze che in parte erano evidenti, in parte latenti, ora sono esplose.

La reazione – dei legislatori, dei mercati, dei cittadini – è ancora lontana dall’essere decifrata con modelli razionali. Si è finito per ripensare tutti i rapporti in termini squisitamente economici, con un’ottica riduttiva e semplicistica , sì che con buone ragioni nel congresso forense di Milano del marzo 2011 , gli avvocati condannarono questa visione pan-economicistica con lo slogan: “ i diritti non sono merce”.

In altri termini, al problema dell’effettività dei diritti si è aggiunto il problema, ben più grave, della loro “sostenibilità economica”. Ed ora si è accreditata l’idea, non proprio in modo manifesto , ma piuttosto criptico, che come in tempo di guerra si sospendono i diritti costituzionali , allo stesso modo in tempo di recessione molti diritti sono un “ lusso che non ci si può permettere” . Si è iniziato con i diritti del lavoro – sia quello dipendente sia quello indipendente, sia quello manuale sia quello intellettuale – e si è proseguito con i diritti che erano stati da poco conquistati, i diritti dei giovani, i diritti degli anziani, i diritti delle donne, per non parlare dei c.d. diritti delle generazioni future.

Ci sarà dunque molto da fare nei prossimi anni, non solo per risollevare le sorti economiche del Paese, per uscire da questo tunnel recessivo di cui non si vede la fine, ma anche per riconquistare i confini dei diritti perduti, dei diritti non scritti sulla carta ma dei diritti concreti, sperimentati, che si possano effettivamente godere.

E quindi ci sarà bisogno di una Avvocatura più qualificata, più preparata, più rispettata.

I ruoli sociali, come i diritti, non si possono scrivere solo sulla carta: devono anch’essi essere concreti, sperimentati, e riconquistati di momento in momento.

E’ più facile declamare e scrivere i diritti che non difenderli e renderli effettivi. E’ più facile cancellare i diritti con l’indifferenza o la prevaricazione che abrogare le leggi che li conculcano. E’ più facile contemplare le lacune che colmarle con la costruzione dei diritti.

Se si legge la Relazione della Corte europea di Strasburgo del 2012 ci si avvede che già i diritti umani hanno una vita dura. Nella classifica dei Paesi del Consiglio d’Europa ordinata secondo il numero dei ricorsi, il numero delle misure preventive e il numero delle sentenze sanzionatorie, l’Italia ha totalizzato le cifre più alte, insieme con la Russia e altri Stati ex-socialisti. Sorprende dunque la preoccupazione di coniugare lo sviluppo economico con il funzionamento della macchina giudiziaria, quando non si assicura ai cittadini , agli stranieri, a coloro che sono costretti a migrare per poter sopravvivere una giustizia che protegga i diritti essenziali.

Diritti che nella Relazione della Corte costituzionale per l’anno giudiziario del 2012 sono richiamati con forza , sia nel dialogo tra le Corti , sia come vessillo della nostra democrazia.

Ma se si guarda alla pratica, se si guarda ai diritti come sono rispettati e come sono vissuti, ci si avvede che la loro effettività da problema diventa un dramma vero e proprio. Si è persino dubitato della affidabilità della proclamazione con cui si apre la nostra Costituzione, che fonda la Repubblica sul lavoro, perché oggi la disoccupazione, specie giovanile, ha attinto livelli intollerabili. Nelle sessioni di apertura del congresso di aggiornamento forense dell’anno scorso e di quest’anno si è dato grande rilievo al lavoro e ai diritti del lavoro: giuristi illustri di diverso orientamento come Renato Scognamiglio e Umberto Romagnoli hanno rilevato come ormai il diritto del lavoro sia ritornato ad essere una branca del diritto civile, affidato com’è alla autonomia privata in cui la posizione della parte debole , che non può più contare come nel passato sulla tutela collettiva ,è assoggettata al potere contrattuale – o all’abuso? – della parte più forte.

Ancora. Le “considerazioni finali” del Governatore della Banca d’Italia, esposte qualche giorno fa, richiamano l’attenzione di Governo e Parlamento sulla situazione economica del Paese in cui imprese e lavoratori sono sull’orlo del baratro. Ma analoghe considerazioni si possono fare per le professioni e per la professione forense, per la quale l’esperienza quotidiana insegna che il lavoro si è contratto, e quando non manca non è adeguatamente retribuito.

I diritti economici e sociali dei consumatori e dei risparmiatori non sono meno compromessi, anche se la crisi finanziaria ha indotto tutti i legislatori statali ad assumere provvedimenti d’urgenza.

Nella nostra esperienza ne ho contati 31, l’ultimo dei quali è il decreto pubblicato il 17 giugno scorso (n. 69 del 2013). Non è cambiata la prospettiva che abbiamo denunciato da ormai dieci anni, con la pubblicazione del Rapporto 2004 della Banca Mondiale degli Investimenti: si scambia la macchina della giustizia per una fabbrica con tante catene di montaggio quanti sono i magistrati giudicanti , gli avvocati come fastidiosi ingredienti da neutralizzare, le cause come “prodotti” da imballare qualunque sia il loro contenuto, e i procedimenti più risalenti come rifiuti da smaltire. E’ doloroso impiegare questi termini, ma è evidente che alla terminologia economica si sta sostituendo una terminologia per così dire “industriale”.”Articolo di Guido Alpa (Fonte:Altalex.it)
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[1] Cfr. Corte cost. 405/2005, rel. F. Contri, che qualifica tale interesse al corretto esercizio della professione appunto come un interesse pubblico di dimensione nazionale, il che consente di qualificare anche gli ordini forensi (locali) come enti pubblici nazionali (oltre ovviamente al Cnf).

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