Contributi di altre riviste sulla riforma della magistratura onoraria…

Continuiamo la pubblicazione di altri contributi per la formulazione di idee nuove sulla riforma della magistratura onoraria…

2)”Cui prodest? La riforma della magistratura onoraria tra tutela di diritti negati ed efficienza della Giustizia

di Bruno Caruso e Giuseppe Minutoli

Sommario: 1. Premessa. La Legge Orlando e il dibattito sulla riforma della magistratura onoraria – 2. La sentenza UX e la sua vincolatività nel contesto dei principi del diritto euro unitario – 3. Il d.d.l. Valente Evangelista – 4. Conclusioni. Dalla critica alle proposte.

1. Premessa. La Legge Orlando e il dibattito sulla riforma della magistratura onoraria

Da anni si discute in varie sedi, anche parlamentari, delle criticità riscontrate – ancor prima della sua entrata in vigore – nella c.d. Legge Orlando (d. lgs. n. 116/2017) in tema di riforma organica della magistratura onoraria. Si è palesata sin da subito una evidente inidoneità di tale pur recente normativa a conciliare, da un lato, l’esigenza, ormai insopprimibile, del riconoscimento di un dignitoso status dei magistrati onorari (che svolgono da decenni le loro funzioni giurisdizionali, nel contesto di un sostanziale precariato e con evidenti deficit di tutele[1]), dall’altro, l’essenziale raggiungimento di obiettivi di efficienza del sistema giudiziario, che dovrebbe costituire l’obiettivo di ogni intervento legislativo in materia di Giustizia.

Si è parlato in maniera icastica di un “legislatore furbo, che fa tutto indirettamente”, nel contesto di una legge che “non è la riforma per i giudici onorari”[2]. E per il vero questa non è neanche la riforma che serve in definitiva ai magistrati ordinari (in quanto, come si vedrà, è concreto il rischio di aumentare a dismisura i loro già gravosi ruoli) e agli utenti della giustizia (ai quali interessa una risposta giurisdizionale rapida ed efficiente).

Come è stato evidenziato, oggetto di motivata critica è l’intero impianto del d. lgs. n. 116/2017 e delle proposte di riforma in discussione, che presentano palesi criticità rispetto ai principi del diritto euro unitario[3] e destano serissime preoccupazioni per l’impatto che la struttura organizzativa dell’Ufficio del processo, così come strutturato, avrà sulla funzionalità della Giustizia; così come restano irrisolti i nodi legati alla dignità dello status della magistratura onoraria, alla indennità prevista con il c.d. fisso[4] (ove mai entrerà a regime) e ai nuovi carichi di lavoro (con la previsione, per il vero atecnica e per nulla chiara, del massimo di tre “impegni” settimanali).

Più in particolare, tra le varie questioni, la istituzione dell’Ufficio del processo in astratto potrebbe avere il suo fascino e potrebbe essere utile, ma invece, così come è strutturata nelle attuali previsioni normative, manifesta tutta la sua inadeguatezza, con ricadute pregiudizievoli sulla funzionalità del sistema. In esso invero potranno (rectius: dovranno, nella maggior parte dei casi) confluire i giudici onorari, cui verranno affidati compiti giurisdizionali in limitati casi, posto che la loro attività principale sarà invece quella di adiuvare i giudici professionali, trasformandosi in loro assistenti e collaboratori[5]. Ma, tenuto conto del fatto che nella maggior parte dei Tribunali il carico di lavoro dei giudici ordinari è già gravosissimo, evidenziamo da un lato la pericolosità dei nuovi limiti decisionali previsti dall’art. 10, co. 12, d. lgs. n. 116/2017, con devoluzione ai primi di materie oggi trattate dai gop[6], dall’altro l’insopprimibile esigenza di avere il massimo numero di giudici onorari con piene funzioni giurisdizionali (e non con compiti ausiliari e con gli stringenti limiti decisionali previsti), a pena di pregiudicare la funzionalità dell’attività giurisdizionale.

L’Ufficio per il processo, come evidenziato in un appello sottoscritto da numerosi presidenti di Tribunale nel gennaio 2020, “rischia di integrare una struttura organizzativa inefficace, peraltro inutile nel settore penale, determinando uno “spreco” di professionalità già qualificate, formate e sperimentate, che la Giustizia non può permettersi: infatti i giudici onorari attualmente in servizio (salvo casi eccezionali indicati nell’art. 11 e salva la possibilità di delegare specifiche attività, come l’assunzione di prove testimoniali) non eserciterebbero più le attuali funzioni giudiziarie in sede civile, anche con gestione di ruoli autonomi, e non sarebbero più utilizzati in sede penale (funzioni indispensabili, come detto prima, per l’efficienza della giurisdizione), ma svolgerebbero meri compiti per così dire ancillari al giudice ordinario (studio dei fascicoli, approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, predisposizione delle minute dei provvedimenti): attività di supporto del giudice togato che ben più utilmente vengono oggi demandate agli stagisti o ai tirocinanti, cioè a profili professionali in formazione”.

Si tratta di preoccupazioni fatte in parte proprie anche dal Consiglio Superiore della Magistratura[7] e oggetto di un allarmato documento firmato dal oltre cento Procuratori della Repubblica nel maggio 2017[8].

Ebbene, dopo l’esperienza fallimentare di un tavolo tecnico ministeriale che ha partorito un progetto di riforma sganciato dalle istanze avanzate dalla magistratura onoraria associata e per le quali era stata declamata una particolare attenzione a livello governativo, negli ultimi dodici mesi si sono succedute audizioni alla Commissione Giustizia del Senato[9], riunioni, dibattiti e articoli[10], prese di posizione anche di alcuni presidenti di Tribunale[11], predisposizioni di varie bozze di riforma, in un contesto che, apparentemente, sembrava maturo per una equilibrata disciplina di un settore in cui permane una situazione di sfruttamento e di deficit di tutela, assolutamente inammissibile in uno Stato di diritto[12]. Questo perché dovrebbe essere chiaro a tutti che qualsiasi normativa di settore che incida sulla giurisdizione deve tendere a migliorare (o almeno a non peggiorare) l’efficienza della stessa, anche limitando i danni arrecati alle finanze dello Stato dalle continue condanne ex legge Pinto n. 89/2001 e in sede di Corte europea dei diritti dell’Uomo ed evitando le procedure di infrazione già preannunciate o in corso.

E tuttavia il dibattito sembrava ormai scivolare in una palude inconsistente quando il 16 luglio 2020 ha fatto irruzione l’attesa sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-658/18 (procedimento UX contro Governo della Repubblica italiana), che, come si vedrà, ha statuito come “un giudice di pace che, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di lavoratore ai sensi di tali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” e che “la nozione di lavoratore a tempo determinato contenuta in tale disposizione può includere un giudice di pace , nominato per un periodo limitato, il quale, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.

A fronte di tale autorevolissimo arresto giurisprudenziale, che nell’ambito della giurisdizione nazionale introduce un principio a cui occorre attenersi, ha stupito non poco coloro che, con approccio “laico” e rispettoso delle regole e dei principi euro unitari, si occupano da anni della questione, il deposito in commissione giustizia del Senato del ddl. Valente – Evangelista S1438[13]: si tratta infatti di un elaborato normativo che non solo non elimina alcuna delle denunciate criticità della Legge Orlando, non solo peggiora alcuni aspetti della stessa, sia dal punto di vista della tutela dei diritti dei magistrati onorari e delle (nefaste) ricadute di tali scelte sulla organizzazione e sulla funzionalità dell’attività giurisdizionale, ma che addirittura ignora totalmente il punto (non di arrivo, ma di partenza) costituito dalla citata sentenza della Corte di giustizia.

Partiamo, allora, da subito dall’esame di questa importantissima pronuncia.

2. La sentenza UX e la sua vincolatività nel contesto dei principi del diritto euro unitario

La vicenda della magistratura onoraria italiana, come era prevedibile, cambia di segno con la sentenza Ux. La Corte di giustizia si era già pronunciata su una vicenda riguardante un’analoga categoria di magistratura non togata nel Regno Unito, i c.d. recorders (la sentenza O’Brien causa C-393/10). Anche in quel caso si trattava di giudici non togati retribuiti in base a tariffe giornaliere ed esclusi dalla quasi totalità delle tutele lavoristiche e previdenziali. Già, allora, il pronunciamento della Corte non ha lasciato spazio a equivoco alcuno, riconoscendo la tutela connessa al lavoro subordinato (nella specie si trattava di diritti pensionistici). Questo precedente, avrebbe dovuto costituire un monito per il legislatore italiano, ma anche per le Alti Corti domestiche attestate sulla posizione giusta la quale la qualificazione come ‘onoraria’ della carriera della magistratura non togata italiana, costituiva un impedimento istituzionale (e addirittura costituzionale) al riconoscimento della natura di lavoratore pubblico del magistrato onorario, con conseguente disapplicazione delle tutele lavoristiche (da ultimo Consiglio di stato sent. n.1326/2020) .

La sentenza Ux, pertanto, lungi dal costituire un fulmine a ciel sereno, o un’indebita intrusione nei confini nazionali di un giudice dell’ordinamento sovranazionale, costituisce una scontata presa d’atto dello stato dell’arte di consolidati principi di civiltà giuridica, che in Italia si è fatto fatica ad applicare alla magistratura non togata.

Il principio, vale ricordarlo, si declina in tal senso:

se un rapporto di lavoro, anche nei confronti dello stato, si svolge, in via di fatto, secondo i caratteri, tipici e topici, della prestazione di lavoro subordinato, a prescindere dalla qualificazione che ne fa il legislatore nazionale, il rapporto va qualificato come tale, con tutti gli effetti giuridici che ne conseguono[14].

In verità, in Italia, non sarebbe stato necessario interrogare il giudice europeo per arrivare a un simile risultato.

A prescindere dai principi generali ai quali si è fatto riferimento, è altrettanto noto che la Corte costituzionale italiana, a più riprese, ha fissato l’ormai indelebile principio della indisponibilità del tipo contrattuale (sentenze n. 121/1993 e n. 115/1994; principio poi sempre ribadito, a esempio anche dalla sentenza n. 76/2015).

In tal caso il principio va declinato, sinteticamente, nel seguente modo:

neppure il legislatore può qualificare un rapporto di lavoro – per intrinseca natura, rectius, per modalità di svolgimento – subordinato, in altro modo.

Nel caso del magistrato onorario la pretesa del legislatore, avallata dalla giurisprudenza delle alte Corti nazionali, almeno sino al chiarimento della Corte di giustizia, è stata invece di rendere “invisibile” questa figura sotto il profilo della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, considerando la prestazione come onoraria, che, letteralmente, significa una qualifica il cui conferimento è puramente onorifico, ed esclude pertanto gli obblighi e i diritti inerenti.

E’ fatto, invece, ampiamente noto a tutti gli operatori di giustizia che il magistrato onorario presta, a tempo pieno o parziale, di fatto a tempo indeterminato, attività giurisdizionale in via professionale (in modo reale ed effettivo secondo il lessico della sentenza UX) e non occasionalmente (in modo marginale e accessorio sempre secondo il lessico della Corte). Se così è, ne consegue che, per il diritto euro unitario, tale figura costituisce un/a lavoratore/trice e non può essere considerato/a, invece, secondo l’artificiosa narrativa delle Alte corti italiane, una sorta di servitore volontario della amministrazione della giustizia (si è invocato a sproposito l’art. 54 della Cost.) al quale, al più, corrispondere graziosamente una qualche indennità satisfattiva[15].

A questo vero e proprio vulnus dei basici principi del diritto sociale europeo (ma anche di rilevanza costituzionale) ha posto, dunque, definitivamente rimedio il giudice europeo, non allocato, questa volta, a Berlino, ma in Lussemburgo.

Qual è, allora, l’inequivocabile messaggio che il giudice europeo invia al legislatore e alle Alte corti italiane? E’ bene declinarlo, soffermandosi diffusamente su alcuni passaggi della motivazione della sentenza Ux; ciò anche per evitare il rischio di ri-letture nazionali artatamente opache ed elusive di tale decisione.

Il messaggio consta di due principi , molto chiari e ineludibili, e di un rinvio al giudice italiano nel ruolo di giudice di base dell’ordinamento europeo.

Primo principio:

a) l’attività della magistratura onoraria italiana appartiene alla funzione giurisdizionale, ed è assistita dai corollari di autonomia e di indipendenza propri di questa funzione: punti 40 e seguenti della motivazione, punto 1 del dispositivo e punto 106 che si riporta per esteso in nota[16] .

Secondo principio:

b) Lo svolgimento di tale funzione, secondo i moduli ricorrenti e tipici del lavoro dipendente, fa rientrare il magistrato onorario nella definizione europea di lavoratore. La Corte non afferma tale principio in astratto, ma lo enuclea dallo accertamento empirico dell’attività della giudice ricorrente: punto 120[17]. La disamina empirica effettuata nel corso del giudizio conduce la Corte ad affermare, infatti, con sicurezza, che si tratta di una prestazione non inquadrabile nella fattispecie del lavoro autonomo ma in quella del lavoro subordinato[18].

Segue

c) il rinvio al giudice nazionale – secondo il modulo tipico delle sentenze della Corte di giustizia – per quel che deve fare per dare attuazione ai principi enunciati: spetterà al giudice nazionale, quale giudice di base dell’ordinamento europeo, stabilire in concreto il trattamento normativo e retributivo da attribuire al magistrato onorario parametrandolo a quello in atto per la magistratura togata (punto 148[19]) ; ciò per non violare il principio di non discriminazione (clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro sul contratto a termine). Spetta, inoltre, all’ordinamento nazionale esplicitare, in modo trasparente, ragionevole e controllabile se esistono ragioni oggettive (per esempio la selezione tramite concorso pubblico e i compiti più complessi affidati ai togati: punti 147 e ss. in particolare punto 159[20]) per giustificare un diverso trattamento delle due figure di lavoratori subordinati comparabili[21].

In sintesi dalla sentenza Ux si trae, con certezza, il seguente quadro.

Il magistrato onorario:

a) E’ una figura inserita nell’ordinamento giudiziario italiano che svolge la sua funzione giudiziaria in posizione di autonomia e indipendenza, ancorché diversa da quella del magistrato togato (es. limiti di competenza).

b) E’ qualificabile, dal punto di vista lavoristico, come un lavoratore subordinato, dipendente dallo stato (un impiegato pubblico a tempo determinato, di fatto con la legge Orlando, per i magistrati in servizio prima della entrata in vigore della legge, a tempo indeterminato, in ragione del sistema delle quattro proroghe), e non come un lavoratore autonomo; certamente non svolge una funzione onoraria meramente indennizzabile (a prescindere dalla qualità e dalla quantità dell’indennizzo). Sia detto per inciso: al di là dalla sentenza UX, costituisce un ossimoro pensare – cosa su cui invece insiste il legislatore italiano (infra par. successivo) – che la funzione giurisdizionale organizzata, con inserimento pieno e strutturale del magistrato onorario nella organizzazione funzionale degli uffici giudiziari, possa essere svolta secondo i moduli del lavoro autonomo: il che implicherebbe, come è noto, l’autorganizzazione dell’attività e l’autodeterminazione del lavoratore persino dell’an della singola prestazione.

c) Ha diritto a condizioni di impiego (il trattamento economico e normativo) non del magistrato togato, ma “parametrabili” a quest’ultimo, con operazione accertativa assegnata alla magistratura italiana, considerata come giudice di base dell’ordinamento europeo. In Italia esiste un principio costituzionale guida per tale operazione: quello della proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato (art. 36 primo comma); norma, si ricorda, considerata storicamente, dalla giurisprudenza italiana, precettiva e non meramente programmatica.

3. Il d.d.l. Valente Evangelista

Come accennato prima, a fronte di tale autorevolissima pronuncia, peraltro espressione di principi vincolanti per lo Stato Italiano, ci si aspettava un dibattito parlamentare che, nel prendere spunto da questa sentenza, rispettandone la sostanza innovativa, costruisse una riforma idonea a disciplinare lo status dei giudici onorari, avendo come obiettivi il rispetto delle garanzie costituzionali, l’efficienza del sistema Giustizia, la soddisfazione dei lavoratori coinvolti e degli utenti della Giustizia: in una parola, una riforma per e non contro.

Invece, il d.d.l. Valente – Evangelista non solo ignora palesemente quanto affermato dalla Corte di Giustizia europea, ma non consente il raggiungimento di nessuno dei detti obiettivi, peggiorando lo stato attuale derivante dalla Legge Orlando.

Infatti, il testo normativo, nonostante le innumerevoli critiche provenienti e dal mondo accademico e da quello giudiziario, nonché dalla stessa magistratura onoraria, innanzitutto non modifica la lettera a) del comma 1 dell’art. 30 d.lgs 116/2017. Si mantiene pertanto il discrimine tra l’obbligatorietà d’ingresso nell’Ufficio per il processo per i GOT e la facoltatività per i Giudici di pace. Invero, non si comprende la logica di tale previsione, posto che appare evidente la necessità di superare le differenze ordinamentali (ed economiche) tra G.O.T. e G.D.P., trattandosi figure già confluite per espressa scelta legislativa nell’unica categoria del giudice onorario di pace (gop), prevista dalla Legge Delega 28 aprile 2016, n. 57 all’art. 2, co. 1, che ha indicato alcune differenze tra le due figure solo in via transitoria.

Occorrerebbe, quindi, rendere effettiva e completa la unificazione dei giudici onorari nella categoria dei gop, pur nella distinzione tra magistrati inseriti nell’Ufficio del giudice di pace e quelli che operano nel Tribunale, anche attraverso le necessarie modifiche alla legge delega, consentendo che gli stessi, come avviene da decenni, svolgano piene funzioni giurisdizionali. In tale contesto, si ritiene ad esempio necessario rivedere i limiti decisionali, irragionevolmente ampliati con l’art. 10, co. 12, d. lgs. n. 116/2017 (laddove, ad esempio, quelli previsti dall’art. 11, co. 6, appaiono coerenti con finalità di equilibrio istituzionale): tali limitazioni, come prima denunciato, comporteranno un inevitabile incremento dei ruoli della magistratura togata, con devoluzione di materie normalmente trattate dai giudici onorari e con correlato aumento dei ritardi nelle definizioni dei processi.

Occorrerebbe anche rivedere gli altri divieti e previsioni introdotti agli artt. 10, 11, 12, 30 commi da 2 a 8 (essendo già proposta dal d.d.l. Valente Evangelista l’abrogazione dei co. da 9 a 11). Ciò anche a beneficio dell’intero sistema giudiziario.

Si pensi, a titolo esemplificativo, alla discrezionalità nella individuazione di alcune materie che possono trattare i giudici onorari, in relazione al concetto (che rischia di essere fumoso se non arbitrario) di complessità o meno della controversia. Tutto ciò può dirsi coerente con i principi costituzionali e con il principio del giudice naturale precostituito per legge e con il riparto della competenza, che deve operare in base all’oggetto del contenzioso e non ad altri criteri non determinabili?

Si pensi ancora alla disciplina della delega dei procedimenti da parte del giudice togato al magistrato onorario (art. 10, co. 11-15, Legge Orlando). Può ritenersi che tale previsione superi il vaglio di costituzionalità, nella misura in cui vincola ed ingabbia ben oltre il consentito l’attività giurisdizionale che, per previsione costituzionale, deve essere indipendente ed autonoma? Non si rischia in tal modo di far debordare il rapporto tra magistratura togata ed onoraria, improntato fino ad ora su concetti di collaborazione e partecipazione, in un eccesso di vigilanza e controllo?[22]

Ma v’è di più.

Il legislatore introduce la nozione, che possiamo dire descrittiva e fantasiosa ma che non ha una connotazione processuale effettiva, di “impegni” settimanali. Secondo quanto previsto, infatti, l’attività dei magistrati onorari dovrà essere svolta per un massimo di tre impegni settimanali, ai quali vengono parametrate le indennità dovute. Ora, cosa si intenda per “impegni” non è ben chiaro. Il magistrato, sia esso onorario che ordinario, non solo tiene udienza, ma gestisce ruoli, studia fascicoli, effettua ricerche giurisprudenziali, redige ordinanze e sentenze, organizzando il proprio lavoro sulla base di una tempistica che non è individuabile a priori in maniera rigida. Come si può vincolare tale attività entro un arco temporale definito e ristretto? Ove si indentifichi l’ “impegno” con la giornata lavorativa, come ritenere ad esempio che tenendo due udienze settimanali sia sufficiente un terzo “impegno” per svolgere tutte le attività, a volte complesse, pre e post udienza, a pena di reiterare l’attuale situazione che vede i got – e non anche i giudici di pace – pagati solo per udienza e non per i provvedimenti depositati?

Sul punto già la stessa magistratura togata si è espressa in modo critico. Ad esempio, l’ANM, in data 6 aprile 2019, non ha mancato di osservare come “destano perplessità e preoccupazione le proposte avanzate dal ministero in merito ai limiti temporanei di impiego della magistratura onoraria requirente e giudicante. La proposta presentata, infatti, limita tale impiego in tre impegni settimanali, stabilendo la corrispondente retribuzione. Tuttavia, tale rigido limite appare del tutto inadeguato rispetto alle esigenze degli uffici giudiziari giudicanti e requirenti e rischia di determinare un grave ostacolo alla tempestiva celebrazione dei procedimenti per l’indisponibilità di magistrati onorari impiegabili con limitazioni così anguste ed inadeguate. L’ANM rivolge un appello al Ministro della Giustizia affinché, in sede di redazione dell’articolato normativo, ampli l’oggetto delle materie delegabili in coerenza con quanto già stabilito e aumenti la soglia limite prevista per l’impiego settimanale dei magistrati onorari, prevedendo il corrispondente incremento retributivo, onde prevenire il blocco della trattazione di numerosissimi procedimenti e l’impossibilità di celebrare le udienze che conseguirebbero all’entrata in vigore della riforma così come prospettata”.

Altro profilo critico è quello del regime sanzionatorio, previsto nell’art. 21 Legge Orlando, che nel d.d.l. in esame viene novellato con profili di palese irragionevolezza, tali da esporre al rischio di censura di incostituzionalità. Se, infatti, può condividersi la scelta di tipizzare le fattispecie che espongono il magistrato onorario a sanzioni disciplinari (richiamo, sospensione dal servizio da tre a sei mesi e la revoca dall’incarico), pur se si sarebbe potuto più opportunamente far richiamo al regime previsto per i magistrati ordinari, suscita perplessità la tipologia di condotte collegate ad alcune delle sanzioni stesse.

La sospensione (sanzione temporanea), infatti, è prevista per fatti anche assai gravi che potrebbero avere rilevanza penale, quali, ad esempio, “l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti; comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell’ambito dell’ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato, consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge”. Invece, la revoca (che importa la cessazione definitiva dell’incarico) sanziona, tra l’altro, “l’avere, senza giustificato motivo, conseguito risultati che si discostano gravemente dagli obiettivi prestabiliti dal presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica a norma dell’articolo 23 ovvero, nel caso di assegnazione di procedimenti civili o penali a norma dell’articolo 11, la mancata definizione, nel termine di tre anni dall’assegnazione, un numero significativo di procedimenti, secondo le determinazioni del Consiglio superiore della magistratura”. In sostanza, il magistrato onorario rischia di essere definitivamente revocato per il mancato ingiustificato raggiungimento degli obiettivi prefissati dal capo dell’ufficio e semplicemente sospeso – salvo l’accertata sua responsabilità penale – se commetta condotte abusive della sua qualità. Intelligenti pauca.

Quanto poi ai profili economici, è noto che (a differenza dei giudici di pace, che vengono pagati non solo per ogni udienza tenuta ma anche per ogni provvedimento emesso, ai sensi dell’articolo 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374), i giudici onorari di tribunale sono attualmente pagati con una indennità di euro 98,00 lordi per udienza, raddoppiabili in caso di superamento delle cinque ore (art. 4 decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273), mentre tutta l’attività preparatoria e quella successiva, anche per la stesura e il deposito dei provvedimenti, è di fatto fuori da ogni remunerazione.

La Legge Orlando del 2017 ha modificato tale regime, prevedendo a decorrere dal quarto anno successivo alla sua entrata in vigore (e quindi dal 16 agosto 2021) per i magistrati in servizio da prima della stessa legge una indennità fissa annua di euro 24.210,00, ove si mantengano le piene funzioni giurisdizionali, ridotta all’80 % in caso di inserimento nell’Ufficio del processo.

Orbene, senza tener conto delle sollecitazioni da più parti rivolte al legislatore, il d.d.l. in esame, novellando l’art. 31 d. lgs. n. 116/2017, introduce un meccanismo che collega l’entità delle indennità alla tipologia di lavoro da svolgere[23], ma che impone, senza una logica dal punto di vista dell’efficienza, che lo svolgimento dell’attività giudiziaria e di quella nell’Ufficio del processo debba avvenire nello stesso giorno per ottenere un fisso leggermente più alto, precisando, poi, che le mansioni all’interno dell’UdP debbano essere svolte per almeno per 3 ore e, in riferimento al pagamento a cottimo, in orario pomeridiano.

Premesso che sia l’ANM che i presidenti dei Tribunali nell’appello del 21 gennaio 2020 avevano chiesto la possibilità di un impiego maggiore e non limitato ai tre “impieghi” settimanali, sfugge a chi scrive il senso logico di tale previsione. Invero, la concentrazione delle varie attività (udienza autonoma, mansioni ancillari nell’ambito dell’UdP) in un unico giorno lavorativo appare sganciata dalla realtà del lavoro giurisdizionale, non tenendo conto dell’attività concreta svolta dal magistrato onorario, al pari di quello ordinario: questi, infatti, prima dell’udienza dovrà organizzare il ruolo e studiare i fascicoli, dopo l’udienza dovrà svolgere i compiti alla stessa collegati e quelli relativi al ruolo in generale. Dovrà quindi, scrivere decreti o ordinanze o sentenze e, quindi, prestare attività nell’UdP (studio di fascicoli, ricerche giurisprudenziali, stesura di minute di provvedimenti delegategli dal giudice togato), ma tutto ciò peraltro in orario pomeridiano. Insomma, una previsione che tende, nel cercare di confermare non più di tre impegni settimanali, a gravare ulteriormente il giudice onorario, che dovrà con tutta evidenza svolgere poi ulteriore lavoro in altri giorni settimanali, senza alcuna “copertura” economica.

Ma non è tutto.

Infatti, il d.d.l. non prevede, come dovrebbe secondo logica, una data certa di entrata in vigore dell’indennità fissa, così come invece faceva il d.lgs. Orlando (febbraio 2021): l’art. 31, co. 3 bis, come da proposta di riforma, rimanda, per la operatività di tale criterio di calcolo, alla pubblicazione di un futuro decreto del Ministro della Giustizia, che ne definisce la modalità e i limiti, e che verrà adottato successivamente alla emanazione dei decreti che, ai sensi dell’art. 32, co. 2, potranno rivisitare la dotazione organica dei magistrati onorari: in parole semplici, l’indennità fissa è rinviata alle calende greche, perché è di tutta evidenza che, se il d.d.l. ha previsto la riduzione di detta dotazione organica rispetto alle previsioni della Legge Orlando, sarà inverosimile che a distanza di poco tempo sia necessario rivedere la stessa dotazione. Insomma, una normazione che non dà alcuna certezza dal punto di vista temporale rispetto ad una apparentemente allettante previsione economica, rinviata sine die.

Occorre chiedersi se il sistema giustizia non abbia invece bisogno di magistrati onorari incentivati e responsabilizzati, sicché, a tutto voler concedere e a tacere delle conseguenze della sentenza della Corte di Giustizia prima evocata, sarebbe più opportuno ritornare alle previsioni della Legge Orlando in riferimento ai tempi di entrata in vigore del pagamento di indennità fissa.

Da ultimo è stata rilevata l’assenza di qualsiasi tutela assistenziale (peraltro prevista in alcuni d.d.l. depositati alla Commissione Giustizia del Senato): e ciò è tanto più grave nel presente periodo di emergenza sanitaria: in sostanza, il magistrato onorario (che, come detto, va qualificato come lavoratore, secondo la giurisprudenza comunitaria, vincolante nel diritto interno) ove si ammali o risulti positivo al Covid-19, è totalmente privo di qualsiasi copertura di tipo assistenziale, ciò aggiungendosi alla mancata percezione di alcuna indennità, perché collegata solo allo svolgimento delle udienze.

4. Conclusioni. Dalla critica alle proposte

Al di là di qualsiasi opinione che si possa avere sul ruolo della magistratura onoraria, non può non convenirsi con la considerazione secondo cui “da quindici anni, a causa della cronica carenza di organico e della sempre crescente domanda di giustizia, i magistrati onorari hanno fornito un contributo significativo alla giurisdizione, in assenza di un’adeguata tutela previdenziale ed assistenziale” (Associazione Nazionale Magistrati, documento GEC del 22 aprile 2017), e il loro impiego “costituisce una misura apprezzabile nell’ottica di un’efficiente amministrazione della giustizia ex artt. 97 e 111 Cost.” (Cass. 4 dicembre 2017, n. 28937, secondo cui “i giudici onorari – sia in qualità di giudici monocratici che di componenti di un collegio – possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, come si evince dall’art. 106 Cost.”).

Occorre, allora, che il legislatore prenda atto dell’evoluzione della funzione di questa magistratura e assuma un’ottica regolativa consequenziale, anche sotto il profilo delle condizioni di impiego.

Il progetto di riforma potrebbe essere costruito intorno ai seguenti punti fermi:

– Occorre confermare che l’ordinamento giudiziario italiano è basato su un duplice pilastro: la magistratura togata e la magistratura onoraria, per la quale sarebbe già importante utilizzare una nomenclatura diversa, anche in ragione dei fraintendimenti che tale predicato ha sinora sortito. Si tratta, infatti, non di una magistratura volontaria o di servizio (come il predicato lascia intendere); ma di una magistratura professionale che può essere impiegata, in astratto, in regime di tempo parziale, ma che di fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, ha lavorato e continua a lavorare in regime di tempo pieno. Una magistratura professionale, quindi, diversa da quella togata, con compiti ausiliari rispetto a quest’ultima ma, come si è detto, altrettanto fondamentale e ormai insostituibile, perché stabile componente dell’ordinamento giudiziario italiano.

– La magistratura ausiliaria e di prossimità, nell’intenzione del legislatore del 2016, svolge funzioni di affiancamento alla magistratura togata; funzioni di affiancamento alle funzioni proprie della magistratura togata con riguardo all’attività propriamente giurisdizionale e requirente (in tal caso con piena autonomia e indipendenza da quest’ultima), ma anche con riguardo all’assistenza e alla collaborazione, di alto profilo tecnico.

– A tale scopo, la legge Orlando, in questo caso condivisibilmente, prevede precisi obblighi e diritti di formazione presso la Scuola superiore della Magistratura (ulteriori a quelli della fase di tirocinio nell’ assunzione), oltre che attività di aggiornamento professionale.

– L’appartenenza all’ordine giudiziario è ormai garantita anche dalle modalità di selezione pubblica all’ingresso; modalità diverse da quelle del concorso di reclutamento della magistratura ordinaria e che tuttavia rinviano a un procedimento di selezione pubblica in linea con i principi, di merito e di imparzialità, previsti dall’art. 97 della Costituzione.

– Poiché da sempre il legislatore ha riconosciuto l’appartenenza della magistratura onoraria italiana, di fatto professionale, all’ordinamento giudiziario, non sono mai sorti dubbi circa la garanzia, in astratto almeno, delle prerogative di indipendenza e di inamovibilità, sia nell’esercizio delle funzioni decidente e requirente, ma anche con riguardo alla rappresentanza negli organi di autogoverno (consigli giudiziari in primo luogo).

– Sulla base di queste premesse pare del tutto logico far seguire una regolamentazione conseguenziale con riguardo al rapporto di impiego. Di fronte a questo ormai inevitabile snodo, sorgono i problemi, anche perché la soluzione non è certamente semplice sul piano della tecnica regolativa.

– È opinione di chi scrive che il punto di partenza di ogni coerente regolamentazione non può che essere il riconoscimento dallo status giuridico di lavoratore. Dopo la sentenza Ux, si tratta di un dato ormai acquisito: il legislatore italiano non può disconoscerlo, ma non possono farlo neppure le decine di Tribunali che, in ogni parte d’Italia, stanno vagliando i ricorsi presentati dai magistrati onorari, pena una palese violazione dello ius superveniens europeo e l’innesco di un grave conflitto ordinamentale (la saga Taricco docet).

È bene allora eliminare ogni equivoco circa il fatto che garantire non soltanto condizioni di impiego dignitose, ma l’allineamento tendenziale (non l’equiparazione meccanica) del trattamento economico normativo dei magistrati onorari a quello della magistratura togata: a) non comporta alcun sbrego costituzionale; b) non mette in discussione le distinte prerogative di accesso, di status, di carriera e di trattamento della magistratura togata.

A) Con riguardo al primo punto, la magistratura ausiliaria, definita onoraria, non costituisce né una magistratura speciale, né straordinaria (art. 102 Cost.), altrimenti non si sarebbe potuto, di già, tollerarla neppure nell’attuale configurazione. Essa, notoriamente, presuppone l’affidamento di stabili e piene funzioni giurisdizionali a soggetti con uno statuto professionale tuttora, a dir poco, debole. Il fatto che, in via di costituzione materiale, si sia prodotta una professionalizzazione di una magistratura ausiliaria di supporto alla magistratura togata (necessaria a far funzionare l’amministrazione della giustizia), non significa che si debba ovviare, a tale situazione di fatto, con una mostruosità giuridica: nient’altro sarebbe, infatti, una legge che suggellasse l’anomalia, tutta italiana, ormai più volte stigmatizzata dalle istituzioni europee, di una magistratura funzionalmente stabile, ma strutturalmente precaria per il profilo delle condizioni di impiego. In disparte la constatazione, di senso comune, che un lavoratore precario, per ovvi motivi, non può essere indipendente e autonomo: il che è particolarmente intollerabile nell’esercizio di una funzione che prevede, per definizione costituzionale, indipendenza e autonomia di giudizio.

A parte questa ovvia constatazione, vale richiamare, a tal proposito, un principio fondamentale dell’ordinamento lavoristico europeo, ma anche nazionale, giusto il quale non è legittimo, né lecito, ricoprire, in un’organizzazione, pubblica o privata che sia, una posizione di impiego, funzionalmente stabile e duratura, con un operatore instabile e precario, o addirittura, come si pretende nel caso della magistratura onoraria, con un “non lavoratore”. Né, tantomeno, è legittimo affidare servizi delicati come quello della giustizia (ove il principio di buon andamento si incrocia con altri, per esempio del giusto processo o della sua ragionevole durata), a lavoratori autonomi che è, in fondo, il retropensiero del ddl in discussione. Si tratterebbe di un vero e proprio ossimoro dal punto di vista giuslavoristico e organizzativistico, ma anche di un vero e proprio vulnus al principio costituzionale del buon andamento (con ricadute in termini di probabile violazione dell’art. 97 della Cost.).

Oltretutto se passasse il principio che esigenze di funzionamento stabile – implicanti inserimento forte del lavoro nell’organizzazione datoriale – si possano risolvere ricorrendo a lavoro instabile, autonomo o volontario, sarebbe molto difficile giustificare questa soluzione con pretese specificità dell’amministrazione dalla Giustizia: ma perché non nella scuola (ove, non a caso, il legislatore intende ovviare alla piaga del precariato diffuso), nell’esercito, nella polizia, negli ospedali, nelle carceri?

A questo punto, gli ideatori del ddl in discussione, forse senza esserne consapevoli, non farebbero altro che realizzare il sogno dei cultori della ideologia dello Stato minimo: esternalizzare anche le funzioni pubbliche essenziali!

Ma neanche l’art. 106 della Cost. potrebbe essere richiamato contro la professionalizzazione (intesa quale riconoscimento di un rapporto di lavoro pubblico) della magistratura onoraria. Una lettura evolutiva e costituzionalmente orientata di questa norma, deve tener conto anche dell’evoluzione sociale: e cioè, che la risposta alla estesa domanda di giustizia di una società complessa come quella italiana, ha prodotto il ricorso a (e l’utilizzo di) un esteso corpo di magistratura ausiliaria professionale, che affianca, in posizione di autonomia, quella togata, e che ciò è ormai indispensabile per il funzionamento dell’amministrazione della giustizia italiana.

B) Come si accennava, questo riconoscimento (la sentenza Ux potrebbe definirsi, per questo profilo, dichiarativa, non costitutiva, della condizione di lavoratore) non mette affatto in discussione le distinte prerogative di status e di carriera della magistratura togata. Questa errata percezione di gran parte della magistratura togata italiana è stata certamente un fattore, anche culturalmente e subliminalmente, ostativo allorché i Tribunali sono stati chiamati, prima della UX, a riconoscere i diritti del lavoro a tale categoria di lavoratori pubblici. Come spiega la Corte di giustizia, le condizioni di impiego del giudice non togato non possono che essere parametrate a quelle del lavoratore comparabile che è certamente il magistrato togato. Ma qui occorre intendersi: utilizzare il trattamento economico normativo del magistrato togato come parametro, non significa affatto parificare, sia con riguardo allo status professionale, sia con riguardo alle concrete condizioni di impiego (carriera, retribuzione, orario, durata delle ferie e quant’altro) la magistratura ausiliaria e la magistratura togata. Si tratta infatti, di due carriere diverse a cui possono corrispondere condizioni di accesso, di impiego e status professionale diversi e tale diversità trova giustificazione, come ricorda la sentenza Ux, nell’art. 106 della Costituzione. Ma il fatto che siano diverse non significa riconoscere alla categoria comparata un ‘no status’ o la condizione di lavoratore stabilmente precario o addirittura autonomo e imprenditore di sé stesso. Un lavoratore con rapporto “onorario”, o al più autonomo, non è per definizione comparabile a un lavoratore subordinato stabile, in questo caso il magistrato togato. Il magistrato togato è il lavoratore di riferimento per applicare il principio di parità di trattamento che assiste il lavoratore subordinato a termine, vale a dire il magistrato onorario (ammesso che non ci sia stato abuso del contratto a termine, ma questo è un altro discorso): questo dice la Sentenza Ux.

Ma comparabilità non significa meccanica parificazione; significa che per determinare lo standard economico normativo del lavoratore a termine, si assume il trattamento economico normativo del lavoratore stabile comparabile come parametro di riferimento. Nel caso della ricorrente UX, considerata lavoratrice subordinata con 15 anni di servizio, la Corte ha fatto esplicitamente riferimento al magistrato togato che ha ricevuto la terza valutazione: ma questo non significa affatto che il giudice onorario Ux debba essere incardinata tra i ranghi della magistratura togata a quel livello di carriera; significa soltanto corrisponderle un trattamento economico parametrato a quel livello di carriera, secondo criteri affidati alla competenza del giudice nazionale.

Spetta poi a un legislatore nazionale, avveduto e saggio, intervenire sulla materia regolando funzioni e trattamenti in modo da tener conto di similarità e differenziazioni. Spetta a un legislatore, consapevole e tecnicamente attrezzato, non fare confusione e regolare le condizioni di impiego della magistratura ausiliaria determinando, anche al suo interno, cosa debba rilevare in termini di differenza di compiti, ma anche di trattamento per anzianità e di carriera, e individuando gli istituti che si applicano a tutti (per esempio le ferie, il trattamento di malattia, previdenziale ecc.). Spetta a un legislatore che abbia una vision di sistema, per esempio, decidere se regolare direttamente per legge le condizioni di impiego di questi lavoratori, come avviene con i magistrati, i professori universitari, la polizia, i funzionari delle prefetture, i vigili del fuoco ecc. (come nel caso dell’art. 3 d.lgs. n.165/2001, individuando in tal caso uno specifico trattamento di questa categoria, distinto da quello dalla magistratura togata); ovvero rinviare a un qualche meccanismo negoziale ad hoc (come i dipendenti della Banca d’Italia il cui contratto è recepito da un regolamento dal Consiglio superiore della Banca); ovvero inserendoli, in qualche modo[24], nel sistema di contrattazione collettiva generale dei lavoratori pubblici con contratto privatistico.

Di tutto questo si può discutere con calma e ponderazione, cercando di individuare la soluzione più adeguata e anche dando un occhio alle soluzioni legislative escogitate in altri ordinamenti. Ma una sola cosa appare disdicevole: sfuggire il problema del riconoscimento delle adeguate condizioni di impiego della magistratura onoraria, inventandosi regole e concetti non solo confusi, ma forieri soltanto di conflitti permanenti e di reprimende delle istituzioni europee, oltre che di possibile condanne dello Stato italiano, nelle sue diverse componenti, per danno comunitario da Francovich.

[1] In data 16 novembre 2016 il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS), nel decidere il reclamo n. 102/2013 presentato da alcuni Giudici di Pace, Giudici Onorari di Tribunale e Vice Procuratori Onorari, ha concluso, all’unanimità, che la normativa ed i comportamenti concreti posti in essere fino a quella data dalla Repubblica italiana nei confronti di queste figure professionali qualificate come magistrati onorari non sono conformi alle norme ed ai principi della Carta sociale europea e dei suoi Protocolli, quale il principio di non discriminazione dei lavoratori. In particolare, il Comitato ha rilevato che, rispetto all’applicazione dei Trattati, la denominazione di “onorario” fatta dalla legislazione italiana, non assume alcun rilievo, dato che le funzioni di fatto svolte dagli indicati magistrati onorari italiani sono pienamente equiparabili a quelle svolte dai magistrati professionali, a prescindere da come li definisca il diritto nazionale. Il Comitato ha, pertanto, ritenuto applicabile la Raccomandazione CM/Rec (2010) 12 nella parte in cui ingiunge agli Stati aderenti di assicurare ai giudici una remunerazione ragionevole in caso di malattia, di maternità o paternità, così come il pagamento di una pensione correlata al livello di remunerazione

[2] Scarselli, La riforma della magistratura onoraria: un ddl che mira ad altri obiettivi e va interamente ripensato, 2015, https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-riforma-della-magistratura-onoraria_un-ddl-che-mira-ad-altri-obiettivi-e-va-interamente-ripensato_13-07-2015.php.

[3] Va ricordato che con la comunicazione DG EMPL/B2/DA-MAT/sk (2016), la Commissione Ue ha chiuso con esito negativo il caso EU Pilot 7779/15/EMPL, preannunciando l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano sulla compatibilità con il diritto UE della disciplina nazionale che regola il servizio prestato dai magistrati onorari, in materia di a) reiterazione abusiva di contratti a termine (clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE), b) disparità di trattamento in materia di retribuzione (clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE), c) ferie (art.7, Direttiva 2003/88, in combinato disposto con la clausola 4 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 97/81/CE e con la clausola 4 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE) e d) di maternità (art.8 Direttiva 92/85 e art.8 Direttiva 2010/41). Inoltre, con la comunicazione del 23 marzo 2017 prot. D 304831, la Presidente della Commissione per le Petizioni del Parlamento Ue, all’esito della riunione del 28 febbraio 2017 in cui sono state discusse le petizioni nn. 1328/2015, 1376/2015, 0028/2016, 0044/2016, 0177/2016, 0214/2016, 0333/2016 e 0889/2016 sullo statuto dei giudici di pace in Italia, ha invitato il Ministro della Giustizia a trovare un equo compromesso sulla situazione lavorativa dei Giudici di Pace, per eliminare la «palese disparità di trattamento sul piano giuridico, economico e sociale tra Magistrati togati e onorari».

[4] Aloi T., La protesta della magistratura onoraria italiana arriva in Europa, in http://www.foroeuropa.it/index.php?option=com_content&view=article&id=454:rivista-2017-n1-art-10-aloit&catid=85:rivista-2018-n1&Itemid=101: “Sul piano della retribuzione, l’Eurispes registra diseguaglianze, scarse tutele e precariato. Mentre i Giudici di Pace percepiscono un’indennità mensile (258,23 euro), un’indennità di udienza (36,15 euro) ed un’indennità per sentenza o altro provvedimento di definizione del giudizio (56,81 euro), i GOT percepiscono solo un’indennità di udienza anche quando sono estensori di sentenza (98,00 euro se l’impegno lavorativo di udienza ha una durata di cinque ore, 196,00 euro se, invece, l’impegno supera le cinque ore); la medesima indennità di udienza è attribuita anche ai VPO e non è prevista una tutela previdenziale”.

[5] Scarselli, op. cit.

[6] Si pensi al fatto, prendendo ad esempio il Tribunale di Messina, che andrebbero a gravare sui giudici togati tutte le esecuzioni mobiliari presso il debitore, i procedimenti di obblighi di fare, i decreti ex art. 611 e 614 c.p.c., la fase cautelare dell’opposizione al pignoramento, nonché, quando il valore del credito pignorato supera gli € 50.000,00, anche quelle presso terzi, con aggravamento inaccettabile dei ruoli ordinari, laddove le attuali Tabelle prevedono che queste materie siano tutte trattate dai giudici onorari sino ad € 100.000,00.

[7] Parere CSM del 24 febbraio 2016 sul ddl Orlando: “Appare incongrua la previsione della assegnazione di coloro che attualmente siano investiti delle funzioni di Magistrato onorario all’ufficio del processo, atteso che tale disposizione non appare compatibile con la, invero correttamente ipotizzata, prospettiva di una progressiva formazione e della acquisizione graduale di esperienza nell’esercizio della funzione giurisdizionale, determinata dal passaggio dalla posizione di diretta collaborazione col giudice professionale alla assunzione di autonome funzioni giurisdizionali, seppur onorarie”

[8] Lettera, con primo firmatario il dott. Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, di 110 procuratori della Repubblica in data 23 maggio 2017 che, commentando il (futuro) D. Lgs.n. 116/2017, hanno denunciato, tra l’altro, “la non conformità di alcune scelte ai principi costituzionali, dopo approfondita consultazione di valenti costituzionalisti e con il loro diretto contributo), auspicando “il superamento, ad opera del legislatore delegato, di alcuni dei confini tracciati dalla Legge n.57/2016”.

[9] Si vedano i documenti depositati da soggetti istituzionali e da associazioni di categoria auditi dalla Commissione Giustizia del Senato il 26 novembre 2019, in www.senato.it/ http://www.senato.it/3649?current_page_40381=2,

[10] Si veda, tra i tanti, Costanzo A., La disorganica riforma della magistratura onoraria, in https://www.giustiziainsieme.it/en/magistratura-onoraria/666-la-disorganica-riforma-della-magistratura-onoraria; Aghina E., “L’utilizzazione dei giudici onorari in Tribunale dopo la riforma”, in www.giustiziainsieme, 17.11.2018; mi permetto di rinviare anche a Minutoli G., La (necessaria) riforma della magistratura onoraria e l’efficienza della giurisdizione, in https://www.unicost.eu/la-necessaria-riforma-della-magistratura-onoraria-e-efficienza-della-giurisdizione/, 2019.

[11] Appello di Presidenti di Tribunale, inviati agli Organi governativi e parlamentari, del 21 gennaio 2020.

[12] Si ricorda che i magistrati onorari affetti da Covid o che sono stati costretti in isolamento durante il lockdown, o che lo saranno nel corso della seconda ondata, non solo non usufruiscono del trattamento di malattia e infortuno sul lavoro spettante agli altri dipendenti pubblici e privati colpiti dalla pandemia, ma non potendosi recare in udienza non potranno ricevere alcun compenso da lavoro.

[13] http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/FascicoloSchedeDDL/ebook/52128.pdf

[14] Come è noto, alla qualificazione di una fattispecie come di lavoro subordinato segue l’applicazione automatica di tutti gli effetti della legislazione lavoristica in ragione del principio di tassatività che assiste tale legislazione.

[15] Su questo inequivocabilmente la sentenza UX, punti 100 e 101: “Pertanto, la sola circostanza che le funzioni del giudice di pace siano qualificate come «onorarie» dalla normativa nazionale non significa che le prestazioni finanziarie percepite da un giudice di pace debbano essere considerate prive di carattere remunerativo.

Peraltro, anche se è certo che la retribuzione delle prestazioni svolte costituisce un elemento fondamentale del rapporto di lavoro, resta comunque il fatto che né il livello limitato di tale retribuzione né l’origine delle risorse per quest’ultima possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di «lavoratore» ai sensi del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 30 marzo 2006, Mattern e Cikotic, C 10/05, EU:C:2006:220, punto 22, nonché del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze, C 22/08 e C 23/08, EU:C:2009:344, punto 27)”.

[16] “A tale riguardo, dalla giurisprudenza risulta che la circostanza che i giudici siano soggetti a condizioni di servizio e possano essere considerati lavoratori non pregiudica minimamente il principio di indipendenza del potere giudiziario e la facoltà degli Stati membri di prevedere l’esistenza di uno statuto particolare che disciplini l’ordine della magistratura (v., in tal senso, sentenza del 1° marzo 2012, O’Brien, C 393/10, EU:C:2012:110, punto 47)”.

[17] “Ebbene, come emerge in particolare dai punti 95, 98 e 99 della presente sentenza, nonché dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, risulta che un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale effettua a tale titolo prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e che comportano, come corrispettivo, indennità per ciascuna prestazione e indennità mensili, di cui non può dirsi che non abbiano carattere remunerativo”

[18]Punto 112 “In tali circostanze, risulta che i giudici di pace svolgono le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla loro indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. pure 109: “ A tale riguardo, dall’ordinanza di rinvio risulta che, sebbene possano organizzare il loro lavoro in modo più flessibile rispetto a chi esercita altre professioni, i giudici di pace sono tenuti a rispettare tabelle che indicano la composizione del loro ufficio di appartenenza, le quali disciplinano nel dettaglio e in modo vincolante l’organizzazione del loro lavoro, compresi l’assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza”: si tratta di un esempio oltremodo chiaro di come la Corte di giustizia utilizzi il metodo tipologico e non sussuntivo di individuazione della fattispecie di lavoro subordinato. Si v. pure il punto 110 sul requisito della eterodirezione : “Dalla decisione di rinvio risulta altresì che i giudici di pace sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del Capo dell’Ufficio. Tali giudici sono inoltre tenuti all’osservanza dei provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM”, e il punto 111 sull’assoggettamento: “Il giudice del rinvio aggiunge che detti giudici devono essere costantemente reperibili e sono soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati professionali”

[19] “In tali circostanze spetta al giudice del rinvio, che è il solo competente a valutare i fatti, determinare, in ultima analisi, se un giudice di pace come la ricorrente nel procedimento principale si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario che, nel corso del medesimo periodo, abbia superato la terza valutazione di idoneità professionale e maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C 677/16, EU:C:2018:393, punto 52 e giurisprudenza ivi citata)”. Con la precisazione di cui al punto 150 “ A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro dev’essere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma generale o astratta, quale una legge o un contratto collettivo (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C 677/16, EU:C:2018:393, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). E punto 161” In tali circostanze, sebbene le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari non impongano necessariamente di privare i giudici di pace di ferie annuali retribuite corrispondenti a quelle previste per i magistrati ordinari, resta comunque il fatto che tali differenze e, segnatamente, la particolare importanza attribuita dall’ordinamento giuridico nazionale e, più specificamente, dall’articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l’assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell’assolvimento di tali mansioni. In ogni caso, spetta al giudice del rinvio valutare, a tal fine, gli elementi qualitativi e quantitativi disponibili riguardanti le funzioni svolte dai giudici di pace e dai magistrati professionali, i vincoli di orario e le sanzioni cui sono soggetti nonché, in generale, l’insieme delle circostanze e dei fatti pertinenti”

[20] “A tale riguardo, occorre considerare che talune disparità di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all’esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, Motter, C 466/17, EU:C:2018:758, punto 46)”.

[21] Punto 157: “Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalità, l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale (sentenza del 20 settembre 2018, Motter, C 466/17, EU:C:2018:758, punto 44)”.

[22] La denuncia è ancora di Scarselli, op. cit.: “non si valorizza una categoria che fino ad oggi ha svolto funzioni giurisdizionali inserendola nell’ufficio del processo a compenso ridotto; nè la si valorizza prevedendo che ogni sua attività sia sottoposta alle direttive dei giudici professionali, che avranno il controllo pieno dell’operato dei giudici onorari in seno all’ufficio del processo, e avranno egualmente il potere di indirizzo, di controllo e di vigilanza della funzione giurisdizionale dei giudici onorari anche fuori dall’ufficio del processo, prima con le riunioni trimestrali per l’esame delle questioni giuridiche e per la discussione delle soluzioni adottate, e poi con le “specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative” e con la vigilanza “sull’attività dei giudici onorari di pace”, così come espressamente previsto dal comma 15 dell’art. 2 del disegno di legge. Disposizione, quest’ultima, che appare palesemente incostituzionale, perché anche i giudici onorari sono soggetti solo alla legge ex art. 101 Cost., cosicché è impensabile che “Il presidente del tribunale attribuisce ad uno o più giudici professionali il compito di impartire specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative e di vigilare sull’attività dei giudici onorari di pace” (così, espressamente, art. 2, comma 15, ultima parte).

[23] Indennità annuale di € 31.473,00 al lordo degli oneri previdenziali ed assistenziali per i magistrati onorari che esercitano funzioni giudiziarie, € 25.178,00 al lordo degli oneri previdenziali ed assistenziali, per i magistrati onorari inseriti nell’UPP o nell’ufficio di collaborazione del Procuratore della Repubblica e per chi volesse svolgere entrambe le attività, infine, è previsto un importo di € 38.000,00 al lordo degli oneri previdenziali ed assistenziali.

[24] Per esempio una parte speciale e dedicata del contratto dell’area della dirigenza ministeriale come di recente avvenuto con la dirigenza medica ministeriale.

* Forum, coordinato dal Prof. Bruno Capponi, sulla riforma della magistratura onoraria:

“Brevi osservazioni sul testo unificato dei Disegni di legge. S. 1438, S. 1516, S. 1555, S. 1582, S. 1714 in discussione al Senato di “riforma della riforma” della magistratura onoraria” del prof. Federico Russo, https://www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/1377-brevi-osservazioni-sul-testo-unificato-dei-disegni-di-legge-s-1438-s-1516-s-1555-s-1582-s-1714-in-discussione-al-senato-di-riforma-della-riforma-della-magistratura-onoraria, 3 novembre 2020

“Brevissime note sulle ultime proposte di riforma della normativa sui giudici onorari” del Prof. Giualiano Scarselli, https://www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/1374-brevissime-note-sulle-ultime-proposte-di-riforma-della-normativa-sui-giudici-onorari

“Verso quale riforma della magistratura onoraria?” del Prof. Giulio Nicola Nardo https://www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/1375-verso-quale-riforma-della-magistratura-onoraria

“Cui prodest? La riforma della magistratura onoraria tra tutela di diritti negati ed efficienza della Giustizia” hdel Prof. Bruno Caruso e del Pres. Giuseppe Minutoli ttps://www.giustiziainsieme.it/it/magistratura-onoraria/1376-cui-prodest-la-riforma-della-magistratura-onoraria-tra-tutela-di-diritti-negati-ed-efficienza-della-giustizia”
(dalla rivista giustiziainsieme.it)

FacebookTwitterEmailTelegramShare

I Commenti sono chiusi