Caso Shalabayeva: condannati gli imputati


Pubblichiamo un articolo del Corriere della Sera di oggi relativo alla sentenza di primo grado del Tribunale di Perugia sul caso Shalabayeva…

“Roma Più che raddoppiando le pene chieste dalla Procura e non riconoscendo le attenuanti sostenute anche dal pm Massimo Casucci in virtù della carriera degli imputati in ruoli di primissimo piano della polizia, la corte di Perugia presieduta dal giudice Giuseppe Narducci ha inflitto cinque anni di carcere a Renato Cortese, ex capo della squadra mobile di Roma, già direttore del Servizio centrale operativo e oggi questore a Palermo, e altrettanti all’ex responsabile dell’ufficio immigrazione della Questura capitolina e ora a capo della Polfer, Maurizio Improta.

Sono stati ritenuti colpevoli del sequestro di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua nel maggio 2013 in un blitz nella villa di Casalpalocco che puntava alla cattura del dissidente kazako Muktar Ablyazov, sospettato di attività terroristiche poi rivelatesi inesistenti. Per lo stesso reato (dieci dei venti capi di imputazione sono caduti) vengono condannati a cinque anni anche i funzionari della squadra mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia e quelli dell’Ufficio immigrazione Vincenzo Tramma (quatto anni) e Stefano Leoni (tre anni e mezzo). Due anni e mezzo sono stati inflitti all’allora giudice di pace Stefania Lavore (colpevole di falso, non del sequestro). Per Cortese, Improta, Stampacchia e Armeni — tutti presenti in aula — è stata disposta l’interdizione dai pubblici uffici.

Alma Shalabayeva fu prelevata dalla sua residenza romana nonostante avesse diritto all’asilo politico, e rispedita nel Paese d’origine su un aereo privato affittato dall’ambasciata kazaka al termine di un velocissimo iter giuridico-amministrativo. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano fu costretto a riferire in Parlamento e il capo di gabinetto del Viminale, il prefetto Giuseppe Procaccini, si dovette dimettere, mentre il capo della segreteria del Dipartimento della Pubblica sicurezza, Sandro Valeri, andò in pensione anticipata. Ma il coinvolgimento diretto del Viminale non è mai stato provato, né mai la vicenda è arrivata al tribunale dei ministri. Anche su questo verrà incardinato l’appello già annunciato dai difensori perché, senza una catena di comando italiana a gestire il sequestro, di fatto gli imputati avrebbero agito di propria iniziativa: « Che Alma Shalabayeva rimanesse in Italia o fosse espulsa — aveva sottolineato nella sua arringa l’avvocato Franco Coppi —, erano questioni che per Renato Cortese si possono definire assolutamente irrilevanti. Il suo interesse era quello di catturare suo marito, una persona ritenuta all’epoca un pericoloso delinquente». «Imputati ma galantuomini — ha sottolineato l’avvocato Massimo Biffa —. La punta di diamante della polizia. Bisognerebbe essere fieri di essere rappresentati da loro» (Cortese ha partecipato tra l’altro anche alla cattura dei boss Brusca e Provenzano, ndr).

L’accusa di sequestro riguarda anche l’ex ambasciatore Andrian Yelemessov e due funzionari, tutti protetti dall’immunità diplomatica e dunque non processabili, i quali avrebbero organizzato e partecipato alle operazioni, con pesanti ingerenze anche nelle procedure seguite e per le informazioni distorte fornite. Il processo ruotava attorno anche al presunto mancato ascolto delle richieste di asilo politico che la Shalabayeva, protetta da un passaporto con nome falso, avrebbe più volte avanzato ma che Cortese sostiene non ci siano mai state. Ablyazov si trovava allora in Gran Bretagna ed oggi è in Francia, sempre in qualità di rifugiato.

Attraverso il legale Astolfo Di Amato, la donna, tornata a Roma nel dicembre 2013, sottolinea di essere «molto colpita dall’indipendenza della giustizia italiana. Nel mio Paese non sarebbe andata così». L’avvocato ritiene però che ci siano ancora dei punti oscuri: «Nessun imputato aveva un interesse personale — dice —. Chi ha dato gli ordini l’ha fatta franca».”(fonte:corriere.it)

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