Cassazione Penale : inammissibile l’istanza di revisione “europea


Pubblichiamo un’interessante sentenza della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro che aveva rigettata un’istanza di revisione “europea”…
Sent. n. sez.
REGISTRO N.14552/2016
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
– Rel. Consigliere –
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
xxx xxx nato il xxx axxx
avverso l’ordinanza del 27/01/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
sentita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;
lette le conclusioni del PG g. Di Leo che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
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RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Catanzaro respingeva l’istanza di revisione “europea” proposta dalla difesa del xxx (condannato con sentenza del 2 luglio 2007). L’istante aveva dedotto che il processo a suo carico si era svolto senza che fossero rispettate le garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione Edu, nella dimensione emergente dalla sentenza emessa dalla Corte Edu nel caso “Drassich v. Italia” dell’Il dicembre 2007. Nel decidere tale caso la Corte di Strasburgo aveva ritenuto non compatibile con le garanzie convenzionali il difetto di contraddittorio sulla qualifica giuridica assegnata al fatto contestato ex officio all’esito del giudizio di legittimità.
La Corte territoriale respingeva l’istanza rilevando che il xxx non versava nell’Identica condizione sostanziale” del Drassich, dato che, nel suo caso, non vi era stata una modifica della qualifica giuridica del fatto, ma solo «un arricchimento fattuale della condotta ascritta all’imputato».
2. Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione il difensore del xxxche denunciava vizio di legge e di motivazione: la revisione sarebbe stata illegittimamente negata sulla base della valorizzazione della mancata identità di condizione processuale tra il xxx ed il Drassich; l’argomento utilizzato sarebbe fallace in quanto sarebbe stato mutuato dagli argomenti utilizzati dalle Sezioni unite nella decisione relativa al caso “Ercolano”: tale sentenza si riferirebbe ad una situazione diversa da quella che caratterizzava l’istante che si doleva della lesione del diritto difesa derivante «dall’uso distorto degli artt. 516 e ss cod. proc. pen.» (pag. 12 del ricorso), ovvero della riqualificazione del fatto in assenza di contraddittorio, cioè di un vizio che sarebbe omogeneo a quello rilevato nel caso Drassich v. Italia. Nella prospettiva del ricorrente la revisione europea sarebbe funzionale non solo a garantire l’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo nei confronti del ricorrente vittorioso in sede europea, ma anche a tutelare il diritto al processo equo di persone già condannate con sentenze passate in giudicato e non ricorrenti a Strasburgo, che versano in situazioni analoghe a quelle decise con una sentenza “pilota” qualità che andrebbe riconosciuta alla sentenza emessa dalla Corte europea nel caso Drassich.
3. La Procura generale, con requisitoria scritta concludeva per la inammissibilità del ricorso.
4. Con memoria del 22 dicembre 2016 il ricorrente ribadiva le ragioni del ricorso.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1. Il xxx chiedeva la revisione “europea” del processo sebbene non vi fosse alcuna sentenza della Corte Edu emessa nei suoi confronti da eseguire; allegava a sostegno della pretesa la asserita omogeneità della sua posizione a a quella del Drassich, condannato italiano che aveva ottenuto dalla Corte di Strasburgo il riconoscimento della iniquità convenzionale del processo celebrato a suo carico
generata dalla riqualificazione del fatto in assenza di contraddittorio (Corte Edu, 11 dicembre 2007, Caso Drassich v. Italia).
Tale istanza veniva correttamente dichiarata inammissibile dalla Corte territoriale con argomenti in diritto che devono essere corretti nei termini di seguito specificati.
1.2. La revisione “europea” è stata introdotta con intervento additivo della Corte costituzionale (Corte cost. n. 113 del 2011) ed è un istituto funzionale ad “eseguire” le sentenze della Corte di Strasburgo che riconoscono vizi procedurali; il giudicato interno, in seguito al riconoscimento della violazione convenzionale, perde fisiologicamente la sua stabilità, essendo necessario “eseguire” la decisione europea ed emendare i vizi procedurali rilevati attraverso la riapertura del processo consentita da questa forma atipica di revisione.
Essendo un istituto di matrice non legislativa, introdotto dalla sentenza additiva della Corte costituzionale, è a questa che si deve fare riferimento per individuarne la latitudine applicativa. Nel corpo di tale sentenza si legge: «la finalità delle misure individuali che lo Stato convenuto è tenuto a porre in essere è, per altro verso, puntualmente individuata dalla Corte europea nella restitutio in integrum in favore dell’interessato. Dette misure devono porre, cioè, «il ricorrente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non vi fosse stata una inosservanza […] della Convenzione» (ex plurimis, Grande Camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, punto 151; sentenza 10 novembre 2004, Sejdovic contro Italia, punto 55; sentenza 18 maggio 2004, Somogyi contro Italia, punto 86) […] Con particolare riguardo alle infrazioni correlate allo svolgimento di un processo, e di un processo penale in specie, la Corte di Strasburgo, muovendo dalle ricordate premesse, ha identificato nella riapertura del processo il meccanismo più consono ai fini della restitutio in integrum, segnatamente nei casi di accertata violazione delle garanzie stabilite dall’art. 6 della Convenzione. Ciò, in conformità alle indicazioni già offerte dal Comitato dei ministri, in particolare nella Raccomandazione R(2000)2 del 19 gennaio 2000, con la quale le Parti contraenti
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sono state specificamente invitate «ad esaminare i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali allo scopo di assicurare che esistano adeguate possibilità di riesame di un caso, ivi compresa la riapertura di procedimenti, laddove la Corte abbia riscontrato una violazione della Convenzione». I Giudici di Strasburgo hanno affermato, in specie – con giurisprudenza ormai costante – che, quando un privato è stato condannato all’esito di un procedimento inficiato da inosservanze dell’art. 6 della Convenzione, il mezzo più appropriato per porre rimedio alla violazione constatata è rappresentato, in linea di principio, «da un nuovo processo o dalla riapertura del procedimento, su domanda dell’interessato», nel rispetto di tutte le condizioni di un processo equo (ex plurimis, sentenza 11 dicembre 2007, Cat Berro contro Italia, punto 46; sentenza 8 febbraio 2007, Kollcaku contro Italia, punto 81; sentenza 21 dicembre 2006, Zunic contro Italia,
punto 74; Grande Camera, sentenza 12 maggio 2005, (5calan contro Turchia, punto 210). Ciò, pur dovendosi riconoscere allo Stato convenuto una discrezionalità nella scelta delle modalità di adempimento del proprio obbligo, sotto il controllo del Comitato dei ministri e nei limiti della compatibilità con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (tra le molte, Grande Camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, punto 152; Grande Camera, sentenza 1° marzo 2006, Sejdovic contro Italia, punti 119 e 127; Grande camera, sentenza 12 maggio 2005, Ócalan contro Turchia, punto 210) [….]Occorre considerare, d’altro canto, che l’ipotesi di revisione in parola comporta, nella sostanza, una deroga – imposta dall’esigenza di rispetto di
obblighi internazionali – al ricordato principio per cui i vizi processuali restano coperti dal giudicato. In questa prospettiva, il giudice della revisione valuterà anche come le cause della non equità del processo rilevate dalla Corte europea si debbano tradurre, appunto, in vizi degli atti processuali alla stregua del diritto interno, adottando nel nuovo giudizio tutti i conseguenti provvedimenti per eliminarli» (Corte cost. n. 113 del 2013).
Come si apprezza, gli argomenti che il Giudice delle leggi ha posto a fondamento del nuovo caso di revisione rivelano che la ratio dell’intervento è quella di individuare una procedura che consenta alla persona condannata all’esito di un processo giudicato iniquo dalla Corte Edu la restituzione delle garanzie violate. Vale la pena di rilevare che la sentenza della Corte costituzionale limita la funzione “esecutiva” della revisione ai soli casi in cui la Corte europea abbia rilevato vizi procedurali, all’evidenza inemendabili attraverso un intervento “diretto” sul titolo esecutivo, ma eliminabili solo attraverso la riedizione del processo.
1.3. La natura eminentemente “esecutiva” della revisione europea e la sua funzionalizzazione all’emenda degli errores in procedendo rilevati dalla Corte Edu
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non sono compatibili con interpretazioni estensive dell’istituto, tendenti a consentire l’incisione di giudicati relativi a processi relativi che hanno riguardato casi asseritamente analoghi, ovvero connotati dallo stesso vizio procedurale. Tale estensione, come si dirà, non si ritiene praticabile per via interpretativa, neanche quando la sentenza della Corte Edu posta alla base dell’istanza di revisione abbia la qualità di sentenza “pilota”.
Non si condividono pertanto quegli approdi giurisprudenziali che estendono la revisione oltre gli stretti limiti segnati dalla sentenza additiva della Corte costituzionale suggerendone l’utilizzo anche per la riapertura di processi coperti dal giudicato relativi a persone che non hanno proposto ricorso a Strasburgo, e che vantino vizi processuali asseritamente analoghi a quelli rilevati dalla Corte Edu in uno specifico caso (Cass. sez. 1 n. 44193 dell’11\10\2016, Rv 267861); ciò a prescindere dalla natura “pilota” o ordinaria della sentenza europea invocata a giustificazione della revisione (contra per l’utilizzo della revisione in tali casi: Cass. sez. 6 n. 21635 del 02\03\2017, Rv 269945; Cass. sez. 6 n. 46067 del 23\092014, Rv 261690).
Alla base del contenimento della revisione negli stretti limiti tracciati dalla Corte costituzionale si pone la difesa delle situazioni processuali esaurite, ovvero del “giudicato”, ancora oggi presidio ineludibile della certezza del diritto.
Il giudicato, con le precisazioni che di seguito si esporranno, riceve attuale ed incondizionata protezione sia dalla giurisprudenza delle Corti interne, che da quella di Strasburgo.
Sul fronte interno: la Corte di cassazione ha “difeso” il giudicato anche dall’intervento del Giudice delle leggi (sempre che non si traduca in un intervento “abolitivo” della fattispecie criminosa) chiarendo che il provvedimento che dichiara l’illegittimità costituzionale ha efficacia “erga omnes” e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell’annullamento, nel senso che essa incide anche sulle situazioni pregresse, sempre, però, che non si tratti di situazioni giuridiche “esaurite”, e cioè non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall’operatività della decadenza, dalla preclusione processuale (Cass. sez. un, n. 27614 del 29/03/2007, Rv. 236535).
Sul fronte europeo: nel decidere il caso Scoppola la Grande camera della Corte Edu ha chiarito che la conclusione della progressione processuale con la pronuncia della sentenza definitiva impedisce la applicazione di eventuali pene sopravvenute più favorevoli (§§108 e 109 della sentenza), ribadendo con particolare autorevolezza l’impermeabilità delle sentenze definite ai mutamenti di legge ordinaria successivi al giudicato anche se insistenti sul correlato più
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rilevante dell’accertamento di responsabilità, ovvero sulla definizione del trattamento sanzionatorio.
Se la stabilità delle decisioni conseguenti a progressioni processuali esaurite è tutelata, oltre che nei confronti degli interventi legislativi, anche nei confronti delle sentenze della Corte costituzionale che non abbiano effetto abolitivo, non si vede come tale stabilità possa vacillare in relazione alle sentenze della Corte europea, espressive di un “diritto” (in parte di matrice giurisprudenziale) di rango subcosticostizionale, sottoposto esso stesso al controllo del Giudice delle Leggi.
Il “diritto” convenzionale, ovvero le norme della Convenzione nella dimensione emergente dall’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo, non ha infatti alcuna efficacia “diretta”, nel senso che non consente la disapplicazione della norma interna incompatibile ma, nei processi in corso (e solo in quelli) genera dei precisi obblighi in capo al giudice che procede e segnatamente: a) quello di effettuare l’interpretazione conforme alla Convenzione nei termini chiariti dalla sentenza n. 49 del 2015 della Corte costituzionale, ovvero nei casi in cui si riconosca stabilità alla giurisprudenza della Corte Edu rilevante nel caso concreto; b) quello di sollevare la questione di costituzionalità nei casi in cui la conformazione alle indicazioni convenzionali implichi una torsione della norma non praticabile in via interpretativa, sicchè si profila necessaria la valutazione da parte della Corte costituzionale della compatibilità della norma interna con il diritto convenzionale (di rango sovra legislativo) (Corte cost. n. 348 e 349 del 2007 e da ultimo Corte cost. n. 49 del 2015).
Cio’ detto, le sentenze della Corte Edu non hanno dunque alcuna idoneità generale di incidere sulle situazioni “esaurite”, ovvero sugli accertamenti di responsabilità effettuati all’esito di una progressione processuale conclusa sempre che non si risolvano in un caso di abolitio criminis, ovvero di uno dei casi in l’incisione del giudicato è prevista dall’ordinamento (art. 673 cod. proc. pen).
Tale approdo interpretativo non è smentito, ma anzi confermato, dalla sentenza emessa dalle sezioni Unite nel caso “Ercolano” (Cass. sez. un. n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258649).
La sentenza in questione concludeva un percorso giurisprudenziale complesso che aveva visto impegnata sia la Corte Edu (Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola v. Italia), che la Corte costituzionale (sentenza n. 210 del 2013) che avevano entrambe ritenuto violato il principio di legalità del decreto legge 24 novembre 2000 n. 341, camuffata da intervento di interpretazione autentica, che consentiva l’applicazione retroattiva dell’ergastolo nei giudizi abbreviati in
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corso, richiesti quando la pena massima infliggibile secondo la legislazione vigente era di soli trent’anni.
E’ vero che in tale decisione la Cassazione ha esteso l’efficacia della sentenza della Corte Edu emessa nel caso Scoppola v. Italia ai casi analoghi, ovvero alle posizioni di condannati con processi conclusi che versassero nella medesima situazione dello Scoppola, ma – ed è questo il punto decisivo – tale estensione è giustificata dal fatto che la sentenza europea aveva sancito l’illegittimità convenzionale della “pena”, ovvero di un correlato dell’accertamento di responsabilità che genera un rapporto “esecutivo” tra Stato e condannato, che non può dirsi concluso fino a quando la pena non è espiata.
Alla base del riconoscimento della efficacia generale e diffusa del diritto convenzionale emergente dalla sentenza Scoppola, vi è cioè la constatazione che l’esecuzione della pena non poteva considerarsi una situazione “esaurita”, fin tanto che era in corso, ma anzi generava un rapporto processuale attuale e “vitale”.
Si legge nella sentenza “Ercolano”: «v’è, infatti, una radicale differenza tra chi, a fronte di un giudicato interno di condanna ritenuto convenzionalmente illegittimo, propone tempestivamente ricorso alla Corte di Strasburgo con esito positivo e chi, invece, non si avvale di tale facoltà, con l’effetto che il decisum nazionale non è più suscettibile del rimedio giurisdizionale previsto dal sistema convenzionale europeo. In questo secondo caso viene in gioco il tema della vulnerabilità del giudicato, con particolare riferimento, avuto riguardo al caso in esame, alla legittimità dell’esecuzione della pena inflitta. E’ certamente vero che la portata valoriale del giudicato, nel quale sono insite preminenti ragioni di certezza del diritto e di stabilità nell’assetto dei rapporti giuridici, è presidiata costituzionalmente e non è, del resto, neppure estranea alla CEDU, tanto che la stessa Corte di Strasburgo ha ravvisato nel giudicato un limite all’espansione della legge penale più favorevole, conclusione avallata anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 2011 in materia di applicazione dei termini di prescrizione più brevi introdotti dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251. Vi sono tuttavia argomenti di innegabile solidità che si oppongono all’esecuzione di una sanzione penale rivelatasi, successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima. L’istanza di legalità della pena, per il vero, è un tema che, in fase esecutiva, deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolata dal dato formale della c.d. “situazione esaurita”, che tale sostanzialmente non è, non potendosi tollerare che uno Stato democratico di diritto assista inerte all’esecuzione di pene non conformi alla CEDU e, quindi, alla Carta fondamentale» (Cass. sez. un. n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258650).
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La esclusione della fase esecutiva della pena dall’area semantica dei “rapporti esauriti” e dunque intangibili è stata confermata anche dalla decisione delle Sezioni unite, pronunciata nel caso “Gatto”: in tale sentenza il massimo consesso ha stabilito che quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma incidente sul trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente “medio tempore” approvate dal legislatore (Cass. sez. un. n. 42858 del 29/05/2014, Rv. 260697). Si tratta anche in questo della presa d’atto della vitalità della fase esecutiva della sanzione che non è indifferente alle dichiarazioni di incostituzionalità delle norme che disciplinano la definizione del trattamento sanzionatorio, essendo necessario un costante controllo di legalità costituzionale della sanzione inflitta fintanto che la stessa non sia stata del tutto espiata.
Vale la pena di rimarcare che la vicenda Ercolano si caratterizza non solo per l’intervento post iudicatum della sentenza emessa dalla Corte Edu in un caso analogo (ovvero nel caso “Scoppola”), ma anche per l’intervento del Giudice delle leggi che con la sentenza n. 210 del 2013 confermava la violazione del principio di legalità conseguente alla applicazione retroattiva dell’ergastolo.
Il doppio e coerente intervento delle Alte Corti, unitamente al fondamentale riconoscimento della “vitalità” del rapporto processuale correlato alla esecuzione della pena generava la necessità di riallineare “tutte” le sanzioni in corso di esecuzione ai parametri di legalità convenzionale e costituzionale anche se la loro violazione era stata accertata dopo la conclusione della progressione processuale, cioè dopo la formazione del c.d. “giudicato”, termine che all’evidenza assume oggi una configurazione più complessa (dovendo essere meglio inquadrato come rapporto processuale integralmente esaurito).
La fase esecutiva della pena, e dunque la stessa definizione del trattamento sanzionatorio, nella interpretazione offerta dalle sezioni Unite si colloca invece fuori dall’area dei rapporti “esauriti”, essendo la fase esecutiva un postumo dell’accertamento processuale vitale e non concluso, che deve rispettare i parametri di legalità “alta”, ovvero di matrice costituzionale e convenzionale, restando impermeabile solo ai mutamenti derivanti dalle fonti di grado
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legislativo (in tal senso Cass. sez. un. n. 42858 del 29/05/2014, Rv. 260697, Gatto).
1.4. L’estensione degli effetti della sentenza della Corte Edu Scoppola v. Italia anche ai casi analoghi si fonda dunque sulla rilevazione di una illegalità che incide sulla pena9 che si riverbera sulla fase della sua esecuzione, ovvero su un segmento processuale che presuppone l’accertamento di responsabilità ma che ha una sua autonomia e vitalità che lo estrae dall’area delle situazioni “esaurite”, la cui stabilità è protetta anche dagli interventi delle Alte corti, sempre che questi non si traducano in un intervento abolitivo.
Dunque: alle sentenze della Corte di Strasburgo non è riconoscibile, in via generale ed astratta, nessuna capacità di incidere sulle situazioni “esaurite”, ovvero sui giudicati non sottoposti al suo diretto vaglio. Pertanto non sono condivisibile le istanze di estensione dell’area di applicabilità della revisione “europea”, istituto che, si ripete, è caratterizzato da una limitata ratio “esecutiva”, ed utilizzabile solo per eseguire specifiche sentenze della Corte di Strasburgo che abbiano rilevato un vizio procedurale emendabile solo con la riedizione del processo.
1.5. Né tale estensione dell’area di operatività della revisione è legittimata dal riconoscimento della natura “pilota” della sentenza della Corte edu della quale si invoca l’estensione.
A stretto rigore una sentenza può definirsi “pilota” quando la Corte europea abbia attivato la procedura prevista dall’art. 61 del regolamento che disciplina i casi in cui si registri un numero significativo di ricorsi relativi al medesimo caso, o, quando i fatti di un ricorso rivelino l’esistenza di un problema strutturale o sistemico o altre disfunzioni dello Stato convenuto, che potrebbero generare ulteriori ricorsi. In tali casi la Corte può 12t1 selezionare uno o più ricorsi fra quelli da trattare in via prioritaria e rinviare l’esame dei rimanenti casi omogenei. Quando tratta i casi prioritari, la Corte cerca di trovare una soluzione che vada oltre il particolare caso in esame, così da poter riguardare più in generale tutti i casi omogenei che sollevano la medesima questione. Nel pronunciare le sentenze pilota, la Corte Edu dispone che lo Stato convenuto adegui la propria normativa interna ai dettami della Convenzione di modo che a tutti gli altri ricorrenti, attuali o potenziali, sia garantita giustizia. Qualora lo Stato non adotti adeguate misure, la Corte Edu lo condannerà in tutti í ricorsi dei quali aveva precedentemente disposto il rinvio.
Dunque: è primariamente la Corte Edu che stabilisce quando una sentenza è da qualificare come “pilota”; si tratta di casi in cui Qa Corte è investita di un numero considerevole di ricorsi omogenei sicché ritiene opportuno deciderne uno, “esemplare”, e rinviare gli altri, indicando allo Stato le misure generali da
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adottare; in tale caso la Corte si spinge infatti ad indicare espressamente “quali” sono le misure necessarie per affrontare il problema strutturale rilevato (nei confronti dell’Italia, per esempio, la procedura della “sentenza pilota” è stata attivata nel caso “Torreggiani”, Corte Edu, II sez. 8 gennaio 2013, riguardante le condizioni carcerarie, ritenute frutto di violazioni sistemiche e vizi strutturali). L’inquadramento di una sentenza come “pilota” può tuttavia discendere anche dalle sue caratteristiche “sostanziali”: la Corte costituzionale nella sentenza 210 del 2013 (con valutazioni fatte proprie anche dalla sentenza emessa dalle Sezioni Unite nel caso Ercolano: Cass. sez. un. n 18821 del 24\10\2013, § 3.1) ha, infatti legittimato una nozione “sostanziale” della sentenza “pilota” andando oltre il dato formale costituito dalla scelta della procedura speciale da parte della Corte di Strasburgo. Tale qualifica sostanziale è stata riconosciuta, per esempio, alla sentenza emessa nel caso “Scoppola v. Italia”; la Consulta ha chiarito che il contenuto rilevante di tale sentenza, vale a dire la parte di essa rispetto alla quale si forma l’obbligo posto dall’art. 46, paragrafo 1, della CEDU» ha una portata più ampia di quella che emerge dal dispositivo, sicché «fondatamente la Corte di cassazione ha ritenuto che la sentenza Scoppola non consenta all’Italia di limitarsi a sostituire la pena dell’ergastolo applicata in quel caso, ma la obblighi a porre riparo alla violazione riscontrata a livello normativo e a rimuoverne gli effetti nei confronti di tutti i condannati che si trovano nelle medesime condizioni di Scoppola» (Corte cost. n. 210 del 2013).
La qualità, formale o sostanziale, di sentenza pilota della Corte edu non ha tuttavia il potere di assegnare al diritto convenzionale da essa scaturente la capacità di incidere su situazioni processuali esaurite, capacità che non è riconosciuta neanche alle sentenze della Corte costituzionale, ovvero dell’organo deputato ad effettuale il vaglio di compatibilità costituzionale dello stesso diritto convenzionale.
Tale approdo interpretativo è confermato dal fatto, che quando si verta in un caso di sentenza dichiarata “pilota” in senso formale la relativa procedura, si fonda sulla rilevazione di una violazione sistemica, ma non si rivolge nei confronti delle situazioni “esaurite”, bensì esclusivamente nei confronti delle violazioni “attuali”, dato che implica il congelamento dei ricorsi pendenti e la predisposizione di misure generali per impedire ricorsi futuri. Peraltro la speciale procedura prevista dall’art. 61 del regolamento della Corte Edu non individua un rimedio attivabile una volta per tutte, ma prevede la possibilità per la Corte di indicare rimedi ad hoc, tarati sulla specificità della violazione sistemica ogni volta rilevata.
Nel caso di specie, peraltro ivcollegio ritiene che alla sentenza “Drassich v. Italia” non sia riconoscibile la qualifica di sentenza “pilota”, né con riguardo ai profili
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formali (non essendo stata attivata dalla Corte europea la specifica procedura che caratterizza le sentenze pilota), né con riguardo alle caratteristiche sostanziali. La Corte Edu, infatti, lungi dal rilevare casi di violazione convenzionale sistemica, in tale pronuncia ha analizzato il caso concreto alla luce della giurisprudenza europea, ed ha ritenuto che la qualifica del fatto contestato come corruzione semplice, nella più grave fattispecie di corruzione in atti giudiziari, siccome effettuata nell’ultimo grado di giudizio, senza la possibilità di attivare il contraddittorio abbia costituito, nel caso sottoposto al suo esame, una specifica violazione dell’art. 6 della Carta di Roma.
1.6. In conclusione si ritiene che: l’incisione del giudicato a seguito dell’intervento di sentenza della Corte europea possa avvenire con lo strumento della revisione solo se si tratta di “eseguire” la specifica decisione emessa dalla Corte Edu nei confronti della medesima persona che ha ottenuto la condanna dello Stato italiano, e sempre che la restituito in integrum sia effettuabile esclusivamente attraverso la riapertura e dedizione del processo.
L’intervento di una sentenza della Corte Edu che rileva un vizio procedurale jjr non legittima la revisione di processi già conclusi relativi a casi analoghi che non sono stati sottoposti al vaglio della Corte sovranazionale.
Né può ritenersi che l’obbligo di riallineamento delle pene in corso di esecuzione ai parametri di legalità costituzionale e convenzionale indicati dalla Cork costituzionale e dalla Corte Edu, che è stato legittimato dalle Sezioni unite nei caso “Ercolano” e “Gatto”, possa essere esteso ai casi in cui il rapporto processuale risolti concluso: l’estensione si fonda, infatti, proprio sul fatto che l’esecuzione della pena non è un rapporto “esaurito”, il che richiede che la stessa rispetti i parametri indicati dalle fonti sovralegislative, anche se definiti con sentenze europee intervenute dopo la conclusione della progressione processuale, ma prima della fine del rapporto di esecuzione della pena.
Ciò in quanto gli interventi della Corte Edu non hanno alcuna idoneità ad incidere i giudicati formatisi su situazioni “esaurite” diverse da quelle che sono state giudicate a Strasburgo, con la prevedibile eccezione, deve ritenersi, delle sentenze che, di fatto, si risolvano in una abolitio criminis, la cui portata generale non sia discussa (per la prevalenza sul giudicato quando l’abolitio criminis sia l’effetto di pronuncia della CGUE: Cass. sez. 6 n. 9028 del 5\11\2010, Rv 249680, nonché in generale Cass. sez. un. n. 12602 del 17\12\2015, Rv 266818).
Si ribadisce che la “revisione europea” è un evento lato sensu “esecutivo”, che presuppone una pronuncia della Corte di Strasburgo che insiste sullo stesso processo che si intenda revisionare. La riapertura del processo è inoltre
legittima solo nei casi in cui la
restituito in integrum conseguente
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all’accertamento di una violazione convenzionale possa essere attuata esclusivamente attraverso la riedizione del processo. Tale strumento non è pertanto utilizzabile: a) per la riapertura del processo in casi asseritamente “analoghi” e relativi a situazioni processuali esaurite; b) per la correzione di violazione in relazione alla quali non sia necessario ripetere l’accertamento processuale, ma sia possibile emendare il difetto rilevato nel caso di specie dalla Corte europea attraverso un intervento del giudice dell’esecuzione; c) per dare attuazione a c.d. “sentenze pilota” (tra le quali, peraltro, non si annovera la pronuncia “Drassich v. Italia”) che non incidano su rapporti in corso, tra i quali si annovera il rapporto tra Stato e condannato durante l’esecuzione della pena. 1.7. Nel caso di specie la Corte territoriale riteneva l’istanza di revisione europea inammissibile in quanto non rispettava i parametri indicati nella sentenza “Ercolano” in ragione della diversità di posizione tra ricorrente ed il Drassich. L’inammissibilità del ricorso è stata correttamente dichiarata, sebbene ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen. debbano essere corrette le ragioni di diritto offerte a sostegno della decisione.
Il principio espresso dalle Sezioni unite nel caso “Ercolano” non è infatti applicabile in relazione alla istanza del ricorrente che: a) non chiede l’estensione di un intervento generale della Corte edu incidente sui rapporti processuali in corso, quale quello relativo alla esecuzione della sanzione, b) non vanta nessuna vittoria processuale a Straburgo da eseguire in Italia; c) nonostante la sua situazione processuale sia ineluttabilmente esaurita e coperta dal giudicato chiede l’estensione dell’effetto della pronuncia Drassich. v. Italia al suo caso asserendo erroneamente, sia la natura di sentenza pilota della sentenza europea, che l’analogia della sua situazione a quella decisa a Strasburgo.
Come si è detto, lo strumento introdotto dalla pronuncia additiva n. 113 del 2001 della Corte Costituzionale ha efficacia lato sensu “esecutiva” limitata ai casi in cui debba essere eseguita una pronuncia di Strasburgo, che richieda una restituzione attuabile esclusivamente attraverso la riedizione del processo, e non risolvibile con l’incidente di esecuzione. Tale strumento non è, invece estensibile a casi asseritamente analoghi; né, si ripete, possono al riguardo farsi valere i principi espressi dalle Sezioni Unite nel caso Ercolano, che consentono il riallineamento del trattamento sanzionatorío delle pene in corso di esecuzione ai parametri di legalità emersi da una pronuncia della Corte Edu successiva alla formazione del giudicato, sulla base del fatto che l’esecuzione della pena non è un rapporto “esaurito”, ma attuale e vitale, e che dunque deve rispettare i parametri di legalità “alta”, ovvero di matrice sovralegislativa.
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2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in € 1500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500.00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 20 giugno 2017
L’estensore

Il Presidente
DEPOSITATO IN CANCELLERIA SECONDA SEZIONE PENALE
0 7 SET. 2017
H Cancelliere

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