Consiglio di Stato: riformata la sentenza del Tar Lazio n.2186/09

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Pubblichiamo su richiesta la sentenza del Consiglio di Stato n.9380/10 relativa alla riforma di una sentenza del Tar Lazio che aveva accolta la tesi del CSM in relazione all’irrogazione della sanzione della censura ad un giudice di Pace per comportamenti personali dello stesso giudice…

N. 09380/2010 REG.SEN.

N. 05232/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5232 del 2009, proposto da:
P. E., rappresentato e difeso dall’avv. Donato Pennetta, con domicilio eletto presso Alfredo Casilini in Roma, via Vespasiano N.60;

contro

Ministero della Giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 02186/2009, resa tra le parti, concernente SANZIONE DISCIPLINARE DELLA CENSURA

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Consiglio Superiore della Magistratura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2010 il Cons. Armando Pozzi e uditi per le parti gli avvocati Forrisi su delega di Pennetta e l’avv. dello Stato Melillo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato 9 maggio 2008 il dr. Picone – giudice di pace di Avellino — ha impugnattoi innanzi al TAR del Lazio, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in data 28 febbraio 2008, con la quale è stata applicata la sanzione disciplinare della censura, nonché il decreto di recepimento. di pari data, del Ministero della Giustizia e della relazione del Presidente vicario del Tribunale di Avellino del 29 novembre 2006.

Con il predetto ricorso il dr. P. ha sollevata vari motivi di illegittimità: in sintesi, difetto di motivazione, eccesso di potere, arbitrarietà e apoditticità delle impugnate determinazioni.

Il T.A.R. del Lazio ha respinto, in sede cautelare, la domanda di sospensione (ordinanza n. 2763/08) e, con sentenza n. 2186/2009 , ha rigettato il ricorso.

Tale pronuncia è stata impugnata dall’interessato con atto notificato il 9 giugno 2009, nel quale viene formulato il seguente, articolato motivo, sostanzialmente riproduttivo delle censure mosse in primo grado:

– Error in procedendo; Error in iudicando; Eccesso di potere sotto il profilo della carenza e/o del difetto assoluto di istruttoria, nonché dell’assenza dei presupposti di fatto; Violazione dei principi del giusto procedimento nonché della disciplina relativa all’organizzazione interna del C.S.M.; Eccesso di potere sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione, nonché della illogicità manifesta.

Dopo un’ampia ricostruzione in fatto relativa al diverbio con un avvocato che ha portato all’irrogazione dell’impugnata sanzione disciplinare, il dr. P. lamenta che il Giudice di prime cure ha ritenuto che “alcuna critica possa essere mossa all’Organo di Autogoverno “, in quanto, pur constatando una carenza di istruttoria, ne ha addebitato la responsabilità al ricorrente che non ha “chiesto l’audizione di tali soggetti — cioè gli avvocati presenti al presunto diverbio del 14. 3.2006 — nel corso del procedimento svoltosi innanzi al C.S.M., indirizzando così l’istruttoria dell’Organo di Autogoverno “; di conseguenza, lo stesso Giudice Amministrativo ha ritenuto sufficiente, ai fini del decidere, la relazione del Presidente del Tribunale.

Tale statuizione sarebbe ingiusta e violativa dei principi sull’onere probatorio. Inoltre, si contesta che le condotte addebitate in sede disciplinare siano state adeguatamente ed approfonditamente accertate nel loro materiale verificarsi, atteso che né nella relazione del Presidente del Tribunale di Avellino, né nella proposta del Presidente della Corte d’Appello, né nella delibera del CSM vi sarebbero riferimenti documentati ai fatti accaduti e riscontrati il 14 marzo 2006, cioè il giorno successivo dell’udienza nel corso della quale sarebbe insorto il contrasto con l’avvocato che ha poi presentato l’esposto nei confronti del magistrato..

Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, resistendo all’appello del quale deducono l’infondatezza.

Con ulteriore memoria parte appellante ha illustrato i motivi del gravame.

Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appellante, nominato Giudice di Pace nel 1999 e dal dicembre 2005 assegnato presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Avellino, nel corso di un’udienza tenuta il 13.4.2006 ebbe un divario di opinioni di diritto processuale con il difensore della parte attrice in un procedimento civile. Il predettop divario degenerò il giorno seguente in un vero alterco, negli uffici del Giudice di Pace di Avellino, ove, in occasione di un casuale incontro, l’appellante aveva cercato di spiegare all’ avvocato , in modo sereno e pacato, che il comportamento da costui tenuto il giorno precedente in udienza non poteva ritenersi deontologicamente corretto e che comunque non poteva pretendersi l’emanazione di un provvedimento ordinatorio in presenza della eccepita incompetenza ratione valoris, venutasi a determinare a seguito della domanda riconvenzionale da parte della ditta convenuta. Per tutta risposta l’avvocato avrebbe replicato con tono di voce alto, pronunciando frasi irrispettose della funzione giurisdizionale e presentato un esposto.

Con l’appello in esame il magistrato onorario lamenta che il C.S.M. avrebbe apoditticamente accettato la versione fornita dall’avvocato esponente e che il TAR abbia condiviso tale valutazione dei fatti addebitandogli un onere di indicazione testimoniale che non solo aveva adempiuto fornendo il nominativo di un collega presente alla discussine, ma che non gli era richiesto , dovendo l’organo disciplinare procedere lui alla debita e compiuta istruttoria dei fatti.

esponente.

Rappresenta ancora che, mentre il Consiglio Giudiziario di Napoli ha proposta l’archiviazione del procedimento disciplinare, il Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto, invece, di irrogare la sanzione della censura, impugnata con il presente ricorso.

2 – L’appello è fondato.

Meritano accoglimento le censure di difetto di istruttoria, di illogicità e carenza di motivazione da parte del C. S. M..

Vale, al riguardo, ricostruire il quadro fattuale nell’ambito del quale si colloca il presente contenzioso, così come esposto nell’appellata sentenza del TAR e, poi, verificarne l’attendibilità e verisimiglianza alla luce della documentazione versata in atti.

3 – In data 2 marzo 2007 il Presidente della Corte d’Appello di Napoli procedeva a contestare al ricorrente in primo grado, attuale appellante, la violazione del dovere di diligenza, “per avere tenuto un comportamento scorretto nei confronti dell’avv. P. al quale, in data 14 marzo 2006, avvicinandosi con fare intimidatorio e ad alta voce, proferiva, alla presenza di diversi avvocati, la minaccia di querela se avesse presentato un esposto circa la mancata assunzione, nel corso dell’udienza del 13 marzo 2006, del libero interrogatorio delle parti e dell’esperimento del tentativo di conciliazione nella causa Iovino – Dell’Erba”.

4 – La predetta contestazione traeva origine dall’esposto inviato dallo stesso avv. P., di Avellino, e veniva formulata anche all’esito della nota del Presidente Vicario del Tribunale di Avellino, dr. F. P., in data 29.11.2006, nella quale si riassumeva l’istruttoria, svolta anche con assunzione di informazioni.

In data 29 marzo 2007, il dr. P. depositava memoria difensiva, nella quale respingeva le conclusioni alle quali era pervenuto il Presidente Vicario.

In data 18 maggio 2007 il Presidente della Corte d’Appello di Napoli formulava al Consiglio Giudiziario proposta di irrogazione della sanzione della censura. All’esito della discussione, peraltro, il Consiglio territoriale deliberava l’archiviazione del procedimento.

5 – Il C.S.M. ha ritenuto di disattendere l’avviso espresso dal Consiglio Giudiziario, alla luce, in particolare, delle informazioni assunte dal Presidente Vicario del Tribunale di Avellino, nelle quali si legge, in particolare, che l’assunzione a verbale dell’avv. P., ha confermato quanto rappresentato nell’esposto scritto, fornendo ulteriori dettagli che rendono credibile e circostanziata la narrazione dei fatti.

Il Presidente Vicario ha, inoltre, fornito “le proprie personali conoscenze del temperamento del dr. P., a lui direttamente noto in ragione dei pregressi rapporti d’ufficio tra loro da anni intercorsi, esponendo episodi di fatto che renderebbero verisimili i fatti attribuiti al dr. P., riferiti – a detta dello stesso Dirigente dell’Ufficio giudiziario – al sistematico ricorso, da parte del giudice di pace sottoposto a procedimento disciplinare, “ a modalità verbalmente aggressive quale reazione ad episodi di contrasto d’ufficio”.

In ragione della gravità dei fatti accertati, il Consiglio Superiore ha, quindi, irrogato la sanzione della censura.

6 – Sulla base di tale quadro fattuale esposto in motivazione, il Tribunale ha reputato che alcuna critica potesse essere mossa all’Organo di autogoverno.

In particolare, l’appellata sentenza ha rilevato che il diverbio dal quale ha avuto origine l’esposto dell’avvocato P. si è svolto infatti il giorno successivo all’udienza del 13 marzo 2006, e, pertanto, alcun utile apporto, ai fini della ricostruzione dei fatti, avrebbero potuto dare le testimonianze degli altri avvocati alla stessa presenti.

Solo in sede di memoria conclusionale e note di udienza, a detta del TAR, il ricorrente avrebbe precisato che il preteso difetto d’istruttoria riguardava la mancanza audizione degli avvocati presenti il giorno successivo, i quali avrebbero assistito al diverbio oggetto dell’esposto.

Su tale punto, però, la sentenza osserva che di tali soggetti l’interesssato non avrebbe chiesto l’audizione nel corso del procedimento svoltosi innanzi al C.S.M., indirizzando così l’istruttoria dell’Organo di Autogoverno.

7 – Sulla base di tali premesse, il Giudice di primo grado, ricordato che il potere di sorveglianza sugli uffici del giudice di pace spetta al presidente del tribunale territorialmente competente, in forza di espressa delega ex art. 16 della legge n. 374/1991, ha rilevato che nel caso di specie non sarebbe possibile “ ridurre la relazione del Presidente vicario del Tribunale di Avellino a meri apprezzamenti soggettivi, privi di riscontro probatorio, laddove si consideri che in essa si fa riferimento a pregressi episodi, specifici e circostanziati (già riportati in altre relazioni e/o segnalazioni, allegate in atti dallo stesso ricorrente), in cui il dr. P. ha reagito ad episodi di contrasti in ufficio con modi verbalmente aggressivi, del tutto analoghi a quelli che hanno originato l’esposto “.

8 – L’argomentare del TAR non convince, proprio alla luce dela documentazione versata in atti nel fascicolo di primo grado, di cui lo stesso Tribunale non mostra di avere fatto corretta, adeguata e completa lettura.

Anzitutto, l’appellante aveva dimostrato come le circostanze addotte nell’esposto dell’avv. P. fossero tutt’altro che univoche ed incontestate.

L’interessato, al riguardo, ha versato in atti la dichiarazione di altro legale del Foro di Avellino, V. C., in data 6.5.2008, nella quale si riferisce che “ il dr. Picone, nello scambiare in tono amichevole il saluto con l’avvocato P., “, quest’ultimo “ per tutta risposta e in tono minaccioso gridò ad alta voce < < GIUdice Picone, voi con me siete partito proprio con il piede sbagliato >>”, al che il magistrato, “ con evidente segno di contrarietà, riprese a salire le scale senza proferire alcuna altra parola “.

A questa dichiarazione, che smentisce l’esposizione dei fatti addebitati al dr. Piconi, si accompagna altra dichiarazione di diverso legale, il quale, riferendo dell’andamento dell’udienza verosimilmente del 13.3.2006, narra di avere assistito ad una “ eccessiva ed inusuale protesta dell’avv. P., nei confronti del Giudice Picone, il quale, per la verità, riuscì a conservare un comportamento assolutamente sereno e rispettoso”.

9 – A fronte di questi dati documentali ( indubbiamente favorevoli all’appellante ) non solo non smentiti ma neppure citati e vagliati nell’appellata sentenza, si pone la corposa relazione del Presidente vicario del Tribunale di Avellino, nella quale, in estrema sintesi, sulla premessa che “ quanto riferito dall’avv. P. trova riscontro in precedenti analoghi atteggiamenti e comportamenti a dir poco irriguardosi “ si descrive il dr. P. come un magistrato onorario dal “ comportamento ribelle, provocatorio ed irriguardoso “; il tutto riferito prevalentemente, a quanto consta di comprendere dal tenore della predetta relazione, ai rapporti con il personale.

10 – In relazione a tale aspetto ambientale, merita menzione la relazione del Presidente del Tribunale di Avellino in data 20 giugno 2003, dalla quale emegono elementi contrastanti e non univoci, dai quali, se da un lato traspare una situazione di contrasto con il personale, dall’altro essa sembra di origine non univoca, ipotizzandosene la scaturigine da comportamenti di contrasto del dr. Picone a prassi del personale e del foro “ quanto meno discutibili “ ed escludendosi che il conferimento o la conferma della funzione giurisdizionale del dr. P. “ siano condizionati dal gradimento del personale amministrativo “.

In altri termini, la citata relazione non sembra escludere la possibilità che i contrasti interpersonali con taluni dipendenti ed una parte del foro siano imputabili ad atteggiamenti di rigore del magistrato onorario.

Neppure va sottaciuto che nella citata relazione del 2003 l’appellante viene descritto come giudice di normale laboriosità e diligenza nell’ambito dell’Ufficio di Montorio superiore.

11 – Sempre con riguardo ai rapporti con il personale amministrativo, non va sottaciuto quanto emerso nel corso del procedimento penale instaurato innanzi al G. d P. di Roma , per il reato di cui all’art. 594 c.p. ( ingiuria ) a carico di una dipendente dell’Ufficio giudiziario coordinato dal dr. Picone e conclusosi con la condanna della dipendente.

– In conclusione, il quadro complesso e non univoco delle circostanze fattuali e l’andamento non lineare del procedimento ( parere favorevole del C. G. ) avrebbero dovuto indurre l’organo disciplinare ad una più approfondita ed esauriente istruttoria sui concreti fatti ed accadimenti del singolo illecito disciplinare addebitato al giudice P.; istruttoria che, invece, in concreto, si è basata esclusivamente sulle considerazioni di ordine generale, caratteriale e comunque non univoche, del Presidente vicario del Tribunale di Avellino.

Le spese possono compensarsi in relazione alla complessità fattuaale della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

Accoglie l ‘appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso avverso il provvedimento impugnato .

Spese compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Armando Pozzi, Presidente FF, Estensore

Vito Poli, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/12/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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