CIR: solo con l’integrazione possiamo aiutare i rifugiati

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“Christopher Hein: “Ma solo con l’integrazione possiamo aiutare i rifugiati”
Il consigliere strategico del Cir accoglie con favore le nuove regole annunciate dal ministro di Grazia e giustizia Orlando: “Occorre strappare questa gente da chi la sfrutta”

“IL mio lavoro è difendere i rifugiati e qualsiasi intervento legislativo riesca ad accorciare i tempi biblici con i quali l’Italia risponde alle richieste di protezione internazionale non può che trovarci d’accordo. Dare una bella sforbiciata all’iter giudiziario non vuol dire ledere i diritti dei richiedenti asilo. I problemi in Italia sono ben altri”. Christopher Hein, consigliere strategico del Cir, il Consiglio italiano rifugiati, accoglie con favore le nuove regole annunciate dal ministro di Grazia e giustizia Orlando.

Consigliere, l’abolizione del secondo grado di giudizio sulle richieste di protezione internazionale proposto da Orlando è un rischio per chi chiede asilo in Italia?
“Non direi. I tempi con cui i richiedenti asilo ottengono risposta definitiva in Italia sono davvero inaccettabili. Il ricorso contro la decisione del tribunale di primo grado ha effetti di sospensiva e quindi nel frattempo il migrante non può essere espulso, questo è vero, mentre dopo il secondo grado non è più cosi. Ma questo non incide molto. In Italia il vero nodo sta proprio nei tribunali, non solo per i tempi della giustizia italiana ma soprattutto per l’inadeguatezza di chi decide che si occupa un giorno di affido, un giorno di controversie civili e un giorno di protezione internazionale.
In Francia, ad esempio, questa non è neanche materia di tribunale, c’è una commissione specializzata, che si occupa solo di questo e con grande competenza, l’importante è garantire la totale indipendenza di questa commissione. È un modello che funziona, esportato in altri paesi europei, anche in Grecia”.

Anche le nuove norme proposte dal governo italiano prevedono sezioni specializzate di giudici.
“E questo è un grosso passo in avanti. Dovrebbe essere un modello esteso anche alle commissioni territoriali, il primo scoglio davanti al quale si ritrova chi chiede protezione internazionale. Commissioni e tribunali dovrebbero essere composti da persone competenti, formate, aggiornate sulle situazioni dei paesi di provenienza dei migranti. E sarebbe anche molto opportuno il coinvolgimento di esponenti dell’Unhcr nelle commissioni di seconda istanza. Sa quanti no a ragazze nigeriane vittime di tratta sono stati poi corretti per fortuna in sede giudiziaria? Il 70 per cento dei ricorsi al tribunale contro le decisioni delle commissioni territoriali viene accolto. Purtroppo in Italia per troppo tempo il sistema non ha dato la giusta importanza all’istituto dell’asilo e ora che i numeri sono in crescita i nodi vengono al pettine”.

Per chi ottiene alla fine il permesso di soggiorno resta il problema del dopo e dell’integrazione. In che direzione dovrebbe muoversi l’Italia?
“Il vero problema dell’Italia è proprio questo. Le persone ricevono un permesso di soggiorno o lo status di rifugiato e poi non sanno dove andare e finiscono in campi di raccolta di pomodori a farsi sfruttare in modo ovviamente illegale dai caporali o finisce comunque per andare all’estero anche se ha ottenuto il permesso in Italia. Qui non esiste un vero programma di integrazione che, proprio per evitare derive xenofobe, sarebbe un bene anche per la popolazione ospitante. In Italia l’approccio è sempre quello dell’emergenza. Lampedusa, la Sicilia, gli sbarchi, la prima accoglienza, certo è un impegno non indifferente ma bisogna fare uno sforza in più e guardare al futuro, chiedersi cosa succederà tra cinque anni”.

Insomma, quello che lei sollecita è una sorta di piano di integrazione?
“Assolutamente sì. Se si vuole accogliere veramente questa gente non basta accorciare i tempi dell’iter burocratico. Si è vero, il loro futuro, il loro destino dipende tutto da un foglio di carta che decide se possono restare in Italia o no ma occorre fare un piano almeno biennale di integrazione. La proposta in parlamento c’è già, solo che tutti dicono che si deve fare ma non deve avere un costo. E come si fa? Integrazione vuol dire dare a questa gente la possibilità di seguire corsi di lingua, di fare stage e tirocini presso aziende, ma tutto questo ha un costo. Manca uno spirito di investimento per il futuro. Ora, io non voglio fare il difensore delle politiche della Germania ma lo sa quest’anno quanto ha investito la Germania?”.

No, ci dica lei.
“Un miliardo e cento milioni di euro solo per i corsi di lingua per i rifugiati. Vuol dire che su questa gente il governo tedesco intende investire”
di ALESSANDRA ZINITI (fonte:repubblica.it)

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