Cassazione: Alcol venduto a minorenni, la dipendente del bar non sempre è responsabile

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“L’articolo 689 del codice penale (somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente) prevede un reato che può essere commesso dall’esercente del locale pubblico, dai soggetti che possono risponderne a titolo di concorso col primo ai sensi dell’art. 110 c.p. (pena per coloro che concorrono nel reato) e anche dal dipendente che assuma di fatto il ruolo e l’iniziativa dell’esercente. Lo afferma la Cassazione nella sentenza 25480/15.

Il caso

Il giudice di pace di Vipiteno condannava un’imputata ai sensi dell’art. 689 c.p. (somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente). Secondo le accuse, la donna, in qualità di dipendente di un locale pubblico, aveva somministrato a due minori delle birre. L’imputata ricorreva in Cassazione, deducendo di aver servito delle bevande soltanto per aiutare il titolare del locale, un suo amico, il quale era stato ugualmente deferito all’autorità giudiziaria. Richiamando la sentenza n. 27706/11, ricordava che il dipendente può essere chiamato a rispondere della contravvenzione contestata, insieme all’esercente del locale, soltanto se abbia agito di sua esclusiva iniziativa.

Nel caso, il titolare somministrava bevande alcoliche o ne seguiva la somministrazione. Inoltre, lamentava la mancata valutazione della circostanza che i ragazzi avevano un’età prossima a quella consentita e che, all’entrata del locale, un altro dipendente si occupava di verificare l’età degli avventori. Perciò, non poteva riscontrarsi alcuna colpa nella sua condotta. La Cassazione ricorda che l’art. 689 c.p. prevede una fattispecie qualificabile come reato proprio, che può essere commesso dall’esercente del locale pubblico, dai soggetti che possono risponderne a titolo di concorso col primo ai sensi dell’art. 110 c.p. (pena per coloro che concorrono nel reato) e anche dal dipendente che assuma di fatto il ruolo e l’iniziativa dell’esercente. Nel caso, la ricorrente somministrava le bevande in qualità di cameriera al banco, in presenza del titolare, per cui l’unica contestazione possibile nei suoi confronti poteva essere eventualmente quella ai sensi dell’art. 110 c.p., cioè per avere concorso in modo consapevole.

I giudici di legittimità ricordano che la norma sul concorso personale, la quale implica la configurazione dell’elemento soggettivo doloso, impone la specifica disamina della possibilità di individuare, nel comportamento della concorrente, gli indici di consapevolezza e volontà riguardanti tutte le componenti del reato contestatole, compresa quella dell’età dei giovani a cui aveva somministrato la bevanda alcolica, anche se in esecuzione di disposizioni del titolare. Secondo la Cassazione, nella ricostruzione dell’atteggiamento psicologico degli agenti, nel caso in commento il reato era stato attribuito a titolo di colpa, in quanto nessuno degli imputati poteva dirsi incorso in errore incolpevole a proposito dell’età: infatti, nessun controllo serio era stato effettuato per verificare l’età dei ragazzi.

Tale atteggiamento colposo, compatibile in linea di principio con la natura contravvenzionale del reato, è tuttavia in contrasto con la contestazione della condotta alla ricorrente, a titolo di concorso con l’esercente ai sensi dell’art. 110 c.p.. Si poteva ritenere verificata la contestazione, solo se fosse stato provato che la condotta dell’imputata, chiamata a rispondere in qualità di dipendente che agiva sotto le direttive del titolare ed alla sua presenza, fosse stata caratterizzata da una cosciente e volontaria condivisione del comportamento di rilievo penale dell’esercente, in tutte le sue frazioni. Ciò, però, era stato proprio escluso dagli stessi giudici di merito. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso ed annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto.”
(Fonte: www.dirittoegiustizia.it)

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