Cassazione Penale: sms, messaggi whatsapp o di posta elettronica hanno natura di documenti ai sensi dell’art.234 c.p.p.


Interessante recente sentenza della Cassazione Penale:
“I dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p.”

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Sentenza 16 gennaio 2018, n. 1822

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.B., nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 21/06/2017 del TRIBUNALE di IMPERIA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere ELISABETTA MARIA MOROSINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Imperia, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro probatorio disposto dal Pubblico Ministero nell’ambito di un procedimento penale che vede l’odierna ricorrente indagata per reati fallimentari connessi ai fallimento della società Marina degli Aregai s.r.l. Il sequestro aveva ad oggetto, tra l’altro, le e-mail spedite e ricevute da account in uso all’indagata, nonchè il telefono cellulare del tipo smartphone dell’indagata, successivamente restituitole previa estrazione di copia integrale dei dati informatici memorizzati (sms, messaggi WhatsApp, e-mail).

2. Avverso l’ordinanza ricorre P.B., per il tramite del difensore, articolando due motivi.

2.1 Con il primo deduce violazione di legge. Innanzitutto premette che l’interesse alla impugnazione del decreto di sequestro relativo a un apparato elettronico permane anche dopo la restituzione del bene sequestrato. Eccepisce, quindi, l’invalidità della procedura di acquisizione dei messaggi e delle e-mail, assumendo che si sarebbe dovuto adottare quella stabilita dall’art. 266 c.p.p. e ss., venendo in rilievo un’attività di intercettazione di flussi di comunicazioni telematiche.

2.2 Con il secondo motivo lamenta violazione di legge per mancato rispetto del principio di proporzionalità e adeguatezza, essendosi proceduto, tramite duplicazione di copia forense, alla integrale e indiscriminata apprensione di tutti i dati archiviati nella memoria del telefono cellulare in uso all’indagata. Rileva, infine, la mancata risposta, da parte del Tribunale del Riesame, in ordine alla eccepita violazione del divieto di sequestro della corrispondenza tra indagato e difensore, ai sensi dell’art. 103 c.p.p., comma 6.

Motivi della decisione

1. Va premesso che la questione dell’interesse ad impugnare, coltivato dalla ricorrente con il primo motivo, è stato risolto dalle Sezioni Unite con una decisione intervenuta dopo la presentazione del ricorso.

Si è affermato il principio che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico – nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti – è ammissibile soltanto se sia dedotto l’interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497).

Nella specie il tenore complessivo del ricorso lascia emergere la sussistenza di un interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati, collegato alla dedotta natura personale e riservata degli stessi.

2. Ferma, dunque, l’ammissibilità del ricorso, si ritiene che i motivi dedotti siano privi di fondamento.

3. Il primo motivo è infondato.

I dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p.. La relativa attività acquisitiva non soggiace nè alle regole stabilite per la corrispondenza, nè tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.

Secondo l’insegnamento della Corte di legittimità non è applicabile la disciplina dettata dall’art. 254 c.p.p., con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro, in quanto questi testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991).

Non è configurabile neppure un’attività di intercettazione, che postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, mentre nel caso di specie ci si è limitati ad acquisire ex post il dato, conservato in memoria, che quei flussi documenta.

4. Il secondo motivo è del pari infondato.

4.1 I principio di proporzionalità e adeguatezza non è invocabile nella specie, poichè l’acquisizione di dati informatici mediante la cd. copia forense è una modalità conforme a legge, che mira a proteggere, nell’interesse di tutte le parti, l’integrità e affidabilità del dato così acquisito.

La Corte di cassazione, intervenendo in un caso analogo a quello oggetto del presente scrutinio, ha già avuto occasione di chiarire che non merita censura, sotto il profilo dell’adeguatezza e proporzionalità, il sequestro di supporti contenenti dati informatici poi restituiti, previa estrazione di copia integrale della relativa memoria, poichè “l’attività di analisi per la selezione dei documenti contabili è particolarmente complessa investendo in toto l’attività imprenditoriale dell’indagato. Nè le operazioni di estrazioni di copia dei documenti rilevanti a tal fine avrebbe potuto essere condotta in loco in un limitato arco temporale, investendo l’attività di selezione una significativa attività di studio e analisi proprio al fine di un’eventuale selezione” (Sez. 5, n. 25527 del 27/10/2016, dep. 2017, Storari, in motivazione).

La doglianza sollevata dalla difesa in merito alla acquisizione di copia anche di documenti non rilevanti e, comunque, non sequestrabili siccome non pertinenti al reato o addirittura relativi al mandato difensivo, non inficia la validità del provvedimento di sequestro, e dunque non può trovare rimedio in questa sede.

4.2 In merito alla questione del sequestro di informazioni scambiate tra indagata e difensore, è sufficiente osservare che, non vertendosi in tema di sequestro di corrispondenza per le ragioni esposte al punto 2, è inconferente il richiamo al divieto di cui all’art. 103 c.p.p., comma 6.

5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018

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