Cassazione:Tenuità del Fatto applicabile anche nei procedimenti penali davanti al giudice di pace

Pubblichiamo la recente sentenza della Cassazione Penale su un argomento molto dibattuto relativo all’applicabilità nel procedimento penale davanti al giudice di pace dell’istituto introdotto dal legislatore con l’art.131 bis del c.p.p. nonostante la preesistente disciplina della stessa tenuità del fatto prevista dall’art.34 del D.Lgsvo n.274/2000…

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

Sentenza 12 gennaio 2017 – 28 febbraio 2017, n. 9713

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI VENEZIA;

nei confronti di:

R.G.K.D. nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 05/06/2015 del GIUDICE DI PACE di VERONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/01/2017, la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SETTEMBRE;

Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.ssa Perla Lori, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per inapplicabilità dell’art. 131 bis c.p.

RITENUTO IN FATTO

1. Ricorre il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia avverso la sentenza del Giudice di pace di Verona, che dichiarato non punibile R.G.K.D. – imputata del reato di cui all’art. 582 c.p. – per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis c.p.p..
Ad avviso del ricorrente, il Giudice di pace ha errato nell’applicare, nel procedimento di sua competenza, l’art. 131 bis c.p.p., in quanto detta norma troverebbe applicazione unicamente nei processi davanti al Tribunale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non può essere accolto. La questione posta dal ricorrente concerne l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., ai procedimenti pendenti dinanzi al giudice di pace.

Non ignora questo Collegio che la Corte di Cassazione si è espressa, più, volte, nel senso della inapplicabilità di detto istituto ai procedimenti che si svolgono davanti al giudice di pace, in considerazione del fatto che esiste, nel D.Lgs. n. 274 del 2000, una norma apposita (quella di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34), sovrapponibile all’art. 131 bis c.p. (in questo senso, Cass., n. 45996 del 14/7/2016; n. 1510 del 4/12/2015; n. 38876 del 20/8/2015).

Tale orientamento, sebbene maggioritario, non può, però, essere condiviso. Sebbene entrambi gli istituti facciano riferimento, nella rubrica dell’articolo che li contempla, alla “particolare tenuità del fatto”, ritiene questo Collegio che essi hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti. L’art. 131 bis c.p., prevede, infatti, una causa di esclusione della “punibilità” allorchè – per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo – “l’offesa” all’interesse protetto sia particolarmente tenue; l’art. 34 cit. contempla una causa di esclusione della “procedibilità” quando “il fatto” – valutato nella sua componente oggettiva (esiguità del danno o del pericolo) e soggettiva (occasionalità della condotta e grado della colpevolezza) – sia di particolare tenuità. Quanto alle condizioni dell’applicazione, la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131/bis cod. pen. richiede che sia “sentita” la persona offesa (artt. 411 e 469 c.p.p.), mentre l’applicabilità del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, è subordinato – nella fase delle indagini preliminari – alla condizione che “non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento” e, nella fase del giudizio, alla mancata opposizione sia dell’imputato che della persona offesa.

Appare evidente, allora, che l’operatività del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, è subordinata a condizioni più stringenti di quelle richieste dall’art. 131 bis c.p., in quanto la prima norma esige che “il fatto” (e non solo l’offesa) sia di particolare tenuità e perchè l’esistenza – oggettivamente valutata – di un interesse della persona offesa preclude l’immediata definizione del procedimento (una volta esercitata l’azione penale, l’applicabilità dell’art. 34 cit., è addirittura subordinata al mancato esercizio del diritto potestativo di opposizione, sia dell’imputato che della persona offesa.

Inoltre, al giudice è rimessa, in ogni caso, una valutazione del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato).

Non si tratta di differenze di poco conto, perchè “il fatto” previsto dall’art. 34 cit. può – sebbene rechi una minima offesa all’interesse protetto – non essere di particolare tenuità per mancanza di occasionalità (elemento da cui prescinde, invece, l’art. 131 bis c.p., salve le ipotesi di cui ai commi 2 e 3), mentre il diverso ruolo giocato – per l’art. 34 – dall’interesse della persona offesa (o dal diritto potestativo di questa e dell’imputato, dopo l’esercizio dell’azione penale) colloca i due istituti su piani diversi di praticabilità, subordinando l’operatività di quest’ultimo ad una valutazione più ampia di quella richiesta dall’art. 131 bis c.p., che è, invece, ancorato (essenzialmente, anche se non solo) al grado dell’offesa.

I problemi posti dalla coesistenza – nell’ordinamento penale – dei due istituti sopra esaminati non possono essere risolti, ad avviso di questo collegio, facendo applicazione del principio di specialità, valevole in materia penale (criterio adottato, invece, dalla sentenza n. 38876 del 20/8/2015, della sezione feriale di questa Corte), giacchè le norme sopra richiamate non presuppongono la medesima situazione di fatto, ma situazioni solo parzialmente convergenti.

Così, può darsi che un fatto non rientrante nella previsione dell’art. 34 (perchè, per esempio, mancante di occasionalità; perchè osta alla sua immediata definizione un interesse della persona offesa; perchè, dopo l’esercizio dell’azione penale, vi è opposizione dell’imputato o della persona offesa) rientri, invece, nella previsione dell’art. 131 bis (per esempio, perchè si tratta di imputato che deve rispondere di una percossa quasi simbolica); viceversa, possono esservi casi definibili ex art. 34, anche se “l’offesa” superi il livello di offensività presupposto dall’art. 131/bis cod. pen. (per esempio, perchè ostano alla procedibilità le particolari condizioni di salute dell’imputato).

A tali considerazioni va aggiunto che nessuna indicazione normativa conforta la tesi negativa. Infatti, il D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 2 – secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal decreto stesso, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 -, richiamato dalla giurisprudenza avversa, si riferisce, all’evidenza, alle norme di procedura, ma non anche agli istituti sostanziali, qual’è, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quello contemplato dall’art. 131 bis c.p. (Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016; Cass., sez. 5, n. 5800 del 2/7/2015, Rv 267989; Sez. 3, n. 31932 del 02/07/2015; sez. 6, n. 39337 del 23/6/2015).

Nè indicazioni in senso contrario vengono dal parere espresso dalla Commissione Giustizia sullo schema di decreto legislativo il 3 febbraio 2015, ove si invitava il Governo a valutare “l’opportunità di coordinare la disciplina della particolare tenuità del fatto prevista dal D.Lgs. 28 ottobre 2000, n. 274, art. 34, in riferimento ai reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame” e dal fatto che la sollecitazione suddetta non fu accolta. Infatti, come già rilevato nella sentenza n. 40699 del 9 aprile 2016 di questa Corte, tale determinazione fu adottata per il solo fatto che il coordinamento tra le discipline del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, e art. 131 bis c.p., fu ritenuto estraneo alle indicazioni della legge delega; da qui la necessità che la possibile interferenza tra diverse disposizioni deve essere risolta dall’interprete.

In definitiva, sono proprio le differenze fra i due istituti (e la disciplina sostanzialmente di maggior favore prevista dall’art. 131 bis c.p.), che inducono a ritenere che quest’ultima sia applicabile – nel rispetto dei soli limiti espressamente indicati dalla norma – a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perchè sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale – nata per evitare alla persona offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensività, che la coscienza comune percepisce come di minimo disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale – sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del giudice di pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravità.

Le considerazioni sopra svolte comportano che il ricorso del Pubblico Ministero deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017.

FacebookTwitterEmailTelegramShare

I Commenti sono chiusi