Il Ministro Andrea Orlando ha svolto in Parlamento le Comunicazioni sull’amministrazione della Giustizia


Il Ministro Andrea Orlando ha svolto in Parlamento le Comunicazioni sull’amministrazione della Giustizia, ai sensi dell’articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dalla legge 25 luglio 2005, n. 150.Al termine del dibattito alla Camera, con risoluzione n. 6-00282 (Verini e altri), le comunicazioni del Ministro sono state approvate a larga maggioranza.

ANDREA ORLANDO, Ministro della Giustizia. Signora Presidentessa, onorevoli colleghi, mi perdonerete se questa relazione non affronterà tutti i campi del funzionamento della giurisdizione. Ho depositato, presso la Presidenza, le statistiche che offrono un quadro del funzionamento del servizio giustizia, voglio, però, qui, indicare quelli che ritengo i principali punti critici del sistema, come li stiamo affrontando e con quali risultati.
  Sintesi Ministro Orlando amministraz. Giustizia 2016

Il più rilevante riguarda la forza con la quale la globalizzazione impatta sugli ordinamenti nazionali. Vi è uno scarto impressionante fra l’ampiezza di questi fenomeni e gli strumenti di cui disponiamo per misurarci con essi. Almeno altrettanto grande è lo scarto tra questi problemi e la consapevolezza che c’è nell’opinione pubblica e nella discussione del Paese; si continuano a reiterare schermaglie e ad agitare stereotipi di altre stagioni; il rischio è che rimaniamo a fare la guardia a un bidone che si svuota progressivamente. Sempre più si governa, su scala comunitaria e internazionale, tramite convenzioni, accordi intergovernativi, meccanismi decisionali fondati sulla condivisione dei poteri, da cui finiscono col dipendere le stesse caratteristiche del diritto interno. Qui, a mio avviso, si gioca la credibilità di tutte le giurisdizioni nazionali. Crescono, infatti, i profili internazionali del contenzioso civile che sempre più cerca di sottrarsi alle maglie della giurisdizione pubblico statuale, cresce la criminalità transfrontaliera in ambiti quali il terrorismo, il traffico di stupefacenti e di armi, la tratta di esseri umani, il traffico di migranti, la criminalità informatica, la contraffazione. La risposta a questi fenomeni non può più essere soltanto nazionale; per questo abbiamo sostenuto con forza, nei mesi scorsi, il progetto di istituzione della Procura europea, con un alto livello di indipendenza che potesse avere in prospettiva competenza anche in materia di terrorismo e criminalità organizzata. Finora, hanno prevalso le preoccupazioni miopi degli Stati che non rinunciano alle prerogative dei sistemi nazionali.
  Abbiamo assistito a un progressivo svuotamento di mezzi e di fini di questo progetto, non abbiamo dunque sostenuto il testo proposto dalla Presidenza slovacca, pur rimanendo convinti che la Procura europea abbia un altissimo potenziale. Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria è comunque la priorità; la normativa europea prevede già importanti strumenti, primo fra tutti il mandato d’arresto europeo, entrato nella pratica quotidiana di molti Stati. Altri fondamentali strumenti non erano stati ancora accolti dal nostro ordinamento. Nel corso dell’ultimo anno il Governo ha colmato finalmente questo gap, recependo fondamentali decisioni quadro, come quella sulle squadre investigative comuni, quella sul blocco e sequestro dei beni, quella sul reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato, alcune di esse risalgono addirittura a quindici anni fa. Nell’ambito del negoziato sulla nuova direttiva antiterrorismo, abbiamo sostenuto la necessità di un potenziamento dello scambio di informazioni tra gli Stati membri con Eurojust ed Europol. Nonostante l’opposizione di molti Stati dell’Unione, la nostra linea ha trovato un riconoscimento importante nell’Europarlamento ed è stata recepita nel testo finale della direttiva che verrà a breve adottata. Il 2016 ha segnato anche un potenziamento della cooperazione bilaterale con i Paesi extra UE appartenenti ad aree strategiche per il contrasto al terrorismo, al crimine organizzato, al traffico clandestino di esseri umani, alla corruzione. Il numero dei negoziati conclusi dal Ministero durante l’ultimo triennio è superiore di oltre il doppio al triennio precedente, con una significativa estensione dell’area di cooperazione. Ancora in tema di cooperazione sono pronti i decreti attuativi della delega per la riforma del libro undicesimo del codice di procedura penale e per l’attuazione dell’ordine di indagine europeo. Cambieranno, così profondamente le forme della cooperazione giudiziaria, assicurando rapidità, semplicità, efficienza delle procedure, in un rafforzato quadro di garanzia.
  Sul fronte del contrasto alla radicalizzazione islamista, promuoviamo programmi europei volti a migliorare la conoscenza dei canali di reclutamento delle reti terroristiche. C’è una nuova attenzione, in questo senso, all’uso della rete che è sicuramente uno straordinario veicolo di conoscenze e informazioni, ma proprio per questo deve crescere nei profili di responsabilità da parte di tutti i soggetti che su di essa operano. Insomma, in attesa di tangibili, ma purtroppo tutt’altro che scontati progressi nel rafforzamento della rete sovranazionale della giurisdizione e di quella europea, possiamo dire di aver utilizzato tutti gli strumenti a disposizione, sia di carattere normativo sia di carattere politico, per sviluppare la cooperazione giudiziaria. Nessuno può rimproverare all’Italia di essersi sottratta alla richiesta di collaborazione nel perseguimento di crimini da parte di altri Paesi, anche quando questo è avvenuto in modo unilaterale. È giusto chiedersi se il sistema giuridico italiano sia in grado di reggere l’urto di così profonde trasformazioni dell’arena globale, pur pagando, come si è detto, inevitabilmente i limiti sempre più angusti della dimensione nazionale; l’impianto costituzionale, a mio avviso, continua ad offrire un’importante tutela dei diritti fondamentali; contrariamente a suggestioni esterofile che spesso emergono anche in casa nostra, il nostro Paese viene apprezzato per l’equilibrio raggiunto tra esigenze di sicurezza e difesa delle garanzie costituzionali, laddove in altri Stati hanno adottato strategie che si sono tradotte in una brusca limitazione dei diritti dei cittadini. Lo stesso si dica per l’obiettivo di mantenere e garantire la posizione di autonomia e indipendenza della magistratura, l’obbligatorietà dell’azione penale, le previsioni normative sull’appello che offrono, tuttora, una protezione giuridica importante ai diritti dei cittadini. Sorto storicamente per contenere le prevaricazioni del potere esecutivo, questo robusto quadro giuridico istituzionale rappresenta oggi un argine contro le pericolose derive populiste che insidiano i livelli di civiltà giuridica toccati dal nostro Paese. Fare giustizia non può mai significare ricercare consenso; semmai, c’è da chiedersi se abbia ancora un qualche senso la cosiddetta pluralità delle giurisdizioni o se non sia quanto meno necessario intraprendere un percorso di coordinamento tra esse, anche a Costituzione invariata, partendo, almeno, da una armonizzazione dei sistemi disciplinari delle magistrature. Un sistema di garanzie così articolato ha bisogno di un adeguato sostegno organizzativo e di una costante ricerca di equilibrio tra domanda e offerta di giustizia. Il rapporto tra cittadini e cause continua ad essere in Italia elevato.
  In parte è un fenomeno generale, caratteristico delle società del capitalismo avanzato, in parte dipende dalla stessa crisi economica, che amplifica il ricorso alla giustizia, e in parte è legato alla tradizione e allo spirito pubblico litigioso del Paese.
  In ambito penale, si è assistito ad una costante dilatazione del numero dei reati previsti dalla legge, spesso conseguenza di un utilizzo puramente propagandistico e simbolico dell’azione legislativa, secondo un’equazione, rivelatasi nel tempo totalmente infondata, per cui a più reati equivarrebbe più sicurezza.
  In realtà, l’incertezza del quadro degli illeciti e la conseguente irrazionalità del sistema hanno indebolito la capacità repressiva e, come si è detto, è aumentato il numero dei procedimenti. A ciò va aggiunta la tendenza di molti Paesi, compreso il nostro, in passato per fortuna, ad affrontare con interventi penali problemi di carattere sociale, come quello della droga, dell’immigrazione, persino della povertà.
  I dati mostrano i progressi, però, del sistema giudiziario italiano, con numeri sensibilmente avvicinatisi alla media europea. Un’inversione di tendenza evidenziata anche nei rapporti internazionali, dove l’Italia è valutata positivamente per l’ampia disponibilità di sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, su cui in questi anni abbiamo molto investito anche con significativi incentivi.
  Nel mese di giugno del 2013, le cause civili erano 5 milioni e 200 mila, al 30 giugno 2016, il totale al netto dell’attività del giudice tutelare è sceso a 3 milioni e 800 mila e prevedo che, per la fine di questo anno, di quello appena concluso, i dati confermeranno questa tendenza. Rimane stabile la pendenza degli affari civili presso i tribunali per i minorenni, mentre tutti gli altri uffici mostrano un decremento di circa il 5 per cento, con la sola eccezione della Corte di cassazione, che vede la sua pendenza crescere, nell’ultimo anno, del 3,2 per cento. Nel 2016 le mediazioni civili sono state 196.247, più 10 per cento rispetto al 2015, ma se si considera l’insieme totale delle forme di ADR, allora i tentativi nel 2016 sono stati circa 366 mila. Sul versante penale, il numero complessivo dei procedimenti pendenti presso gli uffici giudiziari è calato nel 2016 del 7 per cento, attestandosi a 3.229.284 procedimenti.
  Siamo intervenuti, per questo, con un’attività di riduzione del ricorso al diritto penale, abbiamo rivisto le incriminazioni penali secondo effettivi criteri di offensività, introducendo la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Se ne parlava da tempo e noi lo abbiamo fatto, tra le polemiche pretestuose e gli agitatori di paure infondate. Abbiamo depenalizzato alcune fattispecie criminose ormai prive di apprezzabile disvalore penale; altre fattispecie sono state, invece, derubricate a illeciti, puniti con sanzioni pecuniarie civili, restituendo effettività all’intervento sanzionatorio.
  Un’importante misura ha riguardato il rito di Cassazione, appesantito da un arretrato ingente. I dati CEPEJ mostrano che, mentre il tasso di impugnazione in appello è allineato alla media europea, non così avviene per la Suprema corte, gravata oggi da circa 30 mila nuovi procedimenti. Ecco perché occorreva predisporre più modelli di processo di Cassazione. La riforma appena varata offre strumenti più agili per abbattere la mole dei giudizi pendenti e salvare la vitale funzione di nomofilachia della Corte.
  Non basta, però, scrivere nuove regole, occorre uno sforzo prolungato dal lato dell’offerta di giustizia, rivolta rafforzamento organizzativo, sulle carenze del personale amministrativo, sulle scoperture degli organici magistratuali, sulla necessità di innalzare il livello dell’infrastrutturazione tecnologica, sulla sicurezza dei luoghi dove si amministra la giustizia. E posso affermare che le risposte date in questi anni sono state di gran lunga più ampie e più efficaci di quanto si sia fatto nei decenni passati. Un solo dato: le risorse aggiuntive recuperate in questi anni sono state oltre un miliardo e 700 milioni, destinate al rafforzamento di interventi strutturali per l’organizzazione degli uffici. Nuove risorse sono state, inoltre, contenute nella legge di bilancio nel 2017.
  E a proposito di risorse e di maggiore efficienza, voglio sottolineare che, per la prima volta dopo anni, il cosiddetto ’debito Pinto’, quello derivato appunto dalla legge Pinto sulla irragionevole durata del processo, diminuisce al 31 luglio 2016 di quasi 100 milioni di euro. Sul fronte, invece, delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari, una stima del tutto prudenziale porta a evidenza una riduzione dei costi dei servizi a seguito del passaggio di tali spese dai comuni al Ministero di circa un terzo.
  Il processo civile telematico ha costituito una tappa fondamentale del miglioramento del sistema giustizia nel suo complesso: esso è oggi a pieno regime e costituisce un’eccellenza del nostro Paese, come del resto ci viene riconosciuto a livello internazionale. La spinta ad un’ampia digitalizzazione, però, prosegue: è partito il Sistema informativo della cognizione penale, presupposto necessario per proseguire nel processo penale telematico. Uno sforzo è stato profuso per la sicurezza dei sistemi informatici, questione oggi al centro del dibattito nazionale ed internazionale.
  Sin dal 2014, uno dei miei principali impegni è stato diretto a contenere le vacanze degli organici del personale amministrativo. Una nuova politica di assunzioni ha portato ad appostare risorse per un ingresso, con varie procedure, a 4000 nuove unità; 1100 sono, invece, le unità in ingresso nei ranghi della magistratura. Dopo anni di oblio abbiamo avviato una politica di assunzioni, di riqualificazione e di valorizzazione del personale, seppure in una ristrettezza di disponibilità di risorse.
  Abbiamo varato la riforma della magistratura onoraria, da troppo tempo rimandata, che rappresenta il primo intervento organico in materia, con la creazione di uno statuto unico. È poi da evidenziare l’impegno ad assicurare agli uffici giudiziari un adeguato supporto anche attraverso l’opera dei tirocinanti: ne sono entrati negli uffici per il processo 1150 quest’anno e abbiamo deciso di prolungarli per il prossimo anno; a questo numero vanno aggiunti quasi 3 mila tirocinanti ex articolo 73. Più di 1500 sono state le mobilità da altri rami della pubblica amministrazione verso le cancellerie.
  Abbiamo, inoltre, firmato tre protocolli d’intesa con Lazio, Emilia Romagna e Veneto, per l’assegnazione temporanea del personale delle regioni presso gli uffici giudiziari dei rispettivi distretti. Altri protocolli sono in fase di definizione con le altre regioni. In questo contesto voglio, infine, menzionare la revisione delle piante organiche degli uffici di primo grado, che completa il percorso avviato con la revisione della geografia giudiziaria. Abbiamo superato una fotografia del Paese che risaliva a cinquant’anni fa, a un’Italia, sotto il profilo civile, sociale, demografico e, quindi, anche rispetto ai fenomeni criminali e al contenzioso, profondamente diversa da quella di oggi.
  È difficile davvero da credere che un sistema abbia potuto proseguire ed andare avanti, nonostante tutto, mantenendo esattamente le stesse piante organiche del 1950 nella distribuzione sul territorio. Un sistema così articolato non vive, però, soltanto di risorse, ma anche di delicati equilibri, frutto di complesse relazioni tra soggetti, il cui compito è quello di garantire l’autonomia del sistema, l’armonia e la stretta applicazione del principio di legalità.
  La nostra azione è stata rivolta a garantire che i controllori siano sottoposti ad altri controllori, rispondenti soltanto alla legge, nella piena garanzia della separazione dei poteri. Questa vigilanza deve essere tanto più stringente, tempestiva ed efficace, in quanto riguarda poteri in grado di incidere in modo fortissimo e talvolta persino irreparabile sulla vita dei cittadini. Sono temi su cui deve proseguire il confronto con le riflessioni avviate dagli organi di autogoverno della magistratura.
  Per quanto riguarda l’attività di ispezione, è stata rivolta molto meno rispetto al passato a verifiche di irregolarità formale e piuttosto a lesione dei diritti delle persone o a comportamenti che gettano discredito sulla magistratura o, infine, violano le regole del funzionamento degli uffici.
  Il Ministero, poi, si è dotato di un moderno sistema statistico, che, oltre a consentire di monitorare in dettaglio l’andamento delle pendenze, permette di fondare le valutazioni sulla base della misurazione dei risultati e delle performance degli uffici. Auspico che il Consiglio superiore della magistratura, nella sua autonomia, naturalmente, voglia sempre più affidarsi a simili criteri nell’individuazione delle figure di vertice degli uffici: individuazione che deve senz’altro procedere con maggiore speditezza rispetto a quanto avviene oggi.
  Noi abbiamo agito, inoltre, sempre in tema di trasparenza, per riformare l’Agenzia dei beni confiscati in vista di una sua migliore organizzazione, con più chiare modalità di assegnazione e una più rigorosa attività di gestione. E la stessa preoccupazione di trasparenza e rigore è stata alla base della direttiva ministeriale riguardante i rapporti tra giustizia minorile, il privato sociale e le comunità di accoglienza. L’intervento si è reso necessario all’emergere di inaccettabili disparità di prezzo per l’erogazione dei servizi nell’accoglienza dei minori.
  Sempre nella direzione della trasparenza, avevo menzionato l’avvio di un portale unico nazionale delle vendite, radicalmente innovativo, un marketplace unico per la pubblicazione e la messa in vendita dei beni mobili e immobili sottoposti a tutte le procedure concorsuali pendenti sul territorio nazionale. È una conquista in termini di contrasto all’illegalità e alla corruzione, ma anche un primo stadio di un progetto riformatore più ampio che mira a sbloccare un’enorme massa creditoria, stimata, ad oggi, a circa 200 miliardi di euro.
  La prossima tappa si realizzerà entro giugno con l’istituzione del registro dei crediti in atto con la collaborazione della Banca d’Italia e del Ministero dell’economia e delle finanze. Grazie a questo nuovo strumento, nel mercato, si potranno conoscere in tempo reale le effettive condizioni di realizzabilità dei crediti delle imprese. Sarà così possibile passare all’ultima tappa, che mira ad assegnare ai crediti ammessi al riparto un valore monetario immediatamente spendibile in tutte le procedure concorsuali, immettendo ricchezza laddove oggi le lungaggini delle procedure di liquidazione impoveriscono il tessuto produttivo, oltre a produrre inaccettabili aree di opacità.
  Il Parlamento è attualmente impegnato con il disegno di legge delega sulla crisi di impresa, che contiene importanti misure di semplificazione ed efficientamento delle procedure concorsuali. È un cambio di passo anche culturale nella gestione della crisi di impresa, un intervento assai atteso che può incidere positivamente sulla competitività del Paese. Approvare questa legge, così come quella sul processo civile, che è in discussione in Parlamento, significherebbe dare sistematicità all’intervento riformista che, sino a qui, si è largamente realizzato avvalendosi di strumenti amministrativi e di interventi normativi diffusi.
  In materia penale è all’esame del Senato il disegno di legge di iniziativa governativa che prospetta un intervento riformatore a largo raggio ispirato a intenti di politica criminale diretti non esclusivamente a risultati deflattivi. È una misura importante di cui ho spesso sollecitato l’approvazione e che ritengo sia un errore non approvare, come è già stato un errore non approvarla prima.
  Sul delicato tema della prescrizione, che ha suscitato le più vivaci discussioni, anche in quest’Aula, credo si sia pervenuti ad un punto di equilibrio fra l’esigenza di assicurare alla giurisdizione tempi congrui allo svolgimento delle attività di accertamento dei fatti di reato e quella di garantire la ragionevole durata del processo, conservando alla prescrizione la sua funzione di stimolo ad una definizione dei processi penali in tempi non troppo estesi. Si tratta di un intervento incisivo apprezzato dal GRECO, il Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa, che ne ha auspicato la rapida approvazione, dando atto, comunque, dei progressi realizzati dall’Italia con la nuova normativa su questo tema, in particolare, con gli interventi sul falso in bilancio e sull’autoriciclaggio.
  Vorrei aggiungere un dato che ho avuto soltanto pochi minuti fa e non ho potuto fornire al Senato su questo punto: spesso si è discusso – perché la discussione sulla giustizia ho scoperto in questi anni è una discussione che si basa su fotografie vecchie, mentre la realtà cambia costantemente –, sono anni che discutiamo del fatto che i cosiddetti colletti bianchi non vengono mai puniti e non scontano mai una pena. Il dato di oggi è che in carcere stanno oggi 789 persone condannate per reati contro la pubblica amministrazione. Quando ci siamo insediati – è un indice che a me non mi esalta particolarmente –, erano meno di 200.
  Su un altro punto voglio soffermarmi brevemente, cioè sul tema delle intercettazioni prive di rilevanza penale. Ho molto apprezzato le circolari diramate da alcune procure, che invitano ad una maggiore sorvegliatezza: credo che vadano nella direzione giusta. Noto, e spero di non essere smentito dei fatti, che la diffusione di questi dati è quantitativamente diminuita, ma qui la legge dei grandi numeri non vale, perché è colpita dalla diffusione impropria. Non ritengo, tuttavia, che queste circolari siano sufficienti, perché ritengo che la tutela di un singolo cittadino non possa essere assegnata alla casualità, cioè al fatto che il procuratore abbia emanato o meno una circolare nel territorio che riguarda quel cittadino. Per questo ritengo che sia necessario un intervento normativo secondo le linee della delega che il Parlamento è chiamato ad approvare nell’ambito della riforma penale.
  Sempre più stretti incroci tra criminalità organizzata e circuiti finanziari ci hanno spinto a proporre un’iniziativa nuova, volta, per un verso, a ripensare agli strumenti per un efficace contrasto alle mafie, molto cambiate rispetto a pochi anni fa, soprattutto sul versante delle illecite accumulazioni di ricchezza, ma anche, peraltro, a riallacciare la risposta pubblica e civile ai fenomeni mafiosi.
  Ho deciso, infatti, di avviare gli Stati generali della lotta alla criminalità organizzata, con l’obiettivo di rifondare le ragioni stesse di un impegno al quale non sono legate soltanto le sorti di alcune regioni, ma del Paese intero. Abbiamo bisogno di nuove indagini conoscitive, nuove acquisizioni teoriche, abbiamo bisogno di formulare nuove proposte, ma anche di sollecitare nuove energie, sottraendoci a stereotipi che spesso continuano a pesare nel dibattito che riguarda questo tema. Gli Stati generali dovranno servire a questo.
  La soluzione dell’emergenza carceraria, all’indomani della sentenza Torreggiani, ha costituito una delle priorità del mio mandato. Al 31 dicembre 2016, la popolazione carceraria è composta da 54.653 unità: ancora superiore, complessivamente, alla capacità regolamentare degli istituti penitenziari, peraltro accresciuta in questi stessi anni di circa 4 mila unità. La popolazione carceraria è diminuita di circa 10 mila unità in tre anni: importante è il nuovo e più maturo equilibrio del rapporto fra presenza carceraria ed esecuzione penale esterna, ormai quasi paritario.
  Rieducazione e reinserimento sociale sono legati essenzialmente al potenziamento delle misure alternative al carcere. I risultati non sono ancora del tutto soddisfacenti, ma non lo saranno se non riusciremo a cambiare l’approccio complessivo, le stesse fondamenta culturali del sistema penitenziario.
  Per favorire questo percorso, la positiva esperienza intrapresa con gli Stati generali dell’esecuzione penale ha costituito una base di elaborazione preziosa. L’ampliamento dei presupposti per l’accesso alle misure alternative, l’introduzione dell’istituto della messa alla prova per gli adulti e la crescita di sanzioni alternative al carcere, come quella del lavoro di pubblica utilità, il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari impongono un’azione amministrativa mirata a costruire un sistema di probation ampio ed effettivo che ponga l’Italia al pari di tutti i maggiori Paesi europei, che trovano in questo settore uno strumento fondamentale di esecuzione della pena.
  I risultati che ho sin qui presentato sono il frutto di una disponibilità ed una collaborazione molto ampie. Voglio, pertanto, ringraziare tutti i soggetti coinvolti nel sistema della giustizia: la magistratura, l’Avvocatura, che credo possa salutare con soddisfazione il completamento del percorso di attuazione della riforma forense, il Corpo di polizia penitenziaria, che ringrazio particolarmente per la dedizione e la professionalità, tutto il personale impiegato nel servizio giustizia, ma, in particolare, il personale amministrativo che, in questi anni, ha sopportato il peso dei vuoti di organico e dell’aumento dei carichi e, naturalmente, questo Parlamento e le Commissioni, che hanno svolto un lavoro assai proficuo su tante materie.
  Signora Presidentessa, onorevoli colleghi, in questi anni abbiamo agito per uscire da emergenze vere, quale quella carceraria e quella dell’arretrato civile; abbiamo inciso sull’organizzazione della giustizia, abbiamo inteso favorire un clima più disteso. Oggi, sento di poter rivendicare i progressi significativi realizzati sul versante di alcuni fondamentali diritti e di poter rappresentare con convinzione i valori per i quali abbiamo operato: al valore dell’effettiva eguaglianza nella laicità è ispirata la legge sulle unioni civili, il cui percorso di attuazione si è concluso: abbiamo ora una legge che per il nostro Paese rappresenta una svolta di civiltà.
  Al valore della tutela delle persone deboli è orientata la legge sull’assistenza di persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. La stessa legge introduce, per la prima volta, finalmente, nel nostro ordinamento, un sistema generalizzato di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti. Anche questo credo che sia un importante segno di civiltà: la figura della vittima è, spesso, evocata per chiedere inasprimenti delle pene, ma, casualmente, nel nostro Paese non esisteva uno statuto di tutela delle vittime. Come lo è la legge che colpisce l’odioso fenomeno del caporalato approvata lo scorso anno, fenomeno che ferisce la dignità e il valore della persona che lavora.
  Anche in tema di accoglienza e diritto d’asilo è nostro dovere salvaguardare le garanzie fondamentali. Il disegno di legge al vaglio del Governo promuove, anzitutto, la specializzazione dell’organo giurisdizionale come un elemento decisivo per l’accelerazione dei procedimenti e interviene sul tema delle impugnazioni, facendo tesoro delle esperienze europee più efficaci. Voglio precisare che la soluzione proposta è conforme al modello internazionale di giusto processo ed è pienamente in linea con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La nuova normativa credo possa essere l’occasione per superare il reato di immigrazione clandestina per ragioni che ho già avuto modo di richiamare e in più occasioni.
  Infine, in vista della prossima «Giornata della memoria», voglio ricordare la legge n. 115 sui crimini contro l’umanità, che contiene anche il reato di negazionismo.
  Credo che l’impegno debba proseguire con l’approvazione del reato di tortura attualmente in discussione in Parlamento (Applausi).
  Quando parliamo d’Europa – quando ne parliamo come una comunità di vita, per usare le parole del Presidente Mattarella, a cui rivolgo il più deferente saluto – parliamo di questi lavori, e anche, non dimentichiamolo, della tragica storia che ha portato alla loro affermazione. Europa significa diritto, significa insieme costruzione di presidi a difesa della centralità della persona e riconoscimento di fondamentali esigenze ai bisogni individuali e sociali. Nell’avviarmi alla conclusione, voglio assicurare che terrò in massimo conto le valutazione di ogni forza politica; da tutte mi aspetto un concorso concreto sull’insieme dei problemi che abbiamo davanti. Ritengo che la gran parte delle conquiste degli scorsi anni, come di quelle che auspico per il futuro, sia dovuta al superamento di una logica di astratta e pregiudiziale contrapposizione. Non indulgo all’ottimismo, ma nemmeno al suo contrario, rinunciando a delineare i percorsi possibili. Ma i provvedimenti di riforma funzionano se le loro ragioni mettono radici nell’habitat sociale, civile e culturale del Paese, che va difeso non solo dagli attentati alla sicurezza e alla libertà, ma anche dalle troppo aspre disparità che rischiano di spaccarlo. Uno dei maggiori studiosi contemporanei del diritto e dello Stato, Ronald Dworkin, ha scritto: L’uguale rispetto è la virtù sovrana della comunità politica – se manca, il Governo è soltanto tirannia – ma quando la ricchezza di una nazione è distribuita in modo fortemente disuguale, come lo è attualmente la ricchezza di nazioni anche molto prospere, allora il suo uguale rispetto appare sospetto.
  Ecco, se vogliamo riconoscere ai nostri concittadini, nelle forme del diritto e nell’esercizio della giurisdizione, l’uguale rispetto che è a loro dovuto, dobbiamo agire perché non sia fortemente diseguale la ricchezza della nazione. Se sapremo farlo – e ovunque sapremo farlo –, là il servizio della giustizia sarà più efficiente, più autorevole e in definitiva più giusto.

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