TAR Lazio : recente sentenza sulla mancata conferma del Csm per incompatibilità dei giudici di pace

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Pubblichiamo una recente sentenza del Tar Lazio su un caso di incompatibilità di un giudice di pace che aveva ricevuto la mancata conferma quadriennale da parte del Consiglio Superiore della Magistratura .Utile è l’analisi fatta dai giudici del Tar anche per le prossime conferme dei giudici onorari di pace e vice procuratori onorari che in gran parte esercitano anche la professione forense con il consenso legislativo attuale e del Ministero della Giustizia…

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale xxxx del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
xxxxx, rappresentata e difesa dagli avv.ti xxx,xxx,xxxelettivamente domiciliata in Roma, Via xxxx presso lo studio dell’avv. xxx;
contro
il Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
il Ministero della Giustizia, in persona del ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento, quanto al ricorso introduttivo,
del decreto del Ministero della Giustizia del 20 giugno 2008 e della deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 4 giugno 2008, con la quale è stata disposta la non conferma della ricorrente all’esercizio della funzione di giudice di pace per la sede di xxxx;
nonché, quanto al primo ricorso per motivi aggiunti,
per l’annullamento
del provvedimento assunto dal Consiglio Superiore della Magistratura in data 12 marzo 2009, adottato in esecuzione della ordinanza cautelare n. 4741 del 2008 del Tar Lazio Roma, con il quale si è disposto di non confermare la ricorrente nelle funzioni di giudice di pace;
nonché, quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti,
per l’annullamento della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 22 ottobre 2009 con la quale, in esecuzione dell’ordinanza n. 2254 emessa da questa Sezione nella Camera di Consiglio del 20.5.2009, si è stabilito di assegnare d’ufficio la ricorrente alla sede del Giudice di Pace di xxxxx.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura e del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2016 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La ricorrente, nominata giudice di pace nella sede di xxxxxcon delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 23 luglio 2003 ed immessa nel possesso delle funzione in data 28 maggio 2005, presentava, in prossimità della scadenza del quadriennio, domanda per la conferma nell’incarico per un secondo mandato.
Nella seduta del 4 giugno 2008 il Consiglio Superiore della Magistratura, recependo il parere del Consiglio giudiziario di xxx, che aveva ritenuto il venir meno dei requisiti dell’idoneità ad assolvere degnamente per indipendenza e per prestigio la funzione di giudice di pace, deliberava di non confermare la ricorrente nelle funzioni di giudice di pace per la sede di xxxx.
Avverso tale provvedimento la ricorrente presentava il ricorso introduttivo del giudizio, con il quale articolava le seguenti censure:
Violazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990;
Violazione ed erronea applicazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 374/1991 e degli artt. 5, 7, 8 e 10 della legge n. 468/1999, della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura dell’8 ottobre 2003, eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, disparità di trattamento, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, illogicità, perplessità, ingiustizia manifesta, carenza di istruttoria, violazione del giusto procedimento, sviamento di potere;
Violazione di legge, violazione e falsa applicazione della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura dell’8 ottobre 2003, violazione dell’art. 2 del d.l. 30 giugno 2005, che ha sostituito l’art. 7 della legge n. 374/1991.
Alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2008 la domanda incidentale di sospensione veniva accolta ai fini del riesame.
In esecuzione di tale provvedimento, il Consiglio Superiore della Magistratura riesaminava la precedente determinazione, assumendo, in data 12 marzo 2009, un nuovo provvedimento di non conferma della ricorrente nella sede di xxx.
Tale provvedimento ed il relativo decreto ministeriale di recepimento venivano impugnati con il primo ricorso per motivi aggiunti, affidato ai seguenti motivi di doglianza:
Violazione e/o elusione del giudicato, eccesso di potere per travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti e falso presupposto, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, sviamento di potere, motivazione illogica, contraddittoria, violazione della legge n. 374/1991, eccesso di potere per irragionevolezza ed ingiustizia manifesta;
violazione ed erronea applicazione della legge n. 374/1991 e della legge n. 468/1999, difetto di motivazione ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti, illogicità manifesta, perplessità, ingiustizia manifesta, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 374/1991 e degli artt. 5, 7 , 8 e 10 della legge n. 468/1999, della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura dell’8 ottobre 2003, degli artt. 3, 7, 8 e 10 bis della legge n. 241/1190, ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza istruttoria, violazione del giusto procedimento, difetto di motivazione, illogicità e sviamento di potere, travisamento, falso presupposto, contraddittorietà, disparità di trattamento;
Violazione dell’art. 9 della legge n. 374/1991, violazione del principio del giusto procedimento, eccesso di potere per sviamento, arbitrarietà, erroneità dei presupposti, violazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241/1990;
Violazione e falsa applicazione della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura dell’8 ottobre 2003, violazione dell’art. 2 del d.l. 30 giugno 2005, che ha sostituito l’art. 7 della legge n. 374/1991, eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria e di motivazione, abnormità;
Violazione e falsa applicazione della legge n. 374/1991 e della legge n. 468/1999, eccesso di potere per carenza e/o erroneità dei presupposti.
Alla camera di consiglio del 21 maggio 2009 l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento veniva accolta ai fini del riesame.
In esecuzione di tale provvedimento il Consiglio Superiore della Magistratura in data 20 luglio 2009, rilevata l’inesistenza dei posti vacanti di giudice di parce nella sede di xxx, presso la quale la ricorrente aveva chiesto di essere assegnata laddove non fosse possibile la conferma nella sede di xxx, invitava la ricorrente a far pervenire dichiarazione di disponibilità ad essere trasferita presso una delle sedi vacanti di giudice di pace fra quelle disponibili nel distretto della Corte d’appello di xxx. In seguito, con delibera del 22 ottobre 2009, il CSM assegnava d’ufficio la ricorrente alla sede del Giudice di Pace di xxxx
Avverso tale provvedimento veniva presentato il secondo ricorso per motivi aggiunti, affidato ai seguenti motivi di doglianza:
Violazione ed elusione del giudicato, eccesso di potere per travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti e falso presupposto, illogicità manifesta, difetto di istruttoria, sviamento di potere, motivazione illogica, contraddittoria, violazione della legge n. 374/1991, eccesso di potere per irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.
In data 2 dicembre 2009 l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato veniva respinta.
In vista dall’udienza di discussione la parte presentava memorie con le quali, premesso di essere stata recentemente confermata quale giudice di pace nella sede di xxx, rappresentava la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di tutti e tre i ricorsi e, comunque, alla decisione del secondo ricorso per motivi aggiunti.
All’udienza dell’8 giugno 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente, a mezzo del ricorso introduttivo e dei due ricorsi per motivi aggiunti, ha impugnato due provvedimenti di mancata conferma nella funzione di giudice di pace e un provvedimento di assegnazione d’ufficio alla sede del giudice di pace di xxxx.
Preliminarmente deve essere rilevata l’improcedibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti, teso all’annullamento del provvedimento di assegnazione d’ufficio, in ragione della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del medesimo rappresentata dalla ricorrente con memorie del 6 maggio 2016 e del 6 giugno 2016.
Non può essere invece dichiarata, come pure richiesto, l’improcedibilità del ricorso introduttivo e del primo ricorso per motivi aggiunti, entrambi contenenti provvedimenti di mancata conferma nella nomina, atteso che la recente conferma della ricorrente nella sede di xxx, posta a base della richiesta della citata pronuncia in rito, è espressamente avvenuta “allo stato” e “fatta salva l’eventualità della revoca della presente delibera all’esito del giudizio di merito pendente dinanzi al T.A.R. del Lazio relativo all’impugnativa delle delibere consiliari del 4 giugno 2008 e 12 marzo 2009 di diniego nella conferma per il secondo mandato quadriennale”.
Tale esplicita riserva impedisce di ritenere, come invece prospettato dalla ricorrente, che la nuova valutazione di idoneità assorba la precedente valutazione negativa espressa nei due atti di diniego di conferma impugnati con il ricorso introduttivo e con il primo ricorso per motivi aggiunti.
Passando all’esame del merito si rileva come il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo ha disposto di non confermare la ricorrente quale giudice di pace nella sede di xxxxx recependo il parere del Consiglio giudiziario integrato di Bari.
Quest’ultimo, pur dando atto dell’insussistenza, nei confronti della ricorrente, di una puntuale ipotesi di incompatibilità ai sensi dell’art. 8 della legge n. 374/1991, ha tuttavia rilevato come, ai fini della conferma nell’incarico, non solo non deve ricorrere alcuna delle ipotesi di incompatibilità di cui alla citata norma, ma devono continuare a sussistere i requisiti di cui all’art. 5 ed in particolare la capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario.
In particolare, esclusa l’incompatibilità derivante dall’iscrizione all’albo degli avvocati, in considerazione della cancellazione della ricorrente dall’albo medesimo, il Consiglio giudiziario ha ritenuto, alla luce del fatto che fino alla cancellazione la xxx aveva esercitato la professione forense nello stesso luogo in cui si era poi trovata a svolgere funzioni giudiziarie, che vi fosse necessità di una verifica puntuale della sussistenza della richiamata condizione dell’art. 5, comma 3.
Tale verifica in ordine alla sussistenza dei requisiti di indipendenza e terzietà, anche a livello di immagine del giudice di pace, era necessaria anche alla luce del disposto delle circolari del CSM in materia, al fine di “evitare che le funzioni giudiziarie siano dal magistrato onorario espletate in quel determinato ambiente in cui sono maturati i suoi rapporti professionali sia con le parti da lui assistite sia con gli altri avvocati del medesimo foro, a meno che quei rapporti non vengano recisi in moto netto e visibile”.
Rilevava ancora il parere come un’ulteriore ragione di approfondimento nasceva dal fatto che la ricorrente esercitava la funzione di magistrato onorario in un ufficio di piccole dimensioni e nell’ambito di un circondario nel quale esercitava la professione forense il coniuge.
Tale ultima circostanza era stata rappresentata in numerosi esposti nei quali era stato denunciato il fatto che il coniuge della ricorrente esercitava la professione anche dinanzi agli uffici giudiziari del circondario di xxx, nel quale rientra la sede di xxx, con ciò incidendo sull’amministrazione della giustizia da parte della ricorrente con riferimento alla capacità di assolvere alla sue funzioni con indipendenza, equilibrio e prestigio.
Il Consiglio rappresentava pure come, in seguito alla delibera del 21 dicembre 2007 con la quale esso aveva disposto di dover “acquisire informazioni presso l’Ordine degli avvocati di xxx e presso il tribunale di xxxxe relative cancellerie delle sedi distaccate al fine di conoscere se è vero che il coniuge della dott.ssa xxx abbia uno studio legale presso il comune di xxx ed esercita presso il tribunale di xxxe le relative sedi distaccate” – ciò che, in ogni caso, risultava da una semplice lettura dall’elenco telefonico di Bari e provincia del 2007 – la ricorrente aveva indirizzato al Consiglio una missiva che, per i toni e i contenuti, concretizzava una reazione incongrua, sintomatica di carenza del senso della misura e di equilibrio.
Il parere rilevava ancora come, dalla stessa documentazione istruttoria acquisita, emergeva che il coniuge della dott.ssa xxx aveva assistito, in procedimenti pendenti dinanzi al Tribunale di xxx, soggetti che avevano, in seguito, adito l’ufficio del giudice di pace di xxx in contenziosi instaurati nei confronti di altri soggetti, circostanza che, considerato il fatto che l’ufficio del giudice di pace di xxxx ha solo due giudici e che per indicazione tabellare la ricorrente avrebbe dovuto occuparsi in via esclusiva degli affari civili e penali riguardanti proprio il comune di xxxi – dove il marito aveva, a quel momento, uno studio professionale – aveva creato un disservizio all’ufficio, tanto più che anche l’altro giudice di pace assegnato al medesimo ufficio aveva ragioni di incompatibilità con la sede in forza del fatto che la figlia svolgeva la professione legale nel medesimo circondario.
Dovevano in conclusione ritenersi compromessi, quantomeno a livello di immagine, i requisiti di indipendenza e imparzialità della ricorrente
Il provvedimento si chiude con la condivisione, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, della ricostruzione normativa e delle ragioni argomentative riportate nel parere, così da determinare un giudizio di inidoneità della ricorrente alla conferma nella nomina quale giudice di pace.
Tale provvedimento è stato criticato dalla ricorrente perché assunto in violazione delle garanzie partecipative, perché carente sotto il profilo dell’accertamento dei presupposti e della motivazione, perché adottato in violazione delle norme e delle circolari in materia di nomina e conferma dei giudici di pace.
In particolare, la ricorrente ha rappresentato come gli esposti citati nel provvedimento sono risultati tutti apocrifi, circostanza confermata dal disconoscimento, da parte degli apparenti autori, a mezzo di note indirizzate al CSM e al Consiglio giudiziario, del contenuto e della sottoscrizione degli stessi.
Peraltro, contraddittoriamente, il CSM non avrebbe attribuito alcuna valenza alla missiva, sottoscritta da quarantacinque avvocati del foro di xxx e di xxx, contenente positivi apprezzamenti sull’operato della ricorrente nello svolgimento della funzione di giudice di pace.
Con riferimento alla circostanza secondo la quale essa sarebbe stata costretta ad astenersi in provvedimenti nei quali comparivano come parti soggetti in precedenza assistiti dal marito, la ricorrente ha poi rappresentato come erroneamente la vicenda, concernente l’altro giudice di pace assegnato alla sede di xxx, sia stata attribuita a lei.
Del resto la circostanza che il coniuge del giudice di pace eserciti la professione forense, rileva ancora la ricorrente, è oggetto di una specifica disciplina positiva, che, richiamando quanto previsto in tema di magistrati ordinari, impone solo l’obbligo di astensione, circostanza nel suo caso assolutamente teorica, in considerazione del fatto che il coniuge, iscritto all’ordine degli avvocati di xxx, si era espressamente impegnato a non esercitare la professione forense presso l’ufficio del giudice di pace di xxx.
Con riferimento infine alla missiva da lei indirizzata al Consiglio giudiziario dixxx, poi, la ricorrente afferma che la lettera avrebbe avuto toni pacati e rispettosi, tanto più che la stessa conteneva una legittima reazione al diverso e più blando trattamento riservato ad analoghe situazioni di incompatibilità a carico di altri giudici di pace.
Da ultimo la ricorrente rappresenta come la sua idoneità alla conferma nella nomina non sia stata valutata, in violazione delle norme di legge e regolamentari applicabili alla fattispecie, sul base del lavoro da lei svolto nel quadriennio precedente.
La prospettazione deve essere condivisa con riferimento alle assorbenti censure di difetto di istruttoria e di motivazione.
L’art. 5 della legge n. 374 del 1991, dopo aver individuato ai commi 1 e 2 i requisiti necessari per la nomina dei giudici di pace, stabilisce (al comma 3) che la nomina deve cadere “su persone capaci di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario”.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, pertanto, sia in sede di nomina che di conferma dei giudici di pace, deve individuare coloro che appaiono in grado di assolvere degnamente le funzioni di magistrato onorario, sia per “indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito”, sia per “esperienza giuridica e culturale”.
Nella formulazione di tale valutazione al Consiglio Superiore della magistratura è attribuito un ampio potere discrezionale, in esito al quale esso esprime una valutazione non censurabile nel merito e sindacabile dal giudice amministrativo solo sotto il profilo della congruità e ragionevolezza della motivazione.
L’ambito di indagine giurisdizionale, di conseguenza, va circoscritto all’estrinseca legittimità del provvedimento adottato, con particolare riguardo alla fedele ricostruzione dei fatti ed alla congruità e logicità della motivazione posta a base della scelta in concreto effettuata dal Consiglio.
Osserva il collegio come, sotto il profilo del corretto accertamento dei presupposti di fatti, il provvedimento gravato non pare aver, in alcun modo, approfondito la questione relativa all’effettiva paternità degli esposti che hanno denunciato la sussistenza di una situazione di incompatibilità della ricorrente con l’attività professionale svolta dal coniuge né la loro intrinseca attendibilità, significativamente compromessa dalle lettere di disconoscimento citate dalla ricorrente ed in parte allegate agli atti di causa.
Analoga valutazione di assenza di prova del corretto accertamento dei fatti deve essere svolta in relazione al profilo motivazionale secondo cui andrebbe riferita alla ricorrente una specifica situazione di interferenza tra l’attività del congiunto avvocato e lo svolgimento della funzione di giudice di pace, essendo rimasta solo genericamente contestata l’affermazione attorea secondo cui la puntuale vicenda di astensione citata nel provvedimento di diniego si riferirebbe, in realtà, ad una sua collega.
Neppure può essere priva di rilievo la circostanza, pure rappresentata e provata dalla ricorrente, ma non considerata nella valutazione dell’amministrazione, per cui la corretta e previa rappresentazione agli organi competenti delle sopra ricordate modalità di svolgimento dell’attività professionale del marito, non ha mai impedito la compilazione e l’approvazione delle tabelle sulla cui base era organizzata l’attività dell’ufficio di appartenenza.
L’affermata compromissione dell’imparzialità e dell’indipendenza della ricorrente, anche solo a livello di immagine, di conseguenza, non appare correttamente ancorata a precisi presupposti di fatto.
Tra i presupposti indicati nell’atto di diniego, l’unico obiettivamente riscontrabile resta dunque la missiva indirizzata dalla ricorrente al Consiglio giudiziario, in ordine ai quali il collegio condivide la valutazione per cui gli stessi non sono consoni alla funzione, ma tale circostanza non può, di per sé ed in assenza di ulteriori valutazione sull’attività lavorativa svolta dalla ricorrente, essere posta a base del provvedimento di non conferma.
Le rilevate carenze istruttorie si sono poi riverberate sulla stessa articolazione motivazionale del provvedimento impugnato, nella quale, come già rilevato in sede cautelare, l’inidoneità della ricorrente allo svolgimento della funzione, viene, in sostanza, correlata a profili di inopportunità di permanenza della medesima in una determinata sede.
I medesimi vizi incidono pure sulla legittimità del secondo provvedimento di diniego, in larga parte legato al richiamo ai medesimi presupposti.
Ed infatti sebbene tale nuova statuizione espliciti la valenza sintomatica da attribuirsi alla “scarsa consapevolezza dell’importanza che l’immagine di imparzialità di ogni magistrato sia esso togato o onorario riflette sulla credibilità della giurisdizione”, deve rilevarsi come la citata “scarsa consapevolezza” sia stata riferita ad una ritenuta compromissione dell’imparzialità a sua volta desunta sulla base di un accertamento istruttorio carente.
Deve peraltro osservarsi come, in fase di rideterminazione, l’accertamento istruttorio doveva ritenersi ancor più necessario, in considerazione del fatto che la nuova valutazione è stata adottata a seguito di provvedimento cautelare che imponeva il riesame e agli atti del quale vi era, comunque, la disponibilità della ricorrente ad un trasferimento di sede.
Per quanto esposto, il ricorso introduttivo e il primo ricorso per motivi aggiunti vanno accolti, con assorbimento di ogni altra censura.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza, da desumersi, quanto al ricorso dichiarato improcedibile, dalle ragioni puntualmente indicate nel rigetto di provvedimento cautelare pronunciato nel secondo ricorso per motivi aggiunti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui ricorsi per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:
Accoglie il ricorso introduttivo e il primo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;
Dichiara improcedibile il secondo ricorso per motivi aggiunti;
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2016 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere
Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/07/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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