Recente Sentenza della Cassazione Penale sul reato abrogato di ingiuria ed il risarcimento del danno a favore della parte civile

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Pubblichiamo la recente sentenza della Cassazione Penale su un argomento spinoso già emerso nei processi penali davanti ai giudici di pace
subito dopo l’entrata in vigore del D.Lgsvo n.7/2016 e relativo al risarcimento del danno a favore della parte civile in un processo penale
relativo ad un caso di ingiuria reato ormai abrogato…

Sentenza n.1 6 1 4 1 / 1 6
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
SENTENZA
sul ricorso proposto
avverso la sentenza n. 3/2015 TRIBUNALE di TARANTO, del
30/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza deliberata il 30/03/2015, il Tribunale di Taranto ha confermato
la sentenza in data 24/07/2014 con la quale il Giudice di pace di Taranto aveva
dichiarato xxx colpevole del reato di ingiuria in danno di xxx,
condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in
favore della parte civile.
Avverso l’indicata sentenza del Tribunale di Taranto ha proposto ricorso per
cassazione xxx, attraverso il difensore avv. xxx, denunciando –
nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att.
cod. proc. pen. – vizi di motivazione e inosservanza o erronea applicazione degli
artt. 51 e 599 cod. peri., nonché invocando il proscioglimento a norma dell’art.
131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte rileva d’ufficio che, in forza dell’art. 1, comma 1, lett c), d. Igs.
n. 15 gennaio 2016, n. 7, l’art. 594 cod. pen. è stato abrogato: di conseguenza,
la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è
previsto dalla legge come reato.
2. Resta precluso, per le ragioni di seguito indicate, l’esame di questa Corte
agli effetti civili in relazione al predetto reato, per il quale era intervenuta
condanna al risarcimento del danno.
2.1. La recente sentenza n. 12 del 2016 della Corte costituzionale ha
delineato la fisionomia generale della disciplina dell’esercizio dell’azione civile nel
processo penale, disciplina informata al «principio della separazione e
dell’autonomia dei giudizi»: «il danneggiato può scegliere se esperire l’azione
civile in sede penale o attivare la tutela giurisdizionale nella sede naturale. In
questa seconda ipotesi, peraltro, egli non subisce alcuna limitazione di ordine
temporale: diversamente che sotto l’impero del codice del 1930, l’esercizio
dell’azione penale per lo stesso fatto non comporta, di regola, la sospensione del
processo civile, nell’ambito del quale l’eventuale giudicato penale di assoluzione
non ha efficacia (art. 652 cod. proc. pen.). Il giudizio civile di danno prosegue,
dunque, autonomamente malgrado la contemporanea pendenza del processo
penale (art. 75, comma 2, cod. proc. pen.): la sospensione rappresenta
l’eccezione, che opera nei limitati casi previsti dall’art. 75, comma 3». In questa
prospettiva, osserva ancora la sentenza n. 12 del 2016, l’art. 538, comma 1,
cod. proc. pen. collega «in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte
civile alla condanna dell’imputato», con l’unica eccezione – «fortemente
circoscritta» – stabilita dall’art. 578 cod. proc. pen. riguardante il giudizio di
impugnazione. Il collegamento istituito dall’art. 538 cod. proc. pen. «tra
decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato riflette il carattere
accessorio e subordinato dell’azione civile proposta nel processo penale rispetto
agli obiettivi propri dell’azione penale: obiettivi che si focalizzano
nell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato».
Il carattere fortemente circoscritto dell’eccezione, posta dall’art. 578 cod.
proc. pen., alla “regola” generale del collegamento in via esclusiva tra decisione
sulle questioni civili e condanna dell’imputato trova conferma nel costante
riferimento della giurisprudenza di questa Corte alla tassatività della previsione
(Sez. 6, n. 12537 del 05/10/1999 – dep. 04/11/1999, Nicolosi, Rv. 216394, che
ha escluso l’applicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen. al caso di estinzione del
reato per morte dell’imputato; conf.: Sez. 3, n. 22038 del 12/02/2003 – dep.
20/05/2003, Pludwinski, Rv. 225321) e al carattere speciale della disciplina, non
suscettibile di essere estesa analogicamente ad altre cause estintive (Sez. 4, n.
31314 del 23/06/2005 – dep. 19/08/2005, Zelli, Rv. 231745).
Né la “regola” generale del collegamento in via esclusiva tra decisione sulle
questioni civili e condanna dell’imputato è smentita dai poteri attribuiti al giudice
dall’art. 576 cod. proc. pen. di decidere sulla domanda al risarcimento e alle
restituzioni anche su impugnazione della parte civile avverso una sentenza di
assoluzione: come chiarito da Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006 – dep.
19/07/2006, Negri, «l’art. 576 e l’art. 578 disciplinano situazioni processuali
diversificate, mirando l’art. 578, nonostante la declaratoria della prescrizione, a
mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la cognizione del
giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capo della sentenza del
precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l’art. 576 conferisce
al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento
ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto»;
l’art. 578 cod. proc. pen., osservano le Sezioni unite, «non rappresenta l’unica
eccezione fatta dal legislatore al principio che il giudice penale in tanto può
occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente pervenga a una dichiarazione
di responsabilità penale», in quanto l’art. 576 cod. proc. pen. sottolinea «come,
per effetto dell’impugnazione della sola parte civile, si possa rinnovare
l’accertamento dei fatti posto a base della decisione assolutoria, al fine di valutare
la sussistenza di una responsabilità per illecito e così ottenere una
diversa pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per i suoi interessi civili».
Infatti, «a fronte di una sentenza assolutoria irrevocabile pronunciata a seguito
di dibattimento, il confine della cognizione del giudice civile è segnato soltanto in
alcuni casi da effetti extrapenali del giudicato assolutorio, e specificamente
quando il giudice penale abbia accertato che il fatto non sussista, o che
l’imputato non lo abbia commesso o che il fatto sia stato compiuto
nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima» (Sez. 1,
n. 11994 del 30/01/2013 – dep. 14/03/2013, P.C. in proc. Di Pauli, Rv. 255447):
in presenza, per un verso, di un’assoluzione con una delle predette formule
(richiamate dall’art. 652 cod. proc. pen.) e, per altro verso, di una sopravvenuta
abolitio criminis, l’impugnazione della parte civile a norma dell’art. 576 cod. proc.
pen. è il mezzo necessario per contrastare, agli effetti civili, la formazione del
giudicato assolutorio e i pregiudizievoli effetti extrapenali che ne
conseguirebbero.
Fuori dalle ipotesi eccezionali indicate, resta fermo il principio generale in
forza del quale il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in quanto
contestualmente pervenga a una dichiarazione di responsabilità penale, ossia il
collegamento in via esclusiva tra decisione sulle questioni civili e condanna
dell’imputato: di conseguenza, fuori dai casi in cui la disciplina introduttiva
dell’abolitio criminis preveda che il giudice dell’impugnazione decide sulla stessa
ai soli effetti civili, nel giudizio sull’impugnazione dell’imputato avverso una
sentenza di condanna agli effetti penali e agli effetti civili, il proscioglimento con
la formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» (nel caso di
specie, a seguito dell’abrogazione della norma incriminatrice disposta dall’art. 1,
d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 7) preclude l’esame, ai fini dell’eventuale conferma,
delle statuizioni civili.
2.2. Non sono in contrasto con questa conclusione Sez. 5, n. 4266 del
20/12/2005 – dep. 02/02/2006, Colacito, Rv. 233598 e Sez. 5, n. 28701 del
24/05/2005 – dep. 29/07/2005, P.G. in proc. Romiti, Rv. 231866: dette
pronunce, infatti, riguardano la revoca della sentenza di condanna per
sopravvenuta abolitio criminis, revoca la cui portata viene circoscritta agli effetti
penali e con esclusione di quelli civili; diverso è il caso in esame, in cui una
sentenza (irrevocabile) di condanna non è intervenuta, sicché non può essere
superato il collegamento «in via esclusiva» sancito dall’art. 538, comma 1, cod.
proc. pen. tra la decisione sulla domanda della parte civile e la condanna
dell’imputato. Neppure contrasta la conclusione qui raggiunta Sez. 6, n. 31957
del 25/01/2013 – dep. 23/07/2013, Cordaro e altri, Rv. 255598; al di là delle
problematiche – di rilievo nel caso esaminato dalla Sesta Sezione, ma irrilevanti
ai fini della questione in esame – connesse alla sussistenza del danno civile
rispetto alla nuova fattispecie ex art. 319 quater cod. pen., la pronuncia ha
riqualificato il fatto imputato ad uno dei ricorrenti ai sensi della norma appena
richiamata e, dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, ha mantenuto
ferme le statuizioni civili: si rientra, all’evidenza, nell’ambito applicativo dell’art.
578 cod. proc. pen., ossia di una delle eccezioni codicistiche al principio generale
al quale è ispirata la disciplina dell’azione civile nel processo penale. Deve inoltre
osservarsi che, Sez. 6, n. 2521 del 21/01/1992 – dep. 11/03/1992, Dalla Bona,
Rv. 190006 è stata deliberata sulla base del previgente codice di rito e,
comunque, su ricorso della parte civile.
2.3. Conferma la soluzione qui raggiunta la diversa disciplina stabilita
dall’art. 9, d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 8: per gli illeciti oggetto della
depenalizzazione introdotta da detto decreto, la seconda parte del comma 3
dell’art. 9 cit. stabilisce che «quando è stata pronunciata sentenza di
condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è
previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili», norma,
questa, estranea al d. Igs. n. 7 del 2016, che trova applicazione nel caso di
specie. Né può prospettarsi un’applicazione analogica del richiamato art. 9,
comma 3, ai casi di abrogazione di cui al d. Igs. n. 7 del 2016, ostandovi, in
radice, l’eccezionalità che va riconosciuta alla norma in linea con l’orientamento
della giurisprudenza di legittimità a proposito dell’art. 578 cod. proc. pen.
Del resto, non si rinviene, nel raffronto tra le discipline dei due decreti
legislativi, il presupposto dell’eadem ratio. Nel caso di depenalizzazione a norma
del d. Igs. n. 8, la sanzione prevista è irrogata dall’autorità amministrativa
competente (alla quale l’autorità giudiziaria deve trasmettere gli atti ex art. 9,
comma 1), sicché, definendosi nella sede amministrativa l’applicabilità delle
sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse (art. 8), il
legislatore ha attribuito al giudice dell’impugnazione penale il compito di
provvedere sulle statuizioni civili. Nel caso, invece, di abrogazione a norma del d.
Igs. n. 7, la sanzione pecuniaria civile è irrogata dal giudice competente a
conoscere dell’azione di risarcimento del danno: di conseguenza, una previsione
analoga a quella dell’art. 9, comma 3, d. Igs. n. 8 del 2016 (e a quella di cui
all’art. 578 cod. proc. pen.), impedendo che il giudice civile sia investito
dell’azione di risarcimento del danno con riferimento agli illeciti per i quali sia già
intervenuta almeno la sentenza di condanna penale in primo grado, risulterebbe
del tutto incoerente con la previsione in forza della quale le disposizioni relative
alle sanzioni pecuniarie civili di cui al d. Igs. n. 7 del 2006 si applicano anche ai
fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto,
salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto
divenuti irrevocabili (art. 12, comma 1): per i casi in cui siano intervenuti
sentenza o decreto non irrevocabili, l’applicabilità di una disciplina analoga a
quella dell’art. 9, comma 3, d. Igs. n. 8 del 2016 e, dunque, la definizione,
dinanzi al giudice dell’impugnazione penale, del giudizio quanto alle statuizioni
civili impedirebbero l’esercizio dell’azione davanti al giudice competente sul
risarcimento del danno e, con esso, escluderebbero, per gli illeciti oggetto di
pronunce non irrevocabili, l’irrogazione della sanzione pecuniaria civile, esito,
questo, in contrasto con la disciplina di cui all’art. 12, comma 1, d. Igs. n. 7 del
2016.
3. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio,
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto
dalla legge come reato.
Così deciso il 01/04/2016.

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