Da naufrago soccorso a Lampedusa, richiedente asilo ma inquisito a Bologna per inottemperanza all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale.

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Pubblichiamo un interessante articolo sull’annosa vicenda dei respingimenti, dei richiedenti asilo e dei procedimenti penali in base al T.U. dell’Immigrazione.

“Da naufrago soccorso a Lampedusa, richiedente asilo ma inquisito a Bologna per inottemperanza all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale. Quale sicurezza?
Continua da parte della questura di Agrigento la raffica di provvedimenti di respingimento differito ex art. 10 comma 2 del T.U. n.286 del 1998, malgrado la recentissima circolare del Ministero dell’interno, che rispondeva alle preoccupazioni espresse dalle associazioni in ordine alle “modalità, talora accelerate, con le quali i migranti sbarcati nel nostro Paese che non rientrano nella categoria dei richiedenti asilo “inclear need of international protection”, dopo l’identificazione, ricevono il decreto contenente l’ordine di allontanamento dal territorio nazionale”.

http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2015/11/2015_Ministero_Interno_14106_6-_10_accoglienza.pdf

http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2016/01/2016_Ministero_Interno_accesso_asilo_garanzie_modalita.pdf

Oltre a produrre la “clandestinizzazione” forzata di centinaia di persone abbandonate senza mezzi e documenti in aperta campagna, nella zona industriale di Agrigento, o alle porte dei paesi più vicini, con possibili ripercussioni sul piano dell’ordine pubblico, l’adozione immediata di questi provvedimenti amministrativi ha conseguenze particolarmente gravi, sia per l’esclusione da un accesso immediato al sistema di accoglienza, per quanti successivamente presentino una richiesta di protezione internazionale, sia per le conseguenze penali che ne possono derivare quando le persone, già identificate attraverso il rilascio delle impronte digitali, trovano accoglienza in altre città e si fermano nel territorio nazionale per formalizzare una richiesta di asilo.

Le questure che adottano i provvedimenti di respingimento differito “con accompagnamento alla frontiera”, pur non rilasciando ai destinatari di questi provvedimenti i mezzi ed i documenti per raggiungere la frontiera indicata nel provvedimento e di lasciare quindi il territorio nazionale, o di fare ricorso preventivamente al rimpatrio volontario, adottano un contestuale ( al respingimento) “ordine” di lasciare il territorio nazionale “entro il termine di cinque (7) giorni (!) dalla notifica” recandosi “presso la Frontiera di Roma Fiumicino”. In alcuni provvedimenti nei quali si riscontra tale intimazione si nota anche un evidente errore nel formulario utilizzato, probabilmente ricalcato sulla scorta di quello precedentemente in uso, quando il termine per “lasciare” l’Italia era di cinque e non di sette giorni (seven days) come adesso. Questo provvedimento sembrerebbe però riferito a norme che oggi non sono più in vigore e che in passato facevano riferimento alla possibilità di incorrere, in caso di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio, nell’applicazione di sanzioni penali a carattere detentivo (reclusione). Al riguardo si nota anche un evidente errore nel formulario utilizzato, evidentemente riciclato sulla scorta di quello precedentemente in uso, quando il termine per “lasciare” l’Italia era di cinque e non di sette giorni (seven days) come adesso.

Queste sono però le norme penali del vigente Testo Unico in materia di immigrazione, n.286/98, per i casi di inottemperanza dell’ordine a lasciare entro sette giorni il territorio nazionale a seguito di un provvedimento di respingimento differito:

Art. 14 del Testo Unico n.286/98

5-bis. Allo scopo di porre fine al soggiorno illegale dello straniero e di adottare le misure necessarie per eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione o di respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di sette giorni, qualora non sia stato possibile trattenerlo in un Centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza presso tale struttura non ne abbia consentito l’allontanamento dal territorio nazionale. L’ordine e’ dato con provvedimento scritto, recante l’indicazione, in caso di violazione, delle conseguenze sanzionatorie. L’ordine del questore puo’ essere accompagnato dalla consegna all’interessato, anche su sua richiesta, della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonche’ per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio.

5-ter. La violazione dell’ordine di cui al comma 5-bis e’ punita, salvo che sussista il giustificato motivo, con la multa da 10.000 a 20.000 euro, in caso di respingimento o espulsione disposta ai sensi dell’articolo 13, comma 4, o se lo straniero, ammesso ai programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all’articolo 14-ter, vi si sia sottratto. Si applica la multa da 6.000 a 15.000 euro se l’espulsione e’ stata disposta in base all’articolo 13, comma 5. Valutato il singolo caso e tenuto conto dell’articolo 13, commi 4 e 5, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis del presente articolo. Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo, nonche’, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all’articolo 13, comma 3.

Nello stesso ordine di allontanamento impartito dal Questore di Agrigento si informa invece lo straniero che ” se qualora, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio dello Stato in violazione di questo ordine è punito con la reclusione da un anno a quattro anni, in tal caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ( articolo 14 comma 5 ter D.L.vo 286/98, modificato dalla legge 271/04). Lo straniero espulso ai sensi del comma 5 ter dell’art. 14 del D.L.vo 286/98, così come modificato dalla legge 271/04, che viene trovato nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da uno a cinque anni ( art. 14 comma 5 quater D.L.vo 286/98 modificato)”.

Non si comprende perchè la Questura di Agrigento, ancora nel gennaio del 2016, richiami l’art. 14 comma 5 ter del T.U. 286/98, nella formulazione modificata dalla legge 271 del 2004, che prevede in caso di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio una serie di sanzioni detentive, e non faccia riferimento alcuno alle successive modifiche che questa stessa norma ha subito per effetto delle successive Legge 15 luglio 2009, n. 94 con una previsione che successivamente è stata sostituita dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89, come modificato dalla L. di conversione 2 agosto 2011, n. 129 , che non prevede più la misura detentiva, ma fa richiamo soltanto ad un reato contravvenzionale, che implica l’applicazione di una sanzione pecuniaria, come sembrerebbe correttamente ritenuto dalla Questura di Bologna.

Giova ricordare come la modifica legislativa che aboliva la pena detentiva in caso di inottemperanza all’ordine ( il primo ) di lasciare il territorio nazionale fosse imposta da una importante decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che nel 2011, in conformità alla Direttiva sui rimpatri ( 2008/115/CE) costringeva il legislatore italiano a modificare il testo degli artt. 13 e 14 del T.U. n.286 del 1998, prima vigenti.

http://www.altalex.com/documents/news/2011/04/28/immigrati-corte-ue-boccia-reato-clandestinita

http://www.meltingpot.org/Direttiva-rimpatri-Il-reato-di-clandestinita-e.html#.VqlZsodzOM8

http://www.immigrazione.biz/approfondimenti/divieto_di_reclusione_carceraria_agli_immigrati_clandestini_durante_il_rimpatrio.php

Prima di adottare direttive e regolamenti in materia di nuovi controlli di frontiera l’Unione Europea farebbe bene a verificare come funzionano davvero quelli esistenti.

Concluso il vertice di Amsterdam: nuovi hotspot e ripristino controlli alle frontiere

Un giovane migrante nigeriano, sbarcato a Lampedusa per ragioni di soccorso l’11 gennaio 2016, respinto con decreto del Questore di Agrigento del 14 gennaio di questo stesso anno, per il quale era stato presentato ricorso contro il provvedimento di “respingimento differito”, con richiesta di sospensiva, ancora pendente innanzi al Tribunale di Palermo, una volta raggiunta Bologna, dopo essersi recato in Questura in data 25 gennaio 2015, accompagnato da un assistente sociale del centro di accoglienza presso il quale alloggiava, prima ancora di aver formalizzato richiesta di asilo con il modello C 3, a seguito della richiesta di fotosegnalamento, nella quale, alle ore 14,20 del 25 gennaio scorso, si dava comunque atto della qualità di richiedente asilo, è stato considerato, appena pochi minuti prima che potesse proporre la relativa istanza, come persona sottoposta alle indagini per il reato di cui all’art. 14 comma 5 ter T.U. 286/98

Alle ore 14,00 del 25 gennaio scorso, infatti, gli si è comunicato di essere indagato a piede libero, per non aver ottemperato all’ordine del Questore ( di Agrigento) di abbandono del territorio nazionale nel termine di sette giorni. Anche se la Circolare ministeriale diffusa a gennaio, dopo avere premesso che “il diritto a presentare domanda di asilo… può essere esercitato dall’interessato in qualsiasi momento, anche quando già si trova da tempo in Italia” chiarisce che “non può essere aprioristicamente escluso che un somalo o un nigeriano o un cittadino di qualunque altra nazionalità possa trovarsi in concreto nella condizione di potere richiedere la protezione internazionale”.

Si chiude così il cerchio attorno a persone prima private del diritto di informazione sulla possibilità di accedere alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, quindi trasferite da Lampedusa a Porto Empedocle in traghetto, e qui immediatamente raggiunti da un provvedimento di respingimento differito, che non appena queste stesse persone contattano un ufficio di questura per presentare una richiesta di asilo, può comportare l’avvio di un procedimento penale. Di un ulteriore procedimento penale, se trova ancora conferma la prassi adottata in provincia di Agrigento di comunicare alla Procura della Repubblica di Agrigento i nomi di tutte le persone soccorse a Lampedusa e ritenute “migranti economici”, per i quali si dovrebbe aprire un procedimento penale per il reato di ingresso clandestino ( art. 10 bis del T.U. n.286/98), ancora vigente, malgrado l’ordine del giorno adottato dal Parlamento nazionale per la sua abrogazione.

Con la depenalizzazione dell’art.10 bis anche i processi relativi all’art. 14 c.5 ter del T.U. dell’Immigrazione potranno diminuire notevolmente

http://www.teleacras.com/home_02/index.php?option=com_content&task=view&id=41967

Sono circa 16mila i procedimenti penali di clandestinità che la Procura della Repubblica di Agrigento archivierà a seguito della depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina dopo l’entrata in vigore del nuovo Disegno di legge sulle pene alternative. Il Procuratore, Renato Di Natale, spiega : “terremo presenti i migranti come testimoni, ma non ha senso colpire loro, artefici di alcun crimine e finora penalizzati da una normativa che mirava solo all’espulsione”. (04.04.2014)

Ma la depenalizzazione del reato non è ancora entrata in vigore. Ed il governo ha ritirato per l’ennesima volta la norma di legge che avrebbe finalmente abrogato l’art. 10 bis del t.U. 286 del 1998. Quante altre migliaia di procedimenti penali si dovranno aprire per questo reato di nessuna utilità, che si rivela persino un intralcio per portare avanti le indagini contro gli scafisti ed i trafficanti ?

Malgrado il moltiplicarsi dei provvedimenti di “respingimento differito”, ancora oggi a Lampedusa sono stati sbarcati oltre cento migranti soccorsi nelle acque del canale di Sicilia, e oltre mille ne sono arrivati nei porti siciliani in un solo giorno, si può attendere una ulteriore crescita dei procedimenti penali a carico di persone che giungono in Italia, si fanno identificare attraverso il prelievo delle impronte digitali, senza opporre alcuna resistenza, e presentano una richiesta di protezione internazionale, una volta che raggiungono un ufficio di questura che non nega loro l’accesso alla procedura sulla base del pregresso provvedimento di respingimento differito. E intanto il “nuovo” HOTSPOT di Lampedusa rischia di trasformare il centro di Contrada Imbriacola e l’intera isola in un carcere a cielo aperto.

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2016/01/27/news/migranti_oltre_mille_persone_sbarcate_fra_augusta_e_pozzallo-132161685/

Per alcuni che vengono trattenuti mesi a Lampedusa perchè, come gli Eritrei o i Somali, si rifiutano di farsi prelevare le impronte digitali, volendo chiedere asilo in altri paesi europei, altri migranti distinti in base alla nazionalità, come Nigeriani, Burkina, Maliani, o Camerunensi, vengono fotosegnalati con la massima tempestività, al punto che non riescono neppure a presentare una richiesta di asilo prima di ricevere un provvedimento di respingimento differito. Per loro il traghetto per Porto Empedocle parte ogni giorno. Chi parte subito e chi viene trattenuto a tempo indeterminato, le due facce di Lampedusa, le due facce della stessa politica basata sulla selezione dei migranti in base alla nazionalità di provenienza ed al prelievo delle impronte digitali, anche con il ricorso all’uso della forza. Si chiama “pratica Hotspot”. E la rilocazione verso altri paesi europei rimane comunque un miraggio.

Lampedusa, l’hotspot si trasforma in carcere versione testuale
Articolo di Luca Insalaco – Lampedusa

(26 gennaio 2016) – Da un mese e mezzo sono trattenuti sull’isola di Lampedusa, a causa del loro rifiuto di rilasciare le impronte digitali agli agenti di polizia. Per i migranti arrivati sull’isola tra la fine dello scorso mese di novembre e i primi di dicembre i confini dell’isola sono le mura di un carcere a cielo aperto. “Guantanamo” la chiama un eritreo che non riesce a trovare una spiegazione a quello che sta accadendo. Per tutti l’Italia dovrebbe essere terra di passaggio, luogo di transito verso altre e più desiderabili mete europee. C’è chi ha amici insediatisi in Svezia, chi vorrebbe ricongiungersi con i parenti integratisi in Gran Bretagna. Pur facendo parte degli stranieri “desiderati”, non credono alla storia della “relocation”, il famigerato meccanismo di ricollocamento nei paesi Ue che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere quote di richiedenti asilo di tre nazionalità (iracheni, siriani ed eritrei), bypassando i vincoli del Regolamento di Dublino.
Centonovanta: il dato dei profughi effettivamente ricollocati dall’Italia verso altri paesi Ue mostra più di ogni discorso il fallimento del sistema voluto dalle istituzioni europee per alleggerire il peso dei flussi migratori sui paesi di frontiera, Italia e Grecia, in cambio di un maggiore rigore nelle procedure di identificazione. Gli eritrei di Lampedusa non conoscono i dati, ma hanno ascoltato le storie di chi li ha preceduti nel nostro Paese. Racconti di connazionali arrivati sul finire dell’estate e abbandonati al loro destino appena superato lo scoglio lampedusano.
Non hanno solcato mari e deserti infuocati, affrontato i pericoli del viaggio e superato gli orrori dell’Isis per essere abbandonati in mezzo a una strada. Ecco perché hanno protestato lo scorso dicembre, sfilando per le vie dell’isola al grido “no fingerprints!” Una protesta che si è ripetuta poco dopo Capodanno, quando un gruppo di loro ha dormito al freddo, sotto la pioggia, nella piazza antistante alla Chiesa di San Gerlando, mentre donne e bambini trovavano riparo all’interno del tempio. La risposta governativa è stato il trasferimento nel Cie di Trapani di 7 stranieri, ritenuti, forse, i leader della protesta. Non hanno fatto in tempo a partecipare all’apertura delle due porte giubilari dell’isola, quella del Santuario della Madonna di Porto Salvo e la Porta d’Europa, che si sono svolte sabato 16 e domenica 17 gennaio. Per loro si sono aperte soltanto le porte di una cella, dove ad alcuni sono state prelevate le impronte, probabilmente con metodi più convincenti.
(Luca Insalaco – Lampedusa)

http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=78391

Dopo il chiaro indirizzo espresso con la circolare emanata a gennaio dal Ministero dell’interno sulla legittimità delle procedure di informazione e sul diritto all’accesso al procedimento per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale ( o umanitaria), in base alla normativa vigente in Italia, non derogabile da prassi amministrative contrarie, si attende un intervento del Ministero della Giustizia per chiarire la residua portata applicativa dell’art. 10 bis ( reato di immigrazione clandestina) una sua sollecita abrogazione, e una verifica dei procedimenti penali aperti in base all’art. 14 del T.U. n.286/98 a carico di persone che giungono nel nostro paese e manifestano la volontà di chiedere asilo, indipendentemente dal tempo spesso molto ritardato in cui queste richieste vengono formalizzate con la compilazione del modello C 3.

Le sanzioni penali nei confronti di persone soccorse in mare ed entrate da pochi giorni nel nostro territorio contribuiscono soltanto a criminalizzare interi gruppi di migranti, e alimentano fenomeni di dispersione e di emarginazione sociale, se non di vera e propria frustrazione, che possono avere effetti devastanti sulla convivenza sociale e sulla sicurezza, dei cittadini ma anche degli “stranieri”, su quella sicurezza che tanti sostengono di voler garantire, adottando magari provvedimenti che vanno in direzione contraria.

http://www.publicpolicy.it/problema-lampedusa-raccolta-impronte-55725.html

http://www.agenzia.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/498925/Migranti-abbandonati-e-invitati-a-rimpatriare-la-denuncia-della-Caritas#

“Migranti abbandonati e invitati a rimpatriare”: la denuncia della Caritas
Succede ad Agrigento, dove si è consolidata la prassi del respingimento differito. Landri (Caritas): “Una presa in giro, perchè si sa che non potranno acquistare un biglietto del treno o dell’autobus per andarsene”. Inoltre “si lasciano le persone in balìa di delinquenti e criminalità”

27 gennaio 2016 – 11:51
PALERMO – “Nel territorio di Agrigento, provenienti da Lampedusa e passando per Porto Empedocle, si assiste senza sosta al transito di gruppi di migranti ‘abbandonati’ a loro stessi in esecuzione di disposizioni di respingimento in quanto riconosciuti erroneamente ‘migranti economici’ e non richiedenti asilo. E’ auspicabile che tutte le organizzazioni internazionali preposte a dare la giusta informativa sui diritti si spendano concretamente al porto e negli hotspot per aiutare i migranti a dichiarare la loro posizione giuridica di rifugiato”.
La denuncia è della Caritas di Agrigento che dal mese di ottobre ad oggi ha aiutato, assistito e per quanto è stato possibile, ospitato e accompagnato un buon numero di migranti, originari dell’Africa sub-shariana tutti ‘potenziali richiedenti asilo’. Si è ormai definita, infatti, la prassi di accompagnare i migranti presso stazioni dei treni o dei bus perché adempiano ‘volontariamente’ all’invito a ritornarsene in patria entro il termine di 7 giorni da Fiumicino. Essendo persone che non possono pagarsi un biglietto di treno, alcuni di loro rischiano in proprio la vita seguendo a piedi i binari. In qualche modo dopo alcune segnalazioni la Caritas ha cercato di aiutarle in vario modo anche con alcuni interventi di mediazioni sociale e culturale. La stessa, però, non ha strutture ampie per poterli accogliere tuttti ma soltanto due rifugi per un massimo di 18 persone. Anche qualche parrocchia ha cercato di assistere i migranti.
“A parte le questioni di diritto che porterebbero a definire come illegittima la veloce procedura che porta al respingimento differito – sottolinea con forza il direttore della Caritas Valerio Landri – argomento che stiamo sollevando presso le più competenti sedi – ci si chiede dove sia l’opportunità e quali siano le motivazioni che spingono le istituzioni ad abbandonarli nelle stazioni dell’entroterra pur sapendo perfettamente che non sarà loro possibile prendere il treno senza un biglietto che certamente non potranno acquistare”. “È poi verosimile che, dopo aver attraversato deserto, violenze di ogni tipo e aver rischiato la morte, i migranti decidano di rientrare volontariamente in patria? Con quali soldi, poi? – continua Landri -. Sono ormai a centinaia le persone transitate dalla nostra provincia, respinte e ormai ufficialmente ‘clandestine’ senza diritti. Molti hanno presentato ricorso, tanti si sono affidati a trafficanti locali per proseguire il loro viaggio senza speranza”.
“Un sistema di governo che funzioni – tuona ancora Valerio Landri – deve prendere in carico la persona dall’inizio fino alla fine della sua permanenza in Italia. Il sistema del respingimento differito è una presa in giro e lo Stato lo sa benissimo. In questo modo non si fa altro che perpetuare lo stato di ‘clandestinità’ creata dallo stesso sistema, lasciando questi soggetti più deboli in balia di delinquenti e criminalità. Soprattutto non è pensabile che la chiesa e tutte le organizzazioni di volontariato possano tamponare questo buco enorme di prassi generato dallo Stato”.
Nei giorni scorsi nella notte è avvenuto l’ennesimo abbandono, questa volta alla stazione di Aragona Caldare, luogo fuori mano e lontano da occhi indiscreti. Il gruppo di migranti ha iniziato il suo cammino verso Agrigento, fermandosi all’ospedale San Giovanni di Dio per cercare riparo. Si sono riversati poi in centro città. Anche per loro è iniziato il difficile percorso di ricerca di un alloggio, di cibo, vestiti, di assistenza legale. I migranti ai volontari raccontano di aver firmato un “foglio notizie” del quale non comprendono l’esatto valore: un foglio che trasmesso senza alcuna informazione tende a trasformare potenziali richiedenti asilo in “migranti economici” da respingere, ma con un respingimento differito, ai sensi dell’art. 10 comma 2 del T.U. n.286 del 1998.
“Facciamo un caloroso invito alle istituzioni agrigentine – continua il direttore della Caritas Valerio Landri – a rivedere questa prassi di abbandono affinchè si attivino per una presa in carico integrale di quanti continueranno a sbarcare sulle nostre coste. Non si chiede una deroga alla legge, ovviamente, ma una sua piena attuazione nel rispetto della dignità dell’individuo”. “Da un lato abbiamo i racconti dei migranti – continua Landri – che ci dicono che le informazioni che gli vengono date non sono comprensibili e le ricevono appena sbarcati anche in un momento di particolare stanchezza per il viaggio tragico che hanno affrontato e dall’altro le istituzioni che dichiarano di rispettare le regole. E’ una parola contro l’altra che però non ci fa andare avanti ma che deve essere affrontata nelle opportune sedi politiche “.
“La cosa urgente che più ci angoscia – continua – è quella di portare avanti una prassi che non riteniamo assolutamente etica. Non si possono continuare a lasciare decine di persone confuse ed abbandonate a loro stesse senza intervenire in maniera adeguata. In realtà nell’inerzia dello Stato, in questo vuoto c’è una sorta di para-stato che si sta attivando che è quella dei trafficanti di uomini senza scrupoli. Naturalmente lo Stato lo sa che un provvedimento di respingimento differito non avrà esecuzione perché è evidente che nessuno di loro si recherà a Fiumicino”. (Serena Termini)

ASGI AL MINISTERO DELL’INTERNO:

Modificare subito le prassi amministrative per garantire sempre i diritti di ogni straniero soccorso in mare e sbarcato: ricevere informazioni complete e comprensibili sulla sua condizione giuridica, manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, non essere respinto o espulso soltanto per la sua nazionalità, non essere trattenuto soltanto per identificazione

Documento del Consiglio direttivo del 21/10/2015

Dopo che il Consiglio europeo ha approvato nel settembre 2015 le decisioni sulla ricollocazione dei richiedenti asilo dall’Italia verso altri Stati dell’Unione europea, in Italia le forze di polizia e le autorità di pubblica sicurezza sembrano avere modificato le prassi circa il soccorso, l’identificazione e l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei migranti stranieri soccorsi e sbarcati.
Le nuove prassi paiono motivate anche dall’obiettivo imposto dal Ministero dell’Interno di attuare in Italia gli Hot Spot (metodi o luoghi, la cui istituzione e attività è di per sé priva di alcuna efficacia giuridicamente vincolante in Italia perché nessuna norma italiana o dell’UE li precisa) e gli impegni presi dal Governo italiano nella Italy’s road map inviata il 15 settembre alla Commissione europea per poter fruire della ricollocazione dei richiedenti asilo sbarcati in Italia (impegni privi di qualsiasi efficacia giuridica diretta nel diritto nazionale perché sono inseriti in un mero documento di lavoro riservato).
Tali nuove prassi adottate spesso comportano atti illegittimi e lesivi dei diritti di cui godono i migranti e i richiedenti asilo soccorsi in mare e sbarcati sul suolo italiano.
In particolare si segnalano molti casi di provvedimenti di respingimento adottati dai Questori nei confronti di stranieri soccorsi in mare e sbarcati sul territorio italiano, attuati prima che potessero effettivamente manifestare la loro volontà di presentare domanda di asilo. Tali provvedimenti sono stati adottati soprattutto in Sicilia e nell’ambito dei cd. “Hotspot” di recente attivazione (a Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa), che sembrano configurati come luoghi chiusi nei quali operano le forze di polizia italiane, supportate dai rappresentanti delle agenzie europee (Frontex, Europol, Eurojust ed EASO, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), in cui gli stranieri appena sbarcati in Italia sono sottoposti a rilievi fotodattiloscopici ai fini della loro identificazione e sarebbero poi distinti e qualificati come richiedenti asilo o migranti economici e a seconda di questo tipo di “catalogazione” sommaria sarebbero poi inviati alle strutture di accoglienza per richiedenti asilo oppure sarebbero destinatari di un provvedimento di respingimento per ingresso illegale e poi lasciati sul territorio italiano senza alcuna misura di accoglienza non essendo comunque possibile alcun rimpatrio.
In proposito occorre ribadire l’esigenza di garantire sempre i diritti fondamentali degli stranieri soccorsi e sbarcati, nei cui confronti invece talvolta si adottano atti illegittimi e perciò si chiede al Ministero dell’Interno di intervenire subito per farli cessare immediatamente e per provvedere in modo generale a colmare eventuali lacune e a prevenire interpretazioni o prassi non conformi alle norme vigenti in modo da evitare discrezionalità eccessiva e il ripetersi di atti illegittimi, anche impartendo precise direttive o circolari o predisponendo norme regolamentari.

1. Ogni straniero soccorso in mare e sbarcato ha il diritto di ricevere informazioni complete e comprensibili sulla sua situazione giuridica e ha il diritto di manifestare in qualsiasi momento (anche quando già si trova da tempo in Italia) la volontà di presentare domanda di asilo.

A tale fine le autorità che provvedono al soccorso e allo sbarco devono con la massima cautela e comprensione (anche in rapporto alle condizioni di salute e ai traumi patiti nel viaggio e nel salvataggio) dedicare tempo per comprendere la situazione di ogni persona straniera soccorsa e la sua provenienza, la sua età, i suoi legami familiari, i motivi del viaggio verso l’Italia, la presenza di familiari in Italia o in altri Stati UE, le circostanze del viaggio e dell’eventuale naufragio.
Nel fare ciò è evidente che lo straniero deve potersi esprimere nella sua lingua e deve ricevere informazioni precise e complete sulla sua condizione giuridica nella sua lingua.
In particolare deve comprendere modi e tempi per manifestare la volontà di presentare domanda di asilo e deve comprendere tempi e modi delle procedure di presentazione della domanda in Italia, incluse le procedure di identificazione, nonché delle possibilità (o impossibilità) di presentare domanda di asilo in altri Stati dell’UE e delle possibilità di essere ricollocato come richiedente asilo in altro Stato UE.
Si ricorda che il decreto legislativo n. 142/2015 (attuativo della Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale e della Direttiva 2013/32/UE sulla qualifica della protezione internazionale) qualifica come richiedente asilo/protezione internazionale colui che ha “manifestato la volontà di chiedere tale protezione” (cioè prima ancora di avere verbalizzato la richiesta) e chiarisce che le misure di accoglienza si riferiscono ai “richiedenti protezione internazionale nel territorio nazionale, comprese le frontiere e le relative zone di transito, nonché le acque territoriali, e dei loro familiari inclusi nella domanda di protezione internazionale” (art. 1, comma 1) e che le misure di accoglienza “si applicano dal momento della manifestazione della volontà” (art.1, comma 2).
In proposito si ricorda che le navi italiane in mare aperto sono comunque considerate territorio italiano dall’art. 4 del codice della navigazione, sicché di queste misure la persona deve potere fruire fin dal suo soccorso a bordo delle navi.
Nessuno può verificare con certezza se prima dell’adozione di provvedimenti di respingimento o di espulsione, lo straniero sia stato effettivamente informato in modo completo e in lingua a lui comprensibile del diritto di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, alla quale consegue il diritto ad avere tutte le informazioni sull’accoglienza e sulla possibilità di contattare le organizzazioni umanitarie, anche ai centri alle frontiere (come prescrive l’art. 10-bis d.lgs. n. 25/2008, introdotto dal d.lgs. n. 142/2015).
Nessuno sa, dunque, se lo straniero abbia potuto effettivamente manifestare la volontà di chiedere la protezione internazionale, in quanto non vi è alcun controllo né sulle navi, né negli uffici di polizia, né nei centri di accoglienza.

2. Ogni straniero soccorso in mare e sbarcato in Italia e sprovvisto di titoli per il soggiorno non può essere respinto od espulso senza una valutazione completa della situazione della persona o soltanto perché le autorità di pubblica sicurezza presumono che la sua nazionalità o lo Stato di provenienza non abbia alcuna rilevanza ai fini di un’ipotetica domanda di asilo o sulla base di accordi bilaterali conclusi in forma semplificata con gli Stati di origine

Non è possibile comprendere quali siano i criteri in base ai quali ogni straniero soccorso e sbarcato è poi distinto tra richiedente asilo o migrante economico e a tal fine non può essere sufficiente neppure ciò che dice lo straniero stesso senza un accertamento approfondito della sua situazione.
Anche la Cassazione ha ribadito il dovere della Pubblica amministrazione di informare tutti i cittadini stranieri al loro arrivo della possibilità e del significato di avanzare una domanda di protezione internazionale ed anzi ha espressamente affermato il principio secondo cui “qualora vi siano indicazioni che cittadini stranieri o apolidi, presenti ai valichi di frontiera in ingresso nel territorio nazionale, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, le autorità competenti hanno il dovere di fornire loro informazioni sulla possibilità di farlo, garantendo altresì servizi di interpretariato nella misura necessaria per favorire l’accesso alla procedura di asilo, a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento” (Cass., sez. VI civ., ord. 5926 del 25.03.2015).
Infatti i provvedimenti di respingimento disposti dai Questori sono motivati in modo assai sommario senza alcuna descrizione precisa e individualizzata della situazione dell’interessato che potrebbe essere comunque inespellibile a seguito di altre circostanze che le autorità devono rilevare d’ufficio anche a prescindere da una sua manifestazione di volontà di presentare domanda di asilo, perché p.es. nel suo Paese sarebbe oggetto di persecuzione (divieto di espulsione o respingimento previsto dall’art. 19, comma 1 del d. lgs. n. 286/1998) o di violenze o di conflitti o di torture o di trattamenti inumani o degradanti (divieto imposto ad ogni Stato dall’art. 3 CEDU).
In ogni caso una persona che entri irregolarmente nel territorio dello Stato, ma che manifesta la volontà di presentare domanda di asilo in via generale non può mai essere destinatario di un provvedimento di respingimento (art. 10, comma 4, e art. 19, comma 1 d. lgs. n. 286/1998).
Inoltre allorché una persona manifesti volontà di presentare domanda di asilo dopo che ha già ricevuto un provvedimento di respingimento ha comunque diritto di restare sul territorio dello Stato fino alla decisione definitiva sulla sua domanda (art. 7 d. lgs. n. 25/2008) e il Questore deve comunque revocare il provvedimento che in base all’art. 10, comma 4 d. lgs. n. 286/1998 cessa di avere efficacia in caso di applicazione delle norme sul diritto di asilo; in tali ipotesi va altresì revocato, perché privo di ogni base giuridica anche l’ordine di lasciare il territorio nazionale impartito dal questore ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis d. lgs. n. 286/1998 e dunque in tali casi non si può neppure disporre il trattenimento di questo straniero per il solo fatto che non ha ottemperato a tale ordine.
Peraltro, ogni provvedimento di respingimento deve ritenersi comunque nullo allorché lo straniero sia stato ammesso nel territorio dello Stato per necessità di pubblico soccorso quando è stato soccorso in acque internazionali ed è giunto in Italia soltanto perché trasportato in Italia da una nave che l’ha soccorso in virtù degli obblighi previsti dal diritto internazionale del mare.
In ogni caso, le persone salvate e sbarcate che sono oggetto di respingimento (ma ciò avviene anche in diversi aeroporti e porti italiani) sono stranieri che avrebbero dichiarato di essere migranti economici e che perciò consapevolmente dichiaravano di non volere protezione e di essere quindi migranti economici.
Tuttavia più probabilmente si è trattato di casi di fraintendimento derivante dal fatto che taluni stranieri sono analfabeti o non comprendono bene la lingua con cui si parla loro o i moduli che sono loro forniti, il che è stato verosimilmente favorito dalle forze di polizia, che (tra l’altro) in questi giorni hanno apprestato un formulario da sottoporre ai richiedenti al loro arrivo, strutturato in forma di risposta multipla relativa alle ragioni per le quali si è deciso di venire in Italia, in cui compaiono diverse possibili risposte legate a motivazioni economiche, ma non l’intenzione di richiedere protezione internazionale. Al contempo, è noto come nel corso dell’ultimo anno moltissimi cittadini egiziani e tunisini sbarcati in Sicilia siano stati rimpatriati forzatamente nell’immediatezza del loro arrivo, subito dopo una intervista condotta tramite un mediatore delle forze dell’ordine dalla quale emergeva che l’interessato non voleva avanzare domanda di protezione internazionale ma era giunto in Italia per ragioni esclusivamente economiche. L’intervista era condotta senza la presenza di un avvocato o di un organo di garanzia. Appare poco plausibile che nessuno di questi stranieri avesse voluto presentare la domanda di protezione internazionale, mentre è ragionevole supporre che le forze di polizia abbiano indotto lo straniero ad essere frainteso.
In definitiva, nessuna norma attribuisce alle forze di polizia la facoltà di distinguere tra richiedenti asilo (inespellibili) e migranti economici irregolari (espellibili), sicché i fatti che si ripetono con costanza in questi giorni sono realisticamente da imputare a una prassi illegittima delle forze dell’ordine contraria alla normativa italiana ed europea e configurante verosimilmente un comportamento illecito.
Occorre dunque cambiare fin da subito questa prassi, modificare i formulari di pre-identificazione prevedendo espressamente anche la richiesta di asilo e di protezione internazionale ed anzi fare in modo che in tutti i valichi di frontiera e nei luoghi preposti alla raccolta delle domande di asilo e/o all’identificazione degli stranieri giunti irregolarmente sia comunque previsto in modo chiaro e riconoscibile (anche scritto in varie lingue conoscibili agli stranieri) un canale o uno sportello che consenta sempre la presentazione delle domande di asilo.
In ogni caso è forte il dubbio che la selezione tra richiedenti asilo e “migranti economici” avvenga sulla base di affermazioni fatte nell’immediatezza del soccorso dagli stranieri che spesso si trovano in situazione di disorientamento o di impaurimento e che non sono completamente informati delle conseguenze delle loro affermazioni oppure sulla base della nazionalità dichiarata dagli stranieri sbarcati o meramente supposta, il che però viola sia il diritto d’asilo (che consente a chiunque di avere accesso alla procedura per l’esame della propria domanda da parte della competente autorità, cioè in Italia le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale), sia il divieto di espulsioni o respingimenti collettivi, previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione europea dei diritti umani, reso esecutivo in Italia con d.p.r. 14 aprile 1982, n. 217, la cui violazione da parte dell’Italia è già stata accertata più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che l’ha condannata perché sulle navi o nei centri di primo soccorso e accoglienza il respingimento è stato disposto senza alcuna forma di esame individuale di ogni straniero o da parte di personale impreparato per effettuare delle interviste a ciascuno e senza che i respinti abbiano avuto a disposizione degli interpreti o dei consulenti legali e ciò per la Corte è sufficiente per affermare l’assoluta assenza di garanzie sufficienti per valutare realmente ed individualmente la situazione dei migranti presi a bordo o soccorsi a terra. (si vedano le sentenze della Cedu 21.10.2014, caso 16643/09 Sharifi e altri contro Italia e Grecia, caso 27765/09 23.02.2012 Hirsi Jamaa ed altri c. Italia).
In particolare, la Corte, proprio a proposito di respingimenti disposti dal Questore nei confronti di stranieri (tunisini) soccorsi e ospitati in un centro di primo soccorso e accoglienza, ha affermato che il divieto di espulsioni collettive è violato ogniqualvolta decreti di respingimento siano disposti nei confronti di stranieri della medesima nazionalità che si trovino in analoghe circostanze e non contengano alcun riferimento alla situazione personale degli interessati ovvero non si possa provare che i colloqui individuali sulla situazione specifica di ogni straniero si siano svolti prima dell’adozione di questi decreti, ovvero allorché gli accordi bilaterali con i loro Stati di provenienza non sono stati resi pubblici e prevedano il rimpatrio dei migranti irregolari tramite procedure semplificate, sulla base della semplice identificazione della persona interessata da parte delle autorità consolari (si veda la sentenza della CEDU 1.09.2015 Khlaifia e altri c. Italia nella causa n. 16483/12).
In proposito è inquietante che nel documento Italy’s Roadmap si affermi che il Ministero dell’Interno sta cercando di stipulare Accordi veloci con alcuni paesi per agevolare i rimpatri forzati; tra essi vi sono Paesi dai quali provengono gran parte dei richiedenti asilo in Italia (Gambia, Costa d’Avorio, Pakistan, Bangladesh) e che hanno diritto di accesso alla procedura per l’esame della domanda ed eventualmente a rivolgersi all’Autorità giudiziaria in caso di esito negativo.
Si tratta, in ogni caso, di accordi che comportano atti di natura politica (trattandosi spesso di accordi con regimi non democratici) o che incidono su materia coperta da riserva di legge e perciò devono essere comunque sottoposti a legge di autorizzazione alla ratifica da parte delle Camere ai sensi dell’art. 80 Cost., in mancanza della quale la loro applicazione è del tutto illegittima.

3. Ogni straniero soccorso in mare e sbarcato può essere sottoposto ad identificazione soltanto nei casi, nei modi e nei termini previsti dalle norme UE e dalle norme italiane, ma in generale non può essere sottoposto a misure coercitive per i rilievi fotodattiloscopici, né può essere trattenuto con misure coercitive al solo fine di essere identificato

Il regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (entrato in vigore il 20 luglio 2015) istituisce il sistema EURODAC e prescrive di effettuare i rilievi fotodattiloscopici nei confronti di stranieri di età non inferiore a 14 anni che abbiano presentato domanda di protezione internazionale (art. 9), o che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera in provenienza da un paese terzo e che non siano stati respinti, o che rimangano fisicamente nel territorio e che non siano in stato di custodia, reclusione o trattenimento per tutto il periodo che va dal fermo all’allontanamento sulla base di una decisione di respingimento (art. 14) e in entrambi i casi i rilevamenti devono essere effettuati quanto prima e devono essere trasmessi al sistema centrale EURODAC entro 72 ore.
In presenza di tali obblighi identificativi da parte delle autorità la legislazione italiana consente agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza al più di accompagnare gli stranieri per l’identificazione (art. 4 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art. 6, comma 4 d. lgs. n. 286/1998) e in particolare l’identificazione del richiedente asilo può essere effettuata presso luoghi aperti e non già presso luoghi “chiusi”, cioè deve avvenire presso i centri di primo soccorso e accoglienza (art. 8, comma 2 d. lgs. n. 142/2015) o presso i centri governativi di prima accoglienza (art. 9 d. lgs. n. 142/2015) o presso le questure (art. 11, comma 4 d. lgs. n. 142/2015), salve le ipotesi di richiedente asilo che sia trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione.
Infatti, i rilievi fotodattiloscopici non possono avvenire con misure limitative della libertà personale fuori delle ipotesi previste dalla legge di trattenimento in un centro di identificazione e di espulsione disposto nei confronti di straniero già espulso (art. 14 d. lgs. n. 286/1998), o nei confronti di richiedenti asilo che abbiano presentato la domanda di asilo quando erano già destinatari di provvedimenti di espulsione o sottoposti a provvedimento di trattenimento (cioè che chiedano asilo dopo quei provvedimenti), o che siano ritenuti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica (avendo subito condanne per determinati reati) o se pericolosi socialmente o sospetti terroristi, o nel caso di rischio di fuga (se il richiedente asilo ha, precedentemente alla domanda di asilo, fornito sistematicamente false generalità al solo scopo di impedire l’esecuzione o l’adozione del provvedimento di espulsione) (art. 6 d. lgs. n. 142/2015).
Al di fuori di quelle ipotesi, dunque, non è legittimo alcun trattenimento dei richiedenti asilo.
Anche il regolamento UE che istituisce EURODAC ingiunge di effettuare i rilievi quanto prima, mentre il termine di 72 ore riguarda soltanto la trasmissione dei rilievi già fatti agli organismi europei e non autorizza di per sé alcuna forma di trattenimento.
Inoltre ogni eventuale imposizione al richiedente asilo a non lasciare un determinato luogo o a soggiornare in un altro determinato luogo può derivare soltanto dagli obblighi di permanenza notturna nei centri governativi di accoglienza (art. 10 d. lgs. n. 142/2015), mentre in tutti gli altri casi altri vincoli non sono previsti e al singolo richiedente asilo non trattenuto in un CIE può essere al più soltanto imposto l’obbligo di un determinato luogo di residenza o di una area geografica in cui circolare, ma tali eventuali restrizioni devono essere prescritte volta per volta dal Prefetto del luogo in cui la domanda è stata presentata o in cui si trova il centro con atto scritto e motivato e comunicato ad ogni richiedente asilo (art. 5, comma 4, d. lgs. n. 142/2015).
Perciò, qualsiasi altra forma di privazione della libertà in questa fase è da considerarsi illegittima per violazione dell’art. 13 Cost. (probabilmente configurando un reato di sequestro di persona) al di fuori delle ipotesi di accompagnamento presso gli uffici di polizia previsti per tutti coloro (italiani o stranieri) che rifiutino di farsi identificare (art. 11 d.l. 21.03.1978, n. 59, conv. in legge n. 191/1978) e al di fuori del fermo identificativo previste per tutti i cittadini (anche italiani), ipotesi nelle quali l’accompagnamento e il fermo sono da effettuarsi sotto il controllo costante della magistratura penale e con la possibile partecipazione di un difensore e comunque per un periodo non superiore alle 24 ore. Non sono previste, in altre termini, nuove forme di detenzione o di trattenimento. Conseguentemente, sono da ritenersi illegittime le pratiche occasionalmente utilizzate nel centro di Pozzallo nel recente passato (e testimoniate da importanti organizzazioni no profit) e soprattutto sono illegittime le intenzioni del Governo italiano che nella RoadMap ha assicurato alle istituzioni europee che in questi centri di primo soccorso i cittadini stranieri saranno privati della loro libertà fino al momento della identificazione.
La normativa italiana non consente in alcun modo di utilizzare la forza per vincere la resistenza passiva dei cittadini stranieri che si rifiutano di farsi identificare. L’Asgi ha già avuto modo di stilare un documento in cui dettagliatamente si evidenzia l’impossibilità da parte delle forze dell’ordine di fare uso della forza per costringere i cittadini stranieri a sottoporsi al rilevamento delle impronte. I comportamenti contrari a tale divieto assumono un rilievo penale (maltrattamenti, lesioni o altro).

Pertanto si chiede che il Ministero dell’Interno provveda immediatamente e nelle apposite linee guida sui centri di accoglienza per richiedenti asilo chiarisca la natura giuridica degli hotspot, fermo in ogni caso il rispetto del diritto di asilo garantito dall’art. 10, comma 3 Cost. e delle riserve assolute di legge e delle riserve di giurisdizione per le misure restrittive della libertà personale previste dall’art. 13 Cost., e che negli “hotspot” sia consentita una immediata e completa informazione circa il diritto di chiedere la protezione internazionale, senza che in essi avvenga alcuna forma di artificiosa selezione tra richiedenti asilo e migranti economici senza discriminazioni basate su criteri vietati dalla legge e consentendo che in tali strutture sia sempre garantita la presenza dell’UNHCR e delle associazioni umanitarie.”da Fulvio Vassallo (fonte:dirittiefrontiere.blogspot.it)

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