A Treviso: Macedone espulso, partirà anche la sua famiglia

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“Treviso: costituiva “una minaccia per la sicurezza” dello Stato italiano. Secondo gli investigatori del Ros, sarebbe stato in grado, per le sue posizioni islamiste radicali, di agevolare i terroristi,
costituiva “una minaccia per la sicurezza” dello Stato italiano. Secondo gli investigatori del Ros, sarebbe stato in grado, per le sue posizioni islamiste radicali e profondamente antisemite, di “agevolare, in vario modo, organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”. All’indomani dell’espulsione, per motivi di prevenzione di terrorismo, del macedone, che fino all’alba di mercoledì ha vissuto con moglie e cinque figli a San Zenone, emergono nuovi particolari sulle indagini dei carabinieri del Ros di Padova.

Come quello che Ljimani era monitorato da diverso tempo, prima ancora che il figlio di 8 anni, pronunciasse a scuola quell’infelice frase “e adesso andiamo ad ammazzare il Papa a Roma. Viva l’Isis” che ha portato il caso alla ribalta della cronaca nazionale. Va precisato, come sottolineano gli stessi investigatori, che Ljimani non è indagato, altrimenti non sarebbe stato espulso. Un comportamento sul filo del rasoio, basti pensare che Ljimani a margine dell’udienza davanti al giudice di pace ha avuto il tempo per ribadire la sua posizione, sostenendo che la “Umma indica nei cristiani i principali infedeli da cui difendersi”.

Pronto il ricorso al Tar. Nella giornata di ieri a San Zenone è arrivato dalla Germania il fratello dell’operaio macedone espulso. L’uomo è stato incaricato da Redjep Ljimani di nominare un avvocato per impugnare davanti ai giudici del Tar del Lazio l’espulsione, decretata dal ministro dell’Interno Alfano e convalidata dal giudice di pace di Treviso. L’avvocato Fabiana Biasetto che, mercoledì mattina, è stata nominata d’ufficio come legale di Ljimani nell’udienza di convalida dell’espulsione davanti al giudice di pace di Treviso, ha esaurito il suo ruolo: «Non ho ricevuto alcun incarico dal signor Ljimani – spiega – per l’impugnazione del provvedimento avanti al Tar, procedura per la quale, peraltro, non avrei le competenze, dato che non mi occupo di diritto amministrativo». Episodio curioso: l’operaio macedone s’è rifiutato di stringere la mano del legale trevigiano. «Inizialmente ci sono rimasta male – continua l’avvocato Biasetto – poi s’è giustificato precisando che il rifiuto di stringermi la mano non era dettato da maleducazione, ma dai dettami della sua religione. Mi sembrava preoccupato per la moglie ed i loro cinque figli, del cui sostentamento, a suo dire, si è sempre occupato in modo esclusivo».
Via anche moglie e figli. Ljimani ha anche chiesto al fratello di aiutare la moglie a sbrigare le pratiche burocratiche e a imbarcarla con i cinque figli nel primo volo disponibile per la Macedonia. La donna, infatti, non lavora e non ha dunque i mezzi per mantenere la famiglia. Come gli stessi investigatori del Ros hanno potuto verificare, la famiglia Ljimani non era per nulla integrata nel contesto sociale del paese di residenza ed aveva contatti solo con la cerchia religiosa che ruotava attorno all’associazione “Fratellanza” di cui l’operaio macedone era uno dei punti di riferimento. Un uomo, come sostengono gli investigatori, “profondo conoscitore delle diverse accezioni del jihadismo”, che ha improntato la sua condotta alla più rigorosa osservanza dei dettami salafiti e distinguendosi per la sua ostentata avversione agli usi e costumi occidentali. Non a caso si era fatto crescere la barba, come dvuoletradizione islamica più radicale.
Singolare coincidenza. Una singolare coincidenza, ritenuta comunque interessante dagli stessi investigatori, è il fatto che l’operaio macedone lavorasse nella stessa ditta di imballaggi di Castelfranco dove opera il padre di Sonia Khediri, la ragazza di origini tunisine, vissuta fino a quattro anni fa a Fonte. La giovane, poco più che maggiorenne, era sospettata di essere fuggita dall’Italia per essere reclutata tra i “foreign fighters” dell’Isis in Siria. Una notizia che il padre Lofti Khediri s’era subito affrettato a smentire, sostenendo che la figlia si trova in Turchia dov’è fuggita per unirsi al marito.” di Marco Filippi(fonte:tribunatreviso.gelocal.it)

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