Il documentario di Mario Badagliacca racconta l’esperienza vissuta all’interno della struttura di Ponte Galeria

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Pubblichiamo un servizio sull’attuale situazione dei cittadini dei paesi terzi trattenuti nei Centri di Identificazione ed Espulsione italiani perchè si possa dibattere nella categoria sulla realtà che ,forse , alcuni giudici di pace non conoscono ancora…

“Lettere dal Cie, “campo di concentramento civilizzato” che sta per tornare di moda
Il documentario di Mario Badagliacca racconta l’esperienza vissuta all’interno della struttura di Ponte Galeria da Lassaad Jelassi, mediatore culturale da 25 anni in Italia. Oggi solo 5 le strutture aperte, ma con gli hotspot potrebbero servirne di nuove.
“Di giorno camminavo: 128 passi e mezzo in orizzontale e 8 passi e mezzo in verticale. Il mio cammino era limitato a queste misure, ma il mio pensiero tendeva a superare l’idea di quel muro, che avevo sempre di fronte”. Vivere dentro un Cie, un “campo di concentramento civilizzato”, dove gli uomini sono costretti a cucirsi la bocca per protesta e le donne “reagiscono con il bello: dipingendo le pareti con tanti colori e fiori”.
Il trailer del documentario sulla vita quotidiana nei Cie

Lo racconta “Lettere dal Cie”, un documentario realizzato Mario Badagliacca sull’esperienza vissuta all’interno della struttura di Ponte Galeria da Lassaad Jelassi, in Italia da 25 anni e oggi mediatore culturale. Il lavoro fa parte di un progetto di documentazione visiva sui Centri di identificazione ed espulsione in Italia (Cie), al centro di serie violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti. Strutture che nell’ultimo anno sono state lentamente svuotate (ad oggi sono aperti solo quelli di Torino, Roma, Bari, Trapani e Caltanissetta) ma che a breve potrebbero essere nuovamente riempite da quei migranti che rifiuteranno di farsi identificare nei cinque hotspot previsti nel nostro paese, e da coloro che saranno considerati irregolari.
Guarda il documentario
Lettere dal cie – player
Il video ne racconta la dura quotidianità attraverso le parole di Lassad. “Mentre tornavo a casa con le borse della spesa, i poliziotti si avvicinarono e mi chiesero i documenti. In quel momento i miei timori presero corpo e divennero un incubo. Fui portato nel Cie: sapevo cosa significa stare a Ponte Galeria”. Iniziano così quattro mesi di vita sospesa in mezzo agli altri ospiti che girano per i padiglioni come “zombie: con l’animo marchiato, il passo lento e l’atteggiamento della rassegnazione”. Un’esperienza segnata anche da racconto delle vite degli altri, che non smettono di parlare le traversate in mare con il pensiero costante ai “conoscenti che si cono spenti nel cammino”. L’unica speranza è vincere la sentenza e poter uscire mettere fine a una detenzione ingiusta e forzata, uscire dal “lager”, “dal limbo dei dannati”.
Nel documentario la voce di Lassad è accompagnata dalle immagini originali della struttura di Ponte Galeria. “E’ veramente difficile spiegare cosa sono i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), perché è difficile tracciarne i confini tecnico giuridici – spiega l’autore Badagliacca – e costituiscono una “zona grigia” della legge italiana. Alti livelli di sicurezza, filo spinato, cani e fanali, militari e gabbie a cielo aperto, sono i tratti distintivi dei Cie. I trattenuti hanno pochi contatti con l’esterno, soprattutto chi non ha parenti in Italia, vivendo in un limbo di angoscia e paura. Il lavoro è nato circa tre anni fa – aggiunge – fino ad allora l’ingresso ai giornalisti era vietato, ed è stato sviluppato tra il Cie di Roma Ponte Galeria e Bari Palese. La prima sensazione che mi ha colpito è stato il disorientamento totale dentro ai CIE, e l’incapacità di trovare dei punti di riferimento psicologici e immaginari per poter spiegare a me stesso il luogo che stavo visitando.” (ec)(fonte:redattoresociale.it)

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