La Germania sospende l’Accordo di Dublino: fine dell’incubo polpastrelli per i siriani

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“La Germania ha sospeso l’applicazione del Regolamento di Dublino per i profughi siriani. Era scritto in una circolare del 21 agosto 2015 dell’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati (Bamf) e lo ha confermato Angela Merkel quattro giorni dopo, visitando il centro d’accoglienza di Nauen, a nord di Berlino, dato alle fiamme dai neonazisti.

Una buona notizia per l’Italia e la Grecia e per famiglie come quella di Mohamed, scappato da Damasco con i suoi bambini. Dopo aver attraversato Libano, Tunisia, Libia e il Mediterraneo, ora si trova in Germania dove ha chiesto asilo politico. Di chilometri ne ha fatti parecchi, nonostante abbia la gamba sinistra fuori uso. Colpi di mortaio, gli stessi che hanno ucciso la moglie. «Wife finished…bomb», sono le poche parole inglesi che dice nel suo passaggio, a fine luglio, nel centro d’accoglienza della Comunità di Sant’Egidio alla Stazione Centrale di Milano.
Sbarcato a Brindisi, a Mohamed le autorità italiane hanno preso le impronte digitali. Lo hanno fatto perché imposto dalle normative europee, le stesse per cui Mohamed non potrebbe chiedere la protezione internazionale in Germania ma solo nel primo paese europeo di approdo, l’Italia appunto. È quello che prevede l’Accordo di Dublino, firmato nel 1990 e rinnovato nell’attuale versione nel 2013: l’asilo politico si può chiedere solo nel primo Stato in cui i polpastrelli vengono schiacciati sullo scanner e subito inseriti nell’archivio comunitario Eurodac.

Si tratta di un accordo che penalizza gli Stati meridionali dell’Ue: per Mohamed, partendo con un barcone dalla Libia, sarebbe stato impossibile raggiungere un Land tedesco come primo approdo europeo. Per questo, la decisione della Germania di sospendere l’Accordo di Dublino è di grande aiuto per i profughi siriani in fuga dal quinto anno di guerra.

Ma finora com’è funzionato? Dall’aumento degli sbarchi (43mila nel 2013, 170mila nel 2014, 106mila a metà agosto 2015) le autorità italiane, come quelle greche, alternano il rispetto delle regole europee (prendere le impronte) al rispetto della volontà dei profughi (non fotosegnalarli). La schedatura dei polpastrelli diventa più rigorosa nel momento in cui gli Stati del Nord Europa alzano la voce, come quando, il 25 settembre 2014, spinsero il Ministero dell’Interno a diramare le istruzioni operative in cui chiedeva di «procedere all’acquisizione delle impronte digitali anche con l’uso della forza».

Negli ultimi mesi del 2015, la tendenza prevalente è stata quella di “lasciar correre”; non a caso, il 24 agosto scorso, Merkel e Hollande hanno richiamato Italia e Grecia ad applicare con precisione le normative europee. Il Ministro degli Esteri Gentiloni ha risposto, tramite il Corriere, «basta parlare di compiti a casa, l’Italia sta facendo il suo dovere».

In ogni caso, indipendentemente dalla schedatura dei polpastrelli, la stragrande maggioranza dei profughi, come Mohamed e i suoi figli, ha proseguito il viaggio. Su 51.956 siriani sbarcati nel 2014, solo 505 hanno fatto domanda di asilo in Italia, solo 480 eritrei su 43.865, 812 somali su 8.152. Una volta arrivati nei paesi del Nord Europa, tutti invece hanno fatto domanda di asilo. In molti casi, anche chi era già stato fotosegnalato in Italia è riuscito a non subire il rinvio in Italia. Il 5 novembre, dopo una sentenza della Corte europea che vietava alla Svizzera di rimandare in Italia una famiglia afghana, la Danimarca ha sospeso i rinvii verso il nostro paese.

Inoltre, l’articolo 17 dell’Accordo di Dublino prevede la facoltà discrezionale degli Stati di procedere al ricongiungimento ai familiari del richiedente, per ragioni di tipo umanitario. Ranea, siriana arrivata in Norvegia nell’ottobre 2013 con due figlie piccole, ha ricevuto la bocciatura di una prima domanda, a causa della schedatura in Sicilia. Ha fatto ricorso, vivendo per un periodo anche da clandestina per la paura di essere fermata e rimandata in Italia, ma il 30 giugno 2015 ha avuto risposta positiva, grazie alla presenza da anni in Norvegia di un fratello e una sorella.

«Ho vinto, è la fine di un incubo, le mie bambine stanno per iniziare la scuola», dice a La Città Nuova.

Ad altri, però, è andata male. Sono i “dubliners”, profughi caricati dagli Stati europei su un aereo e fatti sbarcare – a Malpensa più che a Fiumicino – perché già fotosegnalati. In questo momento, i “dublinanti”, come vengono chiamati con un neologismo italiano, sono una decina nei centri di prima accoglienza milanesi per i profughi in transito: qualcuno sceglie di ripartire, ricominciando la lotta contro l’Accordo di Dublino, altri di fare domanda di asilo qui e provare a costruire in Italia il suo futuro.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nei primi sette mesi e mezzo di quest’anno, all’Italia sono arrivate dai partner europei 15.984 richieste (il record a giugno, 3.172) di riprendersi “dublinanti”, e 746 sono state quelle effettivamente eseguite, ma il Viminale precisa che «il dato è temporaneo, in quanto diverse pratiche sono ancora in trattazione».

Certi invece i numeri del 2013 e del 2014: rispettivamente l’Italia ha ricevuto 22.965 e 27.526 domande, 4.727 e 3.141 quelle portate a termine. Nel 2014, la classifica delle nazionalità dei “dublinanti” cambia a seconda che si considerino i trasferimenti effettuati o le richieste arrivate a Roma. La prima è guidata dai nigeriani (470) e dagli eritrei (302), seguiti da marocchini, tunisini, gambiani, somali, siriani (149), pakistani e afghani, mentre nel secondo caso è record di eritrei (7.259), siriani (3.206), somali (3.148). Nel 2015 tra le richieste di rinvio sono in testa i siriani nei primi due mesi, poi sempre gli eritrei (1.336 solo a giugno).

Tra le nazioni che più rimandano in Italia i “dublinanti”, nel 2014 il 36% arrivava dalla Svizzera, il 20,8% dalla Germania, l’8,6% dalla Svezia, il 6,7% dall’Austria, il 6,2% dalla Norvegia e il 6% dal Regno Unito. In Svizzera, il 31 ottobre 2014, un ventinovenne eritreo si è impiccato pochi giorni prima di salire per l’aereo che lo avrebbe riportato in Italia.” di Stefano Pasta (Fonte:lacittanuova.milano.corriere.it)

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