Corte di Appello di Torino: importante sentenza in materia di mancato riconoscimento dei diritti previdenziali della magistratura onoraria

corte appello Torino
Pubblichiamo la sentenza della Corte di Appello (sez.lavoro) di Torino del 22/4/2015 che ha riformato la sentenza del Tribunale (sez. lavoro) di Torino in materia di mancato riconoscimento dei diritti previdenziali dei magistrati onorari…

“REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI TORINO

SEZIONE LAVORO

Composta da:

Dott. ssa Maria Gabriella Mariani

PRESIDENTE

Dott. Michele Milani

CONSIGLIERE Rel.

Dott. Federico Grillo Pasquarelli

CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa di lavoro iscritta al n.ro 844 /2014 R.G.L.

promossa da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
pro tempore,

APPELLANTE e APPELLATO IN VIA INCIDENTALE

CONTRO

OMISSIS

APPELLATI e APPELLANTI IN VIA INCIDENTALE

E

OMISSIS

APPELLATA CONTUMACE

E NEI CONFRONTI DI

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE – INPS, – corrente in Roma in persona del suo
presidente pro tempore.

APPELLATO

Oggetto: altre ipotesi

CONCLUSIONI

Per l’appellante:

come da ricorso depositato in data 2.9.2014

Per gli appellati xxxx + 8:

come da memoria difensiva con appello incidentale depositata in
data 10.4.2015

Per l’appellato Inps:

come da memoria difensiva depositata in data 9.4.2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 5.12.2013 avanti al tribunale di
Torino, la sig.raxxxxxx ed altri 9 litisconsorti citavano
in giudizio il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e l’INPS ed
esponevano quanto segue:

– erano viceprocuratori onorari, operavano presso la Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Torino e
svolgevano le funzioni previste dall’art.72 del R.D.
30.1.1941 n.12 e successive integrazioni;
– erano stati nominati con provvedimenti risalenti nel tempo,
e nonostante fosse prevista una durata triennale della
funzione e una sola conferma, mediante provvedimenti di
proroga, svolgevano di fatto il loro incarico da oltre un
decennio;
– percepivano il compenso previsto dall’art.4, commi 2 e 2
bis D.lgs. 28.7.1989 n.273 e non erano iscritti ad alcuna
cassa di previdenza;
– avevano presentato domanda all’Inps e al Ministero della
Giustizia per ottenere l’iscrizione alla Gestione separata ex
art.2, comma 26 L.335/95 ma non avevano ricevuto alcuna
risposta, neppure a seguito dell’esperimento dei rimedi in
via amministrativa.

Sulla base di tali premesse, deducendo che la loro attività era
riconducibile ai rapporti ‘parasubordinati’ di collaborazione
coordinata e continuativa e che i compensi percepiti, come da

risoluzione delle Agenzie delle Entrate, costituivano “reddito
assimilato a quello di lavoro dipendente”, deducevano il loro
diritto all’iscrizione presso la Gestione Separata ex art.2, comma
26, L.335/95 ed ai relativi versamenti contributivi e chiedevano
in via conclusiva la condanna dell’Inps ad iscriverli in detta
Gestione e del Ministero a corrispondere il contributo
previdenziale dovuto per legge.

L’INPS, costituendosi ritualmente in giudizio, sulla scorta della
Circ. n.19 del 12.9.1996 del Ministero della Giustizia, negava il
diritto dei ricorrenti all’iscrizione presso la Gestione Separata,
osservando che i compensi dei vice procuratori onorari, così
come quelli dei giudici di pace, pur essendo assimilabili a quelli
di lavoro dipendente, non rientravano nelle ipotesi di cui
all’art.50, comma 1, lett. c-bis (tra i quali è contemplato il
rapporto di collaborazione senza vincolo di subordinazione), ma
nella diversa ipotesi di cui all’art.50, comma 1, lett. f), così come
era stato previsto per i giudici di pace dall’art.2, comma 36
L.350/03.

L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, costituendosi
tardivamente in giudizio, negava che l’attività svolta dai
ricorrenti fosse riconducibile al rapporto subordinato “con
modalità assimilabili a quelle del lavoratore coordinato e
continuativo” e chiedeva la reiezione delle domande.

Con sentenza 7.7 – 15.7.2014, in accoglimento delle domande, il
tribunale condannava l’INPS ad iscrivere i ricorrenti alla gestione
separata di cui all’art.2, comma26 L.335/95 dal 17.4.2013 e

condannava il Ministero a corrispondere il contributo
previdenziale dovuto nella misura di legge, compensando
interamente le spese di giudizio.

Avverso detta sentenza, non notificata, con ricorso depositato in
data 2.9.2014 ha interposto appello il MINISTERO DELLA
GIUSTIZIA chiedendone la riforma con reiezione delle domande
proposte con il ricorso introduttivo.

L’INPS, costituendosi in giudizio, ha chiesto che, “nell’ipotesi di
accoglimento dell’appello del Ministero, la sentenza venga
riformata come richiesto dall’appellante”.

Gli appellati, già ricorrenti in primo grado (ad eccezione di
xxxx e xxx che è rimasta contumace), costituendosi
in giudizio, hanno chiesto in via preliminare il rinvio alla Corte
di Giustizia ex art.234 Trattato CE (ora art.267 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea) “per la pronuncia di
interpretazione pregiudiziale delle norme di diritto dell’Unione
Europea che il giudice è chiamato ad applicare”; in via di appello
incidentale, nel merito, hanno chiesto la parziale riforma della
sentenza nella parte in cui ha accertato il diritto all’iscrizione
presso la Gestione Separata dal 17.4.2013 e non invece dalla
nomina ,o, quantomeno, nei limiti della prescrizione; in via
subordinata hanno chiesto in ogni caso la reiezione dell’appello.

All’udienza del 22.4.2015, all’esito della discussione, la corte ha
deciso la causa come da dispositivo trascritto in calce.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il giudice di primo grado ha parzialmente accolto le ragioni dei

ricorrenti con le seguenti argomentazioni:

– sussiste il diritto dei ricorrenti all’iscrizione presso la
Gestione Separata ex art.2, comma 26 L.335/95, in
quanto la loro posizione deve essere assimilata ai
soggetti che svolgono attività con rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa;
– infatti i VPO sono coordinati dai magistrati della
Procura della Repubblica e collaborano con loro, con
rapporto unitario e continuativo e retribuzione
prestabilita;
– l’assenza di apposita previsione normativa non è
decisiva, posto che lo stesso Inps riconosce che “ad
ogni attività lavorativa, svolta sia in forma subordinata
che autonoma, debba corrispondere la necessaria
copertura contributiva”;
– neppure rileva la non riconducibilità dei rapporti dei
VPO ai contratti a progetto di cui all’art.61 D.Lgs.
276/03, norma che all’epoca non esisteva;
– l’iscrizione va accolta con decorrenza 17.4.2013 (data
di presentazione del ricorso inviato al Comitato
provinciale in via telematica da considerare come
domanda amministrativa), non potendosi applicare il
principio dell’automatismo delle prestazioni.

Con unico articolato motivo di impugnativa il MINISTERO
DELLA GIUSTIZIA sottopone a censura la sentenza di primo
grado rilevando:

– che sulla base delle fonti di rango costituzionale e
legislativo primario che disciplinano e configurano la
figura e le funzioni dei vice procuratori onorari non è
consentita l’assimilazione, operata dal primo giudice, ai
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
che infatti rispetto al pubblico dipendente (e per quanto
rileva ai magistrati di carriera), i funzionari onorari si
differenziano per le modalità di nomina, per l’inserimento
funzionale e non strutturale nell’apparato della pubblica
amministrazione, per le modalità del compenso che nel
caso del pubblico dipendente attiene al rapporto
sinallagmatico mentre per il funzionario onorario ha
carattere indennitario;
– l’accostamento al rapporto di lavoro parasubordinato deve
escludersi anche per altro verso, posto che, a seguito delle
deleghe conferite dal Procuratore della Repubblica, si
determina un rapporto di immedesimazione organica del
vice procuratore onorario con la pubblica amministrazione
che esclude quindi la possibilità di ravvisare un rapporto di
collaborazione.

Come si è accennato in premessa, i VPO appellati, costituendosi
in giudizio, chiedono in via preliminare il rinvio alla Corte di
Giustizia ex art.234 Trattato CE (ora art.267 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea) “per la pronuncia di
interpretazione pregiudiziale delle norme di diritto dell’Unione
europea che il giudice è chiamato ad applicare”.

Le questioni da sottoporre alla Corte di Giustizia vengono
riportate nella comparsa in appello come segue:

“A) se il diritto nell’Unione consente agli Stati membri di
escludere i giudici onorari dalla nozione di lavoratori di cui alla
direttiva 97/81/CE, undicesimo e sedicesimo considerando, e
dall’accordo quadro UNICE – CEEP e CES clausole n.2 e n.4
come modificata dalla direttiva 98/23/CE, ovvero se la loro
esclusione non sia arbitraria;

B) se la differenza di trattamento tra giudici ordinari e giudici
onorari, retribuiti a giorni e ore di presenza, ma in base a
compensi prefissati con cadenza periodica mensile, con orario di
lavoro prefissato nell’atto di nomina, sia giustificata da ragioni
obiettive;

C) se la normativa italiana, come quella oggetto del giudizio in
esame, avvalorata dalla prassi che autorizza il rinnovo reiterato di
nomine a tempo determinato sine die per rimediare –
massicciamente – alla cronica carenza di magistrati ordinari, in
mancanza dell’espletamento di procedure concorsuali, soltanto
per ragioni economiche, e senza la minima certezza sul tempo in
cui tali procedure saranno espletate e quindi senza criteri minimi
obiettivi e trasparenti, che consentano di accertare quanto ciò
corrisponda ad un’esigenza effettiva e reale, ovvero se si realizzi
un ricorso abusivo alla successione di rapporti a tempo
determinato, non giustificata da ragioni obiettive e in contrasto
con il principio di causalità oggettiva e perciò in contrasto, sotto
tale profilo, anche con la direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999

dall’accordo quadro UNICE, CEEP e CES clausola 1, Lett. b;
clausola 2, punto 1 e 5 lettera a)”.

Tali istanze sono state successivamente integrate all’udienza di
discussione avanti a questa corte, ove la difesa degli appellati ha
allegato a verbale la seguente ulteriore questione di
interpretazione pregiudiziale:

“poiché spetta al diritto nazionale determinare se i giudici devono
essere considerati “lavoratori” secondo l’accordo quadro
(clausola 2 punto 1 all. alla direttive CE 97/81) e, tenuto conto
dell’indipendenza sostanziale di cui godono anche i giudici
onorari, si chiede alla Corte di Giustizia, in via di interpretazione
pregiudiziale, se ostano con il diritto dell’Unione europea, le
norme dell’ordinamento italiano per quanto riguarda i giudici
onorari (VPO e GOT) negando ogni tutela sociale e previdenziale
(maternità, malattia, invalidità, anzianità, vecchiaia) a fronte di
una reiterazione senza soluzione di continuità di contratti a
termine legittimi”.

Tali conclusioni , sorrette da ampie argomentazioni nella parte
‘in diritto’ dell’atto, non possono essere prese in considerazione
in quanto appaiono estranee all’oggetto di questo giudizio.

In primo luogo le citate fonti europee, e segnatamente la
Direttiva 97/81 relativa all’Accordo Quadro sul lavoro a tempo
parziale, e la Direttiva 1999/70 relativa all’Accordo Quadro sul
lavoro a tempo determinato, riguardano inequivocabilmente
rapporti di lavoro di natura subordinata
. E parallelamente anche i
quesiti proposti dai VPO appellati, nell’invocare le citate fonti

europea, non possono che riferirsi a tale tipologia di rapporto.

Il ripetuto riferimento da parte della difesa dei VPO ai
‘lavoratori’, quale categoria generica e generale che potrebbe
includere, in ipotesi, anche gli odierni appellati, appare
sostanzialmente fuorviante.

Infatti per un verso le fonti europee e la Corte di Giustizia in sede
interpretativa hanno sempre demandato alla normativa interna
degli Stati membri il compito di definire i termini utilizzati dai
citati Accordi Quadro, ivi compresa evidentemente, l’espressione
‘lavoratori’ di cui si discute. Per altro verso la stessa sentenza
1.3.2012 (in causa C-393/10) dalla quale la difesa dei VPO
riterrebbe di trarre elementi a sostegno della tesi circa la
necessarietà della copertura previdenziale pretesa, esclude la
sottoposizione ai principi dell’Accordo Quadro sul lavoro a
tempo parziale quando “la natura del rapporto di lavoro di cui
trattasi sia sostanzialmente diversa da quella che lega ai loro
datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale,
rientrano nella categoria dei lavoratori”.

Ed è proprio tale evenienza che ricorre nel caso in esame.

Infatti il ricorso introduttivo del presente giudizio ha
inequivocabilmente ed esclusivamente ricondotto le prestazioni
dei vice procuratori onorari ai rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa e sulla base di tale premessa ha
rivendicato, ai fini previdenziali, l’iscrizione alla Gestione
separata ai sensi dell’art.2, comma 26 L.335/95.

E’ superfluo rilevare che, secondo l’ordinamento interno, il citato

rapporto (comunemente siglato come co.co.co.) si differenzia
nettamente dal rapporto di lavoro subordinato, in quanto rientra
nell’ampia categoria dei rapporti di lavoro autonomo, con
prestazione resa in assenza di vincolo gerarchico con il datore di
lavoro.

Quindi, in sostanza, il rinvio pregiudiziale richiesto con l’atto di
appello non è rilevante nel presente giudizio, in quanto si
riferisce a fonti normative, indirizzi giurisprudenziali e tipologie
di rapporto differenti da quelli prospettati fin dal ricorso
introduttivo

Venendo quindi ad esaminare nel merito i profili di doglianza
prospettati dal Ministero, si perviene ad una valutazione di
fondatezza dell’appello.

A parere della corte, la base di partenza ineludibile per valutare la
pretesa prospettata con il ricorso introduttivo, è la verifica, sul
piano normativo e giurisprudenziale, circa la natura dell’attività
resa dagli odierni appellati e del loro rapporto con
l’amministrazione.

Le pronunce di legittimità che hanno esaminato, sulla base della
disciplina normativa sviluppatasi nel corso degli anni, la figura
dei funzionari onorari svolgenti funzioni giurisdizionali, hanno
delineato, con orientamento unanime, alcuni principi che possono
essere sintetizzati come segue:

l’attività svolta da detti funzionari è riconducibile ad un
servizio onorario, con esclusione dei caratteri di
professionalità, carriera del rapporto di lavoro (pubblico e

privato);
i funzionari onorari svolgono il servizio gratuitamente,
oppure con la corresponsione di un compenso che non ha
funzione corrispettiva o remunerativa/sinallagmatica, ma
ha natura indennitaria e di rimborso spese;
– i funzionari onorari sono inseriti funzionalmente e non
strutturalmente nella pubblica amministrazione, per cui
non è ravvisabile un rapporto di ‘collaborazione’ con
l’ente destinatario del servizio (quanto ai profili normativi
cfr. art.34, 2° co. , art. 42 ter e sgg. R.D. 12/41, art.4
D.Lgs. 273/89; quanto agli interventi giurisprudenziali cfr.
Cass. sez un. 9.11.1998 n.11272; sez. lav. 15.1.1996 n.285;
sez.I 23.11.1992 n.12509).

La difesa dei VPO, pur non negando l’astratta configurazione
giuridica, osserva che in concreto e nel corso del tempo la loro
attività è mutata rispetto allo schema normativo, tanto è vero che
quello che era previsto come incarico temporaneo, è divenuto di
fatto un’occupazione ‘stabile’, svolta da oltre un decennio.

Tale argomentazione, seppure dotata di riscontri sul piano
fattuale (e valorizzata dal primo giudice), non è idonea ad
incidere sul piano giuridico.

Infatti la valutazione del concreto atteggiarsi del rapporto
potrebbe assumere rilevanza (quantomeno sul piano
dell’interpretazione estensiva e/o analogica) qualora l’attività
sotto esame fosse priva di ogni disciplina e regolamentazione.

Così non è, posto che come è stato delineato, la figura del vice

procuratore onorario (come quello degli altri funzionari operanti
in ambito giurisdizionale) è compiutamente regolamentata sotto
il profilo della nomina, delle funzioni, del compenso ecc…

Gli elementi inerenti la ‘trasformazione’ avvenuta nel corso del
tempo dell’attività in oggetto dovrebbe indurre ad una
riconsiderazione a livello legislativo (anche con riferimento ad
eventuali profili di tutela previdenziale), ma si tratta
evidentemente di un auspicio ‘de iure condendo’, privo di ogni
impatto rispetto alla pretesa qui azionata.

Per altro verso si deve evidenziare la fragilità dell’argomento
utilizzato dalla difesa degli appellati per ricondurre la loro attività
alla figura della collaborazione coordinata e continuativa,
individuando gli elementi di tale tipologia di rapporto nel fatto di
collaborare con i procuratori della Repubblica e di essere
coordinati dai medesimi.

Tale costruzione non può essere condivisa, in quanto, come ha
osservato l’amministrazione, l’elemento ‘qualificato’ della
collaborazione e quindi la fattispecie della parasubordinazione
non è ravvisabile nel “rapporto che lega il titolare di un organo
all’ente al quale perviene, perché il titolare dell’organo non è
esterno ad esso, ma si identifica funzionalmente con l’ente
medesimo ed agisce per esso” (Cass. sez. un. 2033/85;
11272/98).

In particolare, sulla base della delega del Procuratore della
Repubblica, al VPO viene conferita la titolarità funzionale di
rappresentante della pubblica accusa tale da determinare un

rapporto di immedesimazione organica e non un rapporto di
collaborazione con l’amministrazione.

L’esclusione della tesi circa la riconduzione dei VPO alla figura
dei collaboratori coordinati e continuativi rende priva di base
giuridica e quindi infondata la pretesa diretta ad ottenere il
riconoscimento del diritto all’iscrizione nella gestione separata ex
art.2, comma 26 L.335/95.

Tale disposizione prevede l’obbligo di iscrizione per vari
soggetti, fra i quali sono indicati i titolari di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2,
lettera a), dell’articolo 49 del testo unico delle imposte sui
redditi.

Occorre dare atto (ma il dato è pacifico e risulta evidenziato
anche in sede di ricorso introduttivo – pag.7) che se inizialmente
i co.co.co, dal punto di vista fiscale/reddituale, erano accostati ai
lavoratori autonomi, dopo le modifiche e riformulazioni del testo
unico delle imposte sui redditi risultano ora ‘assimilati’ al lavoro
dipendente.

Quindi il rinvio dell’art.2, comma 26 L.335/95 deve ora
intendersi riferito all’art.50 lett. c-bis D.P.R. 917/86 che
comprende fra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i
redditi “percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione
aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo
di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro
di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi
organizzati con retribuzione periodica prestabilita”.

Il citato assetto di carattere fiscale/reddituale non incide sulle
argomentazioni fin qui esposte, nonostante la difesa dei VPO,
anche con riferimento al profilo ora indicato, tenti di trarre
elementi a sostegno della tesi della copertura previdenziale
nell’ambito della gestione separata.

Infatti la posizione dei VPO potrebbe rientrare in quelle delineate
nella lettera c-bis dell’art.50 solo se fosse positivamente accertata
la produzione di un reddito derivante da un rapporto di
collaborazione, ma tale presupposto è escluso sulla base di
quanto è stata finora esposto.

Per altro verso non vi è connessione necessaria fra
l’assimilabilità ai redditi di lavoro dipendente e la copertura
previdenziale.

Infatti l’art.50 del Tuir (titolato appunto “Redditi assimilati a
quelli di lavoro dipendente”), comprende, tra l’altro, (alla lettera
f)) anche il riferimento ai “compensi corrisposti ai membri delle
commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del
tribunale di sorveglianza”, e cioè categorie che, come i VPO,
sono esclusi dalla copertura previdenziale obbligatoria.

In definitiva, per le considerazioni esposte, assorbite le altre
questioni proposte, in accoglimento dell’appello principale,
devono essere respinte le domande proposte con il ricorso
introduttivo.

La novità delle questioni trattate comporta la compensazione
delle spese di lite di entrambi i gradi con riferimento a tutti i
rapporti di causa.

P . Q . M .

Visto l’art. 437 c.p.c.,

in accoglimento dell’appello principale,

respinge le domande proposte con il ricorso introduttivo;

compensa le spese di entrambi i gradi.

Così deciso all’udienza del 22.4.2015

IL CONSIGLIERE Est. IL PRESIDENTE

Dott. Michele MILANI Dott.ssa Maria Gabriella MARIANI

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