Agenzia Ansa: dal Cie di Bari l’appello di Adiruo

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“«Mi stanno uccidendo, aiutatemi» Dal Cie di Bari l’appello di Adiruo
Dalla necessità di un nuovo intervento chirurgico alla sospensione delle terapie salvavita. Il 38enne nigeriano, portatore di stent, racconta la sua storia alla stampa
«Vi prego, non fatemi morire»: è l’appello che Adiruo Bartholomew Onyinye, 38 anni, trattenuto nel Centro identificazione e espulsione di Bari, affida all’agenzia Ansa. Adiruo, nato in Nigeria ma in Italia da 24 anni, racconta e documenta «di essere cardiopatico e di avere uno stent». Per questo «assume farmaci salvavita». Una terapia che, dopo un primo controllo al Policlinico di Bari, gli sarebbe «stata incrementata».

Proprio in questa occasione a Bartholomew fu consigliato un «intervento di rivascolarizzazione» perché, spiega, «lo stent si è chiuso e ho bisogno di un by-pass». Stamattina, però, durante una «visita di controllo al reparto di Cardiologia del Policlinico di Bari», Adiruo racconta di essere stato «visitato in maniera superficiale da un medico» che gli avrebbe «solo misurato la pressione», dicendogli che «non solo non ha bisogno dell’intervento ma non ha neppure bisogno della terapia». Molto agitato, Adiruo, tornato al Cie, passa al telefono all’Ansa il medico del Cie che dice «di aver visto le cartelle cliniche di Bartholomew e di non essere assolutamente d’accordo» con le conclusioni del medico del Policlinico che gli sono state riferite. «Io – spiega – sono un semplice medico della medicheria del Cie, e quindi per me deve valere quello che dice lo specialista di cui comunque attendiamo la relazione».
«Mi stanno uccidendo – urla Adirio – vi prego, aiutatemi». Adiruo ha un accento romano e racconta di essere stato sposato «con una donna italiana con cui ha avuto un figlio». Nel 2013 Bartholomew e sua moglie hanno divorziato e, «avendo perso la residenza e la stabilità economica – ricorda – quando sono scaduti i miei documenti non me li hanno rinnovati perché, mi hanno detto, tu non vivi più con tuo figlio». Fino allo scorso 2 giugno Adiruo viveva in «Austria con un asilo temporaneo per motivi di salute». Insieme all’asilo, sottolinea, «avevo anche un sussidio: io sono un produttore musicale e mi stavo rifacendo una vita fino a quando la polizia austriaca è venuta alle 7 di mattina a casa e mi ha detto che l’Italia mi rivoleva, promettendo anche al mio referente per l’asilo che non mi avrebbero rimesso in carcere». Invece Adiruo finisce al Cie di Bari: «E qui morirò – dice – se nessuno mi aiuta». (ANSA)(fonte:corrieredelmezzogiorno.corriere.it)

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