Charlie Hebdo e i media: a cosa portano le parole usate con troppa leggerezza

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” Intervento di Federica Dolente, autrice del capitolo sulle religioni di “Parlare civile”. “In Italia, al contrario della Francia, sono stati uniti terrorismo, religione islamica e immigrazione. Quanto abbiamo contribuito con il linguaggio a costruire queste situazioni di odio e di avversione?”
Sulla rappresentazione data dai mezzi di informazione della strage del 7 gennaio 2014 al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, pubblichiamo questo intervento di Federica Dolente, autrice del capitolo sulle religioni per il progetto Parlare civile, il libro e il sito realizzati da Redattore sociale in collaborazione con l’associazione Parsec (con il sostegno di Open Society Foundations) sul linguaggio riguardante i temi sociali a rischio di discriminazione.

Il tragico evento della strage al Charlie Hebdo inevitabilmente ci emoziona e ci porta a un istintivo sentimento di dolore e di condanna. E’ naturale nei momenti immediatamente successivi a un fatto così fuori dall’ordinario. Ma l’emotività non può e non deve avallare nei media letture unilaterali e parziali di questo evento, né un uso scorretto e fuorviante delle parole. Inevitabilmente i mass media hanno insistito sulla rivendicazione di matrice religiosa dell’attentato esaltandone la valenza esplicativa fino ad innescare una completa identificazione pericolosa tra rivendicazione jihadista, religione musulmana tout court e sovrapposizione con l’immigrazione. Ma non a caso in Italia e in Francia ci sono letture diverse degli stessi eventi.

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Dalla parte francese abbiamo una contrapposizione tra Occidente moderno con tutto ciò che ne consegue (laico, libero e democratico) e un Islam oscurantista che riflette la parte negativa delle antinomie della modernità. L’immigrazione non entra in questa estremizzazione degli eventi, in quanto les issues de l’immigration (le persone che provengono dall’immigrazione) sono presenti tra i carnefici e le vittime, basta ricordare il caso del poliziotto Ahmed, anche lui musulmano.

In Italia invece è prevalsa una lettura che identifica il terrorismo, la religione islamica e l’immigrazione senza neanche operare una distinzione tra i musulmani e i non musulmani. Sembra che nei mass media italiani gli eventi di Charlie Hebdo siano usati per riportare alla ribalta e rinforzare il fantasma sempre latente dell’islamizzazione della società e, attraverso l’identificazione tra islam e migrazioni, rinverdire la retorica dell’immigrazione come una minaccia e imporre nell’opinione pubblica l’idea della necessità di porvi un freno.

Occorre combattere la paura generata dall’emotività di questi tragici eventi, e cercare di comprendere quello che sta accadendo uscendo dallo stretto recinto in cui ci confinano le poche parole che sappiamo usare quando parliamo di Islam. Anche in questo frangente drammatico dobbiamo avere cura del linguaggio, e interrogarci su quanto noi stessi abbiamo contribuito e ancora contribuiamo a costruire queste situazioni di odio e di avversione, di quali significati abbiamo caricato le parole usate con troppa leggerezza costruendo uno specchio riflesso di odio e paura tra islamofobi e jihadisti.

Se invece di parlare di moschee come luoghi in cui si organizzano azioni violente e attentati, ne avessimo parlato anche in termini di sale di preghiera più o meno improvvisate nei garage dei palazzi delle nostre città, che sorgono laddove gli immigrati e le loro famiglie si stabilizzano per lavorare e per andare a scuola, e laddove sentono il bisogno di incontrarsi per le funzioni e per l’educazione religiosa; se invece di parlare di jihad rappresentandola come una “guerra santa” e una “crociata”, ne avessimo parlato in termini di sforzo per il mantenimento del benessere di una collettività spesso cresciuta e vissuta in situazioni di guerra, oppure in fuga da guerre, e spesso attaccata nel discorso pubblico e costretta a emigrare se non a fuggire; se invece di ingaggiare battaglie contro l’uso dei burqa, avessimo parlato delle reali possibilità di integrazione, di studio e di lavoro, che si offrono alle ragazze di seconda generazione e in particolare a quelle provenienti da famiglie di religione musulmana.

Se, insomma, ci fossimo dati la possibilità di vedere quello che all’Islam stava succedendo in questi anni sia in Occidente che nei paesi di partenza, anni di cambiamenti, di guerre, di spostamenti e di migrazioni, forse oggi potremmo utilizzare maggiormente la nostra parte razionale per capire perché e che cosa ha spinto due cittadini francesi di origine immigrata a compiere l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo. Per creare una lettura diversa che si serva di un linguaggio originale e che restituisca complessità e ricchezza alla realtà dell’Islam di oggi.” (Federica Dolente) (fonte:redattoresociale.it)

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