Intervista del Ministro Orlando a Libero

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Pubblichiamo l’intervista di oggi del Ministro della Giustizia on. Orlando al quotidiano Libero
“Ministro Andrea Orlando, che ci fa un comunista come lei nel governo del Rottamatore?
«Ho difficoltà a definirmi oggi comunista. È un aggettivo anacronistico per obiettive ragioni storiche».

Viene dal Pci, che non ha mai rinnegato. Come si definisce?

«Sono una persona che non si vergogna di aver fatto la gavetta in un partito che ha svolto una funzione fondamentale nella costruzione della democrazia italiana. Ho avuto la fortuna di frequentare quella scuola e, come dice lei, non lo rinnego. Oggi mi definirei un socialdemocratico».

Il premier ha affidato la Giustizia a uno della “ditta” per tenere a bada i magistrati?

«Renzi ha tenuto in considerazione la mia esperienza, visto che sono stato il responsabile giustizia del partito per quattro anni. E poi non credo che ci sia da tenere a bada i magistrati».

Non esiste una magistratura politicizzata in Italia? E solo una fissazione di Berlusconi?

«Che ci sia una magistratura con una matrice ideologica segnatamente di sinistra, come ci sono correnti di altra ispirazione, è un fatto storico, ma non credo ci fosse una cinghia di trasmissione, né che i giudici abbiano ordito un disegno di carattere politico».

Non crede che il Pd debba farsi un esame di coscienza su Buzzi?

«Credo che questa vicenda ponga questioni gravi e urgenti, come il tema del finanziamento alla politica e più in generale del funzionamento dei partiti, oltre a quello della trasparenza nelle procedure della Pubblica Amministrazione. Temi che esigono risposte politiche. Il Pd ha dato un segnale a partire dal commissariamento della federazione di Roma e assumendo questi temi come prioritari».

Quando si iscrisse al partito?

«A 13 anni mi iscrissi alla Federazione giovanile comunista, a 18 anni presi la tessera del Pci. Era il giorno del mio compleanno, l’8 febbraio 1987».

Divenne responsabile provinciale dei giovani comunisti l’anno in cui cadde il muro di Berlino.

«Non mi sentii colto alla sprovvista, perché ero uno di quelli, molto isolati nell’organizzazione giovanile, che venivano definiti miglioristi. Venivamo stigmatizzati come “socialdemocratici”, che allora era sinonimo di traditore opportunista. Invece anticipavamo temi che sarebbero diventati patrimonio comune della sinistra italiana».

Un migliorista come Napolitano.

«Era lui il mio riferimento, con esponenti della stessa area come Macaluso, Chiaromonte e La Torre, che era stato ucciso pochi anni prima».

Il giorno del giuramento Napolitano le disse: «Andrea, stai tranquillo». Si è rivelata una gatta così brutta da pelare la giustizia?

«Io non sono tranquillo neanche oggi. È un ministero molto delicato a prescindere dalla fase storica. Anche per questo cerco di tenere un approccio pragmatico ed equilibrato».

Nonostante questo, da quando lei è ministro l’Anm minaccia scioperi un giorno sì e l’altro pure. Ieri hanno annunciato iniziative di protesta contro la riforma della responsabilità civile, che ritengono «una specie di ossessione della politica». Avete paura dei magistrati?

«Stiamo portando avanti una vera riforma della giustizia. Abbiamo affrontato i temi del funzionamento del processo, sia civile che penale, gli strumenti contro la criminalità mafiosa, il funzionamento della magistratura onoraria, il ruolo dell’avvocatura. Io non credo che la riforma della giustizia sia la riforma della magistratura, ma del servizio. In questo senso può riguardare anche i giudici, per i quali abbiamo rispetto, ma non paura. Tant’è che abbiamo affrontato il nodo della responsabilità civile, che attendeva di essere sciolto da 25 anni. Lo abbiamo fatto non per aggredire la magistratura, ma per tutelare meglio i cittadini, come ci chiede di fare la Ue, che ha aperto una procedura d’infrazione nei nostri confronti, ritenendo la normativa vigente inadeguata».

Eppure molti giuristi ritengono che quella che avete varato non sia una vera responsabilità civile. È una responsabilità indiretta, si continua a citare lo Stato che poi può rivalersi sul giudice, ma a pronunciarsi è un altro giudice.

«Questa riforma è stata valutata positivamente anche dalle Camere penali. La responsabilità diretta del giudice non esiste in quasi nessun ordinamento e non vedo chi altri, se non un giudice, potrebbe valutare la violazione di un diritto, fatta salva la competenza disciplinare del Csm».

Ma fu lei stesso, nel 2010, a chiedere «un’azione disciplinare meno domestica per i magistrati», suggerendo di portarla «fuori dal Csm».

«Nel 2010 eravamo a ridosso della riforma ordinamentale. Da allora la sezione disciplinare del Csm ha funzionato meglio di come ci si aspettava. E poi abbiamo escluso di intervenire a livello costituzionale nell’ambito della giustizia, ma non abbiamo rinunciato a migliorare il funzionamento del Csm. Nei prossimi giorni costituirò un gruppo di lavoro proprio su questo tema. Presenteremo le proposte a breve, ora che il nuovo Csm è operativo».

Nel 2010 lei sosteneva la separazione dei ruoli dei magistrati. Ha cambiato idea pure su questo?

«Credevo e credo che sia importante l’esigenza di distinzione dei ruoli su cui si fondava la riforma dell’ordinamento e penso che si sia concretamente realizzata, perché sono davvero pochi i casi di magistrati che passano da una funzione all’altra. Oggi come allora, sono contrario a una modifica costituzionale che istituisca due corpi separati della magistratura».

Subito dopo il varo della riforma della giustizia dal Consiglio dei ministri è stato indagato il padre di Renzi. Ci vede un collegamento?

«È un’ipotesi che escludo».

Sul ddl anticorruzione le critiche più dure le avete ricevute dall’Anm e dal Pd. Secondo Fassina e Casson avreste dovuto agire per decreto.

«Ci sono state sicuramente critiche più dure di quelle dei due dem. E tuttavia temo che nella polemica interna al Pd si utilizzi strumentalmente il tema della giustizia. Mi auguro che non succeda più e che siano casi isolati. Si tratta di una materia troppo delicata per essere utilizzata a questo scopo. A me Fassina e Casson, persone che stimo, non hanno mai proposto di emanare un decreto, e siccome ci conosciamo da molto, penso avrebbero avuto tutte le occasioni per chiedermelo personalmente. Ritengo sbagliato intervenire con la decretazione d’urgenza su norme di carattere penale».

Nella classifica Ue sui tempi della giustizia l’Italia ha già la maglia nera. Non si rende conto che dilatare la prescrizione finirà per allungare ancora di più questi tempi?

«Dobbiamo agire su entrambi i piani. La norma sulla prescrizione è all’interno di un ddl che si pone anche l’obiettivo di ridurre la durata dei processi, introducendo soluzioni per velocizzare l’udienza preliminare e il primo grado e disciplinando meglio l’appello».

Lei è un “giovane turco”, come il presidente del Partito democratico Matteo Orfini. Eravate più antirenziani di Pippo Civati, oggi siete più renziani di Renzi. Sono stati gli incarichi ottenuti a convertirvi?

«Mantengo una cultura e valutazioni politiche talvolta diverse da quelle del premier. Facevo già il ministro prima dell’avvento di Renzi, sapevo che avrebbe vinto le primarie – non ci voleva Nostradamus – eppure ho deciso di sostenere Cuperlo».

Non siete saltati sul carro del vincitore?

«Abbiamo fatto una valutazione politica. Renzi ha vinto il congresso, è diventato il nostro segretario, è andato al governo e, se lui non ce la fa, va a picco l’Italia. Continuiamo ad avere probabilmente un’idea diversa di partito, ma riteniamo che si debba collaborare lealmente, senza sgambetti. Credo si sia rivelata una valutazione giusta, data la spinta che Renzi ha impresso alla politica e che ha portato al successo il Pd alle Europee».

Lei è stato vicinissimo a Fassino. È lui il suo candidato per il Colle?

«Se si fa un nome di questi tempi è un modo per bruciarlo».

Da bambino sognava di fare il ministro?

«No, il muratore. Oppure il sottoufficiale di Marina come mio nonno o, come tanti ragazzi, il calciatore».

E i suoi genitori che facevano?

«Erano insegnanti. Poi mia madre è diventata preside».

Da figiccino li avrà fatti impazzire occupando le scuole…

«Ho partecipato a tante iniziative del movimento studentesco. Mi sono formato tra gli anni ’80 e ’90, con le proteste contro il ministro Falcucci e con la Pantera all’università».

Ma non si è mai laureato.

«Mi mancano pochi esami per laurearmi in Giurisprudenza. Interruppi gli studi per andare a lavorare».

Unico Guardasigilli nella storia della Repubblica senza laurea: gliel’hanno mai rinfacciato?

«Qui al ministero no. Me ne rammarico, ma credo di essermi costruito una discreta competenza sul campo, che qualcuno ormai mi riconosce»”.Barbara Romano (fonte: Libero.it)

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