La tortura: “una piaga devastante” e secondo il Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) un profugo su tre, che approda sulle coste europee ha subito sevizie

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” Il 26 giugno è stata la giornata mondiale dei rifugiati, e secondo il Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) un profugo su tre, che approda sulle coste europee ha subito sevizie, che a lungo lo segneranno nella psiche. Il Cir ha avviato uno studio sulle vittime della tortura, e fino al 20 luglio sarà possibile sostenere il progetto e il lavoro della ONG inviando un sms al numero 45592

Non ci si pensa, non lo si sa, ma la tortura è molto più diffusa di quanto non si creda. Sono 141 i paesi dove è ancora praticata e a testimoniarlo ci sono i dati internazionali resi noti dal Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) durante la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura: un profugo su tre, che approda sulle coste europee ha subito sevizie. In alcuni paesi, quasi chiunque è potenzialmente a rischio di esservi sottoposto e, a quanto pare, non ci sono nazioni dove questo rischio sia del tutto assente.

Massimo Germani e Lorenzo Mosca, due medici psichiatri specializzati nel trattamento delle patologie post traumatiche, lavorano con il Cir ed hanno illustrato le drammatiche conseguenze prodotte da atti di violenza. Il sintomo più frequente che distingue le persone vittime di tortura, siano esse adulte o bambini, è la dissociazione. Lo ha spiegato bene Germani, che è coordinatore scientifico della ricerca Together with VI.TO. Si tratta di alterazioni – spiega – che richiedono un trattamento specifico psicoterapeutico, farmaci e percorsi di riabilitazione, per evitare il rischio che il trauma psicologico duri per sempre.

Lorenzo Mosca, anche lui psichiatra, oltre che ricercatore del progetto Together with VI.TO, racconta dettagli del loro lavoro: “si cerca di individuare le esperienze traumatiche subite, che hanno indotto alla fuga, quelle del viaggio e l’energia vitale conservata dalle persone. Si cercano le informazioni biografiche, si lascia che parlino di sè e della vita precedente al viaggio”. I disturbi gravi non trattati in tempo degenerano in problemi sociali nel momento in cui non avviene un’adeguata integrazione e assistenza medica. D’altra parte, le patologie dissociative e depressive non sono di facile individuazione, servono strumenti specifici per scoprirle”.

Nelle esperienze dei richiedenti asilo è importante ciò che succede dopo l’esperienza traumatica, dicono i due medici. Il trauma continua a perseguitare la vittima e gli aspetti dissociativi sono sensibili a ciò che succede dopo la decisione di scappare. Gli effetti della tortura sono molto più durevoli degli atti di tortura in sé. I sopravvissuti alle brutalità si portano dentro un peso enorme, che a volte non riescono ad esprimere e confessare neanche a sé stessi, ferite incancellabili sul corpo e nella mente.

La depressione è presente in tutti i casi. Tutte le esperienze seguite alla fuga sono mortificanti e danneggiano il senso e la stima di sè. Prendersi cura di queste persone non è tanto una scelta solidaristica, ha detto Mosca: trascurarne la sorte finisce per mettere in crisi il sistema sanitario e assistenziale, che vedrebbe aumentare a dismisura il numero di persone bisognose di aiuto psichiatrico.

Quest’anno è il 30° anniversario della Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti. L’Italia, pur avendo ratificato la Convenzione, non ha ancora introdotto il reato di tortura nel codice penale. Il Cir da tre anni lavora al progetto Together with VI.TO, di cui Fiorella Rathaus è responsabile, per l’accoglienza e la cura dei rifugiati vittime di tortura, in collaborazione con il Trauma Centre Camerun e l’Association Jeunesse pour la Paix et la Non Violence del Ciad, finanziato dalla Commissione Europea.

Dal 1996 il Cir lavora sulla riabilitazione e l’integrazione di queste persone: assistenza sociale, legale, medica, psicologica. Ma un’altra importante e decisiva attività parallela del progetto è il laboratorio di riabilitazione psico-sociale il cui risultato finale è rappresentato dallo spettacolo che viene proposto ogni anno in forme nuove, come risultato del percorso terapeutico, attraverso il senso di appartenza al gruppo, il recupero di frammenti della psiche. Il linguaggio teatrale, attraverso le metafore, aiuta a recuperare la narrazione di sé e della propria storia.

Quest’anno, la messa in scena è stata all’Aranciera di San Sisto. Sul palcoscenico, i rifugiati vittime di tortura, guidati dai registi e formatori Nube Sandoval e Bernardo Rey, hanno proposto “Mare Monstrum” accolti alla fine da applausi calorosi dalle molte persone presenti. La performance è stata preceduta dalla lettura di alcuni brani del romanzo di Giuseppe Catozzella “Non dirmi che hai paura” da parte di Monica Guerritore.

E’ possibile sostenere il progetto e il lavoro del Cir inviando un sms al numero 45592 dall’1° al 20 luglio.” di federica ciavoni (fonte:lastampa.it)

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